Chiese nel mondo - Contro la schiavitù: la forza delle reti
Poco meno di 46 milioni: tanti sono in tutto il mondo i «nuovi schiavi», donne, bambini, bambine, ragazzi vittime dei trafficanti di esseri umani. Una gravissima piaga che non accenna a ridursi, come testimonia l’aumento del 28% di persone in situazione di sfruttamento e di schiavitù, secondo le stime dell’Indice globale della schiavitù 2016. E l’Italia è il secondo paese in Europa, con la presenza di 129.000 vittime.
Poco meno di 46 milioni: tanti sono in tutto il mondo i «nuovi schiavi», donne, bambini, bambine, ragazzi vittime dei trafficanti di esseri umani. Una gravissima piaga che non accenna a ridursi, come testimonia l’aumento del 28% di persone in situazione di sfruttamento e di schiavitù, secondo le stime dell’Indice globale della schiavitù 2016. E l’Italia è il secondo paese in Europa, con la presenza di 129.000 vittime.
«Una delle ferite più dolorose che viola la dignità, dono di Dio, in tanti nostri fratelli e sorelle e costituisce un vero crimine contro l’umanità», lo ha definito più volte papa Francesco, che lo ha indicato anche come «priorità» su cui concentrare le forze religiose e civili. «Mentre molto è stato fatto per conoscere la gravità e l’estensione del fenomeno, molto di più resta da compiere per innalzare il livello di consapevolezza nell’opinione pubblica e per stabilire un migliore coordinamento di sforzi da parte dei governi, delle autorità giudiziarie, di quelle legislative e degli operatori sociali», ha dichiarato lo scorso novembre, salutando i partecipanti al secondo incontro internazionale del Religious in Europe Networking Against Trafficking and Exploitation (RENATE), una rete europea di religiosi che aiutano le vittime di ogni tratta.
È in ambito ecclesiale, infatti, che si stanno moltiplicando maggiormente le realtà impegnate su questo fronte. RENATE, per esempio, abbraccia l’impegno sul territorio, sulla strada, la prima accoglienza e il sostegno alle vittime, offrendo anche un’assistenza psicologica, tramite vere e proprie case famiglia dove da 6 a 8 ragazze vengono assistite da religiose.
«La fine della tratta comincia con noi», ha dichiarato suor Monica Chikwe, dell’Unione superiore maggiori d’Italia (USMI), durante l’incontro di novembre. Quasi sempre «si ignora il fattore che alimenta fortemente questo fenomeno e ci si focalizza sempre sulla donna, denominata vittima», mentre il fattore determinante è «colui che sostiene l’andamento del mercato, perché la domanda è in continuo aumento, in modo imbarazzante. Se non ci fossero i consumatori, i trafficanti si seccherebbero come erba nel deserto, perché nessuno comprerebbe i loro “prodotti”, quindi anche loro cambierebbero mestiere. Se cessasse la richiesta, quindi, si potrebbe porre fine al traffico di esseri umani a scopo sessuale».
Simile a RENATE con molteplici attività volte soprattutto alla sensibilizzazione e all’informazione è anche la rete Slaves no more, fondata nel 2012 da religiosi e laici, di cui è presidente suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata. Dopo vent’anni d’impegno personale sul campo, a tutelare e liberare le donne dalle violenze, la religiosa è giunta a fondare l’associazione per contrastare il fenomeno in maniera ancora più incisiva, tramite una rete internazionale in vari paesi.
Tra i progetti principali vi è quello di un rimpatrio realmente assistito di giovani nigeriane vittime di tratta per sfruttamento sessuale, rinchiuse nei centri d’identificazione ed espulsione (CIE) o accolte in case d’accoglienza che possono tornare nel proprio paese in maniera dignitosa, grazie alla collaborazione con religiose nigeriane.
Diversa e con una peculiarità unica, è invece la realtà del Santa Marta Group, nata in Gran Bretagna, e che prevede la stretta collaborazione delle Chiese locali con le forze di polizia: entità con statuto diverso dalle precedenti, ma accomunata dalla volontà di combattere per difendere i soggetti più vulnerabili ed esposti al rischio di riduzione in schiavitù.
Si tratta di un’esperienza molto interessante perché la collaborazione tra le parrocchie e le forze dell’ordine avviene capillarmente sul territorio, con segnalazioni e monitoraggio fatte dai volontari e dai laici e controlli più approfonditi realizzati poi dalla polizia. Tale rete può contare anche sui notevoli finanziamenti stanziati dal governo inglese per rafforzare la lotta alle reti criminali.
Accanto a queste iniziative, vi sono anche quelle assunte da conferenze episcopali, come nel caso del Brasile e della Conferência nacional dos bispos do Brasil (CNBB), che lo scorso ottobre ha dato vita a una speciale commissione che si occupa specificatamente di contrastare il fenomeno della tratta e della riduzione in schiavitù, in forte crescita parallelamente all’aumentare della povertà in quell’ampio paese dove le condizioni sociali negli ultimi anni sono peggiorate per le fasce di popolazione più svantaggiate (cf. in questo numero a p. 46).
L’organismo della CNBB dovrà «definire un piano d’azione della Chiesa per rafforzare la lotta contro la tratta di esseri umani, promuovere il coordinamento e la comunicazione tra le varie iniziative esistenti all’interno della Chiesa e collaborare con altre realtà sociali», come per esempio già accaduto in occasione dei recenti giochi olimpici, quando si è chiesto di affrontare, anche una volta terminato l’evento sportivo, l’esclusione sociale, la lotta al traffico di esseri umani e al lavoro in schiavitù.
L’impegno della Chiesa va quindi a rafforzare quello di organismi internazionali che da tempo si dedicano al tema e punta a una sensibilizzazione su vasta scala. Un appuntamento che potrà essere occasione per ribadire l’impegno contro la tratta, per la salvaguardia dei più vulnerabili, sarà quello dell’8 febbraio prossimo, quando si celebrerà la III Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone e che avrà come filo conduttore i minori, con lo slogan «Sono bambini! No schiavi!».
Sabrina Magnani