G. Brunelli
Tutto si concentra e converge, oramai, sul giubileo. Il "Grande giubileo dell'anno duemila" è l'ultima parola del pontificato, perché ne è la prima. Essa definisce e interpreta il pontificato, ne è, per lettura interna dello stesso Giovanni Paolo II, "la sua chiave ermeneutica" (Tertio millennio adveniente, n. 23). Ma con essa il papa intendere anche riassumere e rileggere l'intera vicenda conciliare e post-conciliare della chiesa cattolica (TMA, 18). La prima enciclica Redemptor hominis (1979) ne parla esplicitamente fin dall'inizio (cf. n. 1) e implicitamente in più luoghi successivi (cf. nn. 2 e 7). La terza, Dominum et vivificantem (1986), rende il riferimento programmatico: "Allo Spirito Santo si volgono il pensiero e il cuore della chiesa in questa fine del ventesimo secolo e nella prospettiva del terzo millennio della venuta di Gesù Cristo nel mondo, mentre guardiamo verso il grande giubileo con cui la chiesa celebrerà l'evento". "Questo evento significa per noi cristiani, secondo l'apostolo, la "pienezza del tempo", perché in esso la storia dell'uomo è stata completamente penetrata dalla misura di Dio stesso: una trascendente presenza dell'oggi eterno. "Colui che è, che era e che viene"". (n. 49). Il papa ha sviluppato, lungo l'itinerario del suo pontificato, la comprensione di essere come giunto a un punto unico della storia della chiesa, sino a definire il tempo presente della chiesa (dal concilio al terzo millennio) "nuovo avvento della chiesa" (RH 7).
Articolo, 15/04/1996, pag. 203