Il presidente della Commissione delle conferenze episcopali europee (COMECE), il gesuita mons. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e da poco cardinale, ha pubblicato in vista delle votazioni tenute nell’Unione il 26 maggio una nota di orientamento per gli elettori cattolici. Vi ha ricordato che le politiche populiste di risposta alla crisi del continente vengono spesso motivate come una difesa dell’identità cristiana delle nazioni che vi abitano.
Parole come «robotica» o «intelligenza artificiale» sono recentemente entrate esplicitamente nell’interesse, nella riflessione e nella prassi ecclesiale. Il workshop annuale della Pontificia accademia per la vita (25-26.2.2019) ha infatti avuto come titolo «Roboetica: persone, macchine e salute» e si collega al già annunciato evento del prossimo anno sull’intelligenza artificiale.
Una città «a misura d’uomo»: ecco la parola d’ordine, che ricorre sempre più spesso sulle labbra di urbanisti, filosofi, politici, ma pure delle persone comuni. Con questa espressione, s’intende richiamare un certo ideale di convivenza: giusta, sostenibile, collaborativa, ospitale. Senza dubbio, stando alla nostra esperienza concreta, di fatto una città così non esiste: ciò che sperimentiamo è piuttosto una realtà urbana segnata da luci e ombre; una realtà al contempo promettente e minacciosa, protettiva e insicura, capace d’inclusione e di scarto.
Oggi con il termine «terrorismo» si indica comunemente l’irruzione improvvisa di un pericolo per la vita comune, una minaccia portatrice di disordine e negatrice dei più elementari valori di convivenza umana: una sfida barbara alla civiltà occidentale e alla democrazia. Per molti aspetti, si potrebbe dire che esso rappresenti nel nostro tempo il male assoluto, quel polo negativo dell’assetto ordinario del mondo che un tempo era simboleggiato dalla figura del demonio.
Il quinquennio 2014-2018 è stato scandito dalla celebrazione del centenario dei più salienti eventi verificatisi nella Grande guerra. Sul piano religioso quelle celebrazioni sono spesso state l’occasione per diffondere una presentazione complessiva del primo conflitto mondiale come «inutile strage». Ne è stato vettore il fatto che papa Francesco ha più volte fatto ricorso a questa espressione per caratterizzare ogni scontro bellico. Probabilmente intendeva in tal modo rafforzare la svolta da lui impressa alla trattazione teologica del tema: il Vangelo esige che verso i conflitti armati i credenti adottino il metodo della non-violenza (che non vuol ovviamente dire passiva acquiescenza alla violenza bellica).
Quando nacque nel 1948 lo Stato d’Israele non si diede una Costituzione scritta. Le ragioni furono molteplici. Tra esse vi era anche la posizione sostenuta dalla componente religiosa stando alla quale il riferimento ideale, peraltro non direttamente trascrivibile in termini giuridici, è costituito dalla Torah (legge rivelata). Esistono però anche motivi d’altra natura. Tra essi vi è la presenza di un sistema giuridico originale su cui hanno operato influssi compositi derivati dai regimi succedutisi nel corso del XX secolo in questa parte del mondo.
La filologia – ovvero la «cura, la custodia, l’amore della parola» (dal greco philos e logos) – può essere intesa in diversi significati e impieghi che ci conducono ad altrettanti livelli e gradi di «disvelamento della verità» (aletheia). Il filologo studia, tramanda e, all’occorrenza, ripara i testi. Si occupa sia del modo in cui questi vengono trasmessi (tradizione orale, manoscritta, a stampa, on-line) sia delle forme concrete della trasmissione (papiri, codici, libri, web). Una tale disciplina ha le stesse virtù delle scienze cosiddette esatte – la matematica, la fisica, la chimica –, vale a dire chiarezza, controllabilità, precisione, definizione, essenzialità; e… pazienza.
La democrazia non è più «l’unico gioco in città». In questa efficace immagine si condensa il voluminoso studio del politologo tedesco Yascha Mounk, uno dei più giovani e penetranti analisti a livello internazionale. Popolo vs democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale, così s’intitola il saggio in questione, pubblicato in Italia pochi mesi fa (Feltrinelli, Milano 2018).
L’ampio saggio di Vincent Holzer,1 docente presso l’Institut catholique di Parigi, titolare della cattedra di Filosofia e teologia «Dominique Dubarle», nonché membro ordinario della Pontifica accademia di teologia, offre una dotta ricostruzione storica orientata da una marcata preoccupazione teorica. Tesi centrale del libro è che compito qualificante del discorso teologico è assumere la cristologia come principio fondamentale e architettonico del suo sviluppo. È la cristologia pertanto a costituire l’angle unificateur (17) anche del rapporto tra il sapere critico della fede e la filosofia: la pertinenza della distinzione tra teologia e filosofia trova determinazione in rapporto alla cristologia.
Alla mole di studi e ricerche già disponibili messi in campo dalle donne, quest’anno, la collana «Teologhe e teologie», curata dal Coordinamento teologhe italiane su proposta della casa editrice Nerbini di Firenze per attraversare temi, momenti e figure della presenza femminile di ieri e di oggi nelle Chiese cristiane, della riflessione spirituale da cui questa presenza è scaturita e della teologia innestata di pratiche a cui dà origine. Una collana – spiega la presidente del CTI Cristina Simonelli – che vuole recuperare la genealogia in cui è radicato l’attuale lavoro delle teologhe, con «l’istanza etica del superamento dell’esclusione e l’anelito spirituale di un umanesimo degno di questo nome, che si dipani attraverso le differenze e si proietti oltre ogni confinamento».