A otto anni dallo scoppio della più grave crisi finanziaria che l’umanità abbia conosciuto, l’economia mondiale non ha ritrovato una situazione di equilibrio. La Cina ha capito che l’Occidente non può più consumare a credito i beni industriali che essa produce, ma stenta a trovare mercati sostitutivi. Il Brasile potrebbe crollare. Il Sud Europa è preso in una trappola deflazionistica da cui nessuno sa, al momento attuale, come potrebbe uscire, e che minaccia di condannarlo a perdere, come il Giappone, vari decenni.
Vorrei descrivere la misericordia secondo la logica dei sacramenti.* La struttura sacramentale richiede, secondo l’insegnamento più tradizionale, tre elementi: materia, forma e ministro,1 cioè una cosa – non un’idea – una forma e un soggetto. Come abbiamo già accennato, di questa triade è stata progressivamente data una lettura riduttiva o parziale. La forma è stata infatti spesso interpretata come «formula verbale», facendola coincidere con le parole pronunciate se non – peggio ancora – con la comprensione di quanto quelle parole significherebbero. Nella liturgia sacramentale, anche quando la forma è espressa con una formula verbale, essa è più del significato delle parole, portando in sé la sovrabbondanza simbolica tipica del rito.
La ricerca di Stella Morra si rivolge a ciò che ella chiama la «forma», una parola ricca sia in estensione che in profondità e perciò assai difficile da definire: un insieme, il più possibile unificato, di convinzioni, di azioni, di sensibilità, di leggi, attraverso cui sia possibile vivere autenticamente il Vangelo. La diagnosi è che, trascorso ormai mezzo secolo dal Vaticano II, non abbiamo ancora trovato la «forma» che ci possa permettere di avanzare più liberamente e speditamente.
Con la pubblicazione del secondo e atteso volume Seguendo Gesù,1 due tra i maggiori studiosi di letteratura e storia del cristianesimo antico, Emanuela Prinzivalli, docente alla Sapienza, e il suo maestro, Manlio Simonetti, accademico dei Lincei, completano il progetto di offrire al pubblico che legge l’italiano – un pubblico piuttosto vasto, nel quale vanno fatti rientrare, e a buon diritto, anche molti studiosi stranieri di vaglia – un’edizione integralmente nuova di autori o scritti d’età subapostolica (quelli che, con una espressione usuale fino a qualche tempo fa, ma oggi giustamente rifiutata, se non altro nei testi scientifici, per la sua inadeguatezza, si era soliti indicare come i «padri apostolici»), significativi, oltre che per il loro indubbio valore letterario, in quanto ancor oggi le migliori fonti documentarie per conoscere la polimorfa realtà della Chiesa nascente.
Il volume "Un Concilio nella rivoluzione" di A. Carpifave descrive uno degli avvenimenti più straordinari del Novecento cristiano: il concilio della Chiesa ortodossa russa, tenuto a Mosca negli anni 1917-1918, proprio nei mesi concitati e drammatici della Rivoluzione d’ottobre, un racconto fatto seguendo le fonti dirette, cioè i verbali e gli atti del Concilio, che il patriarca Alessio II (1929-2008) volle fossero pubblicati negli anni novanta del Novecento, per indicare che, con l’acquisita libertà, la Chiesa di Mosca riprendeva il cammino e si riorganizzava prendendo quel concilio come punto di riferimento.
Un noto genere cinematografico è quello costituito dai film storici. In questo caso, quando si rappresentano epoche più o meno lontane dalle nostre, si deve far ricorso a costumi e ad ambientazioni ricostruiti ad arte; si finge cioè di trovarsi in un altro tempo. Ci sono però anche film che nascono come cronaca. Quando furono girati miravano a rappresentare la società d’allora; tuttavia il tempo trascorso li fa diventare oggi storici in un senso più autentico dei film programmaticamente qualificati con questo nome. Le grandi realizzazioni del neorealismo italiano dell’immediato secondo dopoguerra entrano di diritto in questo novero. Proprio la volontà di rappresentare in presa diretta la realtà di quegli anni li trasforma adesso in documenti o testimonianze. Considerazioni molto simili a quelle appena compiute valgono per questo testo del card. Agostino Bea. Il libro sorse come un commento immediato a un documento conciliare – la dichiarazione Nostra aetate – approvato solo qualche mese prima (28 ottobre 1965). La Chiesa e il popolo ebraico ricevette l’imprimatur dall’allora vescovo di Brescia in data 22 marzo 1966. Sono tempi di scrittura che evocano più una rivista che un libro. Ciò si giustifica in virtù del fatto che il suo autore è stato il più rilevante protagonista del processo, lungo e faticoso, che ha condotto all’elaborazione di questo decisivo testo del Vaticano II.
Ormai da diversi anni mi interesso, da una prospettiva teologica, della vicenda di sette monaci trappisti francesi rapiti in Algeria da un gruppo di fondamentalisti la notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 e uccisi il 21 maggio dello stesso anno – vicenda che anche il recente film francese "Uomini di Dio", di Xavier Beauvois, ha voluto narrare –, i quali hanno vissuto la loro vocazione cristiana nel monastero di Tibhirine, una località dell’Atlas algerino nell’arcidiocesi di Algeri. Grazie all’incontro con la loro esperienza di cristiani in dialogo con l’Islam, che hanno vissuto come «ospiti» in «un oceano di Islam», è nato in me un forte interesse per il dialogo interreligioso cristiano-islamico.