Nella lunga preparazione al «Grande giubileo» con cui intendeva celebrare la fine del secondo millennio di civiltà cristiana, Giovanni Paolo II sottolineò più volte l’importanza per la Chiesa di riconsiderare criticamente il suo passato e di prendere coscienza delle colpe di cui i suoi figli nel corso della storia si erano macchiati. In ogni caso «purificare la memoria» significava liberarla da quelle fratture che ancora pesavano nella coscienza ecclesiale, da quelle divisioni che avevano costellato la sua storia. Nella celebrazione penitenziale del giubileo, svoltasi in Vaticano il 12 marzo 2000, l’elenco delle colpe trovò una sua complessiva sistematizzazione, più tematica che cronologica, che smussava la precisione dei fatti e attribuiva per lo più genericamente le colpe a tutta l’umanità. Ma c’era un preciso riferimento alle persecuzioni contro gli ebrei, in cui si poteva riconoscere l’allusione alla responsabilità dei cristiani per la Shoah e per le vicende più drammatiche del XX secolo.
A che punto siamo della storia? Questa domanda sembra essere sempre più frequente e pressante non solo sulle labbra degli specialisti delle discipline storico-sociali. Formulare una diagnosi del tempo o verificare la tenuta di un’epoca intravvedendone il declino rappresentano operazioni d’indubbio interesse. Nell’apparente compattezza della storia umana affascinano sempre più i crinali di separazione tra un’era e l’altra. L’atteggiamento di chi vuole rendere abitabile e confortevole la scena del tempo presente sembra infatti aver ceduto il passo a una sorta d’ansia per le diagnosi temporali. L’esigenza più urgente diventa così quella di leggere i segni del passaggio da uno stato all’altro della storia.
Echnaton (o Akhenaton) compose il grande e il piccolo Inno al sole attorno al 1345 a.C. Nel 1933 uscì il primo volume della tetralogia di Giuseppe e i suoi fratelli e nel 1943 il quarto e ultimo volume (cf. Regno-att. 1,2015,29). Circa 3.300 anni separano i due avvenimenti. Thomas Mann aveva visitato l’Egitto nel 1925 e nel 1930. Nel romanzo, Echnaton è il faraone del tempo di Giuseppe. E le allusioni testuali agli Inni al sole vi occupano un posto centrale, come ad esempio nella famosa interpretazione del sogno. Peter Sloterdijk definisce la tetralogia di Thomas Mann «il capolavoro nascosto della teologia moderna».
Il prossimo 22 novembre ricorrerà il centesimo anniversario della nascita di padre David Maria Turoldo. Con la pubblicazione di quest’ampia e approfondita biografia a cura di Mariangela Maraviglia "David Maria Turoldo. La vita, la testimonianza (1916-1992)", uscito per i tipi di Morcelliana (pp. 447, € 30,00), l'autrice conclude un percorso di studio che l’ha vista instancabile peregrina proprio come lo fu il frate poeta. Basta dare un semplice sguardo alla quantità degli archivi utilizzati per rendersi conto del paziente lavoro di scavo documentario che l’ha vista impegnata in decine di città italiane e straniere; carte di archivio continuamente intrecciate tra di loro a dimostrazione che per dipanare l’intricato gomitolo di ogni biografia è necessario sciogliere tutti i nodi e seguire tutti i fili.
Alle spalle della grande impresa di tradurre integralmente in italiano il Talmud babilonese ci sono molteplici fattori d’ordine culturale, organizzativo, tecnologico e istituzionale. Tra tutti questi aspetti privilegeremo il primo. Una delle caratteristiche più evidenti dell’universo talmudico è di essere, fin dal suo sorgere, espressione di una realtà collettiva. Si tratta di un immenso libro corale senza autore; nello stesso tempo, però, è anche un testo ricco di nomi di persona. È, per così dire, un coro composto da parti solistiche in costante dialogo reciproco. Si tratta di un lavoro collettivo senza essere per questo una raccolta anonima di sapienza popolare. Non ci sarebbe infatti il Talmud se non ci fossero state le varie generazioni di chakamim («sapienti, saggi»).
La trattatistica teologica, prima di quella che va sotto il nome di «crisi ecologica» scoppiata agli inizi degli anni Settanta con l’allarmante dossier del Club di Roma, I limiti dello sviluppo (1972), quando trattava della natura, poneva il problema (sempre valido) di come si possa conoscere Dio a partire dalla natura. Ma, ora, la prospettiva cambia e il problema diventa come si possa conoscere la natura a partire da Dio: la dottrina della creazione assume nuovi connotati e diventa dottrina ecologica della creazione.
L’atteggiamento tenuto da Giorgio La Pira verso i temi trattati in questo volume – in estrema sintesi: l’antisemitismo, gli ebrei, lo Stato di Israele, il conflitto in Palestina –1 è già stato oggetto di diversi e solidi studi. La ragione principale che ha portato a stipulare una convenzione tra la Scuola normale superiore e la Fondazione La Pira, al fine di svolgere una nuova ricerca relativa a questi stessi argomenti, si può ricondurre a un triplice ordine di motivi.