A guardare nell’insieme gli eventi di questo 2016 sembra di poter dire che la Chiesa universale, nelle sue diverse famiglie confessionali, stia cominciando a raccogliere i frutti di quel paziente, scrupoloso – per non dire spesso ingrato e doloroso – rammendo delle relazioni fraterne laceratesi nel corso del secondo millennio dell’era cristiana. È il compimento dei dialoghi teologici bilaterali sviluppatisi nel corso dell’ultimo mezzo secolo, da quando cioè il concilio Vaticano II ha permesso anche alla Chiesa cattolica di aderire formalmente al movimento ecumenico, già avviato da altre Chiese.
L’esperienza del terremoto è quella di un rovesciamento. Le case vanno sottosopra, gli oggetti sono dispersi tra le macerie, il cielo entra dai tetti divelti. E insieme vengono travolte le vite: i legami si spezzano e i rapporti riescono come disordinati, frammentati, sradicati.
Il nesso tra partiti e Costituzione è lo stesso che sperimentiamo oggi nel rapporto tra crisi dei partiti e crisi del sistema politico.
Mons. Castellucci è arrivato a Modena da poco più di un anno (3 giugno 2015). La sua prima lettera pastorale, È il Signore che costruisce la casa, pubblicata questo settembre, parla della famiglia.
Nell’incontro d’inizio anno scolastico tra gli insegnanti di religione di Roma, il tema avrebbe dovuto essere «Il futuro dell’IRC in Italia», anche alla luce di alcune «proposte alternative di educazione etico-religiosa». Purtroppo, la sopravvenuta impossibilità a parteciparvi dell’ospite invitato ha costretto a rimandare il confronto. Preparandomi alla discussione, comunque, mi ero reso conto che esattamente venticinque anni sono passati dalla pubblicazione, nel 1991, della nota pastorale CEI sull’insegnamento della religione cattolica in Italia.
L’indagine condotta da ACLI di Roma e provincia e CISL di Roma capitale e Rieti, con il supporto scientifico dell’Istituto di ricerche educative e formative (IREF), con tutte le distinzioni legate ai confini laziali, ci consegna l’immagine di giovani italiani pragmatici e di una società (dal sistema scolastico al welfare) distaccata, indifferente o comunque disinteressata. «Sembra esserci una generazione che è scesa a patti con la crisi – spiegano i promotori del progetto «Job to Go» –, facendo un compromesso che tuttavia non tende verso il ribasso e pur essendo consapevole delle difficoltà alle quali andrà incontro nel mercato del lavoro, mantiene delle aspettative di autorealizzazione».
La tratta di esseri umani è una gravissima piaga che coinvolge due milioni e mezzo di vittime in tutto il mondo, di cui il 70% donne e ragazze che per oltre la metà ha meno di 18 anni. Le stime compiute dall’organismo ONU per la lotta alla criminalità e al traffico di droga (UNDPOC) sono in forte difetto, se è vero che le vittime identificate sono in rapporto di 1 a 20 su quelle non identificate. Il rapporto di Save the children focalizza l’attenzione sui minori il cui aumento tra le vittime di tratta è esponenziale.
Senza i corrispondenti di guerra, le troupe televisive e i fotografi di guerra noi rimarremo ignoranti. Ignoranti di ciò che accade nel mondo e, più importante ancora, ignoranti rispetto alla presa d’atto che tutti noi abbiamo il dovere di cercare la verità.
Quello del papa in Georgia e Azerbaigian (30 settembre-2 ottobre) è stato un viaggio quasi obbligato a completamento di quello in Armenia (24-26 giugno 2016). Non poteva infatti il papa visitare l’Armenia senza tenere conto delle tensioni e dei conflitti in atto tra armeni e azeri. Poi si è aggiunta la Georgia. Nel Caucaso, crisi geopolitiche e crisi geo-religiose quasi coincidono.
Nell’incontro di Chieti è stato raggiunto un significativo accordo sul rapporto fra il primato del vescovo di Roma e la sinodalità della Chiesa intera ed è stato approvato un documento, votato da tutti i partecipanti con la sola eccezione della Chiesa di Georgia, intitolato Sinodalità e primato nel primo millennio: verso una comprensione comune al servizio dell’unità della Chiesa (di prossima pubblicazione su Il Regno-documenti). Abbiamo chiesto a mons. Bruno Forte, che fa parte della commissione e ha partecipato (oltre che ospitato) ai lavori, una sua riflessione sull’incontro.
In un ottobre che ricorderemo per l’intensità e la speranza ecumenica che ci ha regalato, dopo esserci stancati a forza di usare per anni la metafora dell’«inverno ecumenico», le celebrazioni del 50° anniversario dell’inizio del dialogo tra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana, il 5 e 6 ottobre a Roma, si sono poste simbolicamente a metà tra il Documento di Chieti del dialogo cattolico-ortodosso (cf. in questo numero a p. 465) e la commemorazione del 500° della Riforma luterana, che vedrà pregare insieme in Svezia il 31 ottobre i vertici delle Chiese cattolica e luterana.
È la prima volta nella storia che i cattolici e i luterani commemoreranno congiuntamente l’anniversario della Riforma a livello globale. Questo evento epocale riflette i progressi fatti in 50 anni di dialogo internazionale cattolico-luterano. Iniziato dopo le importanti decisioni prese dal concilio Vaticano II, il dialogo ha creato una comprensione reciproca. Ha aiutato a superare molte differenze, e per di più ha creato fiducia. Ha affermato la convinzione comune che quello che unisce cattolici e luterani è di più di quello che li divide. Ha dato espressione alla profonda convinzione di fede che, attraverso il battesimo, cattolici e luterani sono chiamati nello stesso corpo.
Non solo uomini: dopo le interviste a Sergio Rostagno e Giorgio Tourn (cf. Regno-att. 10,2016, 268; 12,2016,361), incontriamo la pastora battista Lidia Maggi, teologa nota anche per il suo impegno in campo ecumenico, che esercita il suo ministero a Varese. Il centro del colloquio è il ruolo della donna nella vita sociale e della Chiesa (ndr).
La Riforma ha con i suoi quattro «solus» – solus Christus, sola fide, sola gratia, sola Scriptura – ri-sostanziato l’Europa del messaggio cristiano: probabilmente ebbe ragione Friedrich Nietzsche nel celebre paragrafo 61 della sua opera L’Anticristo a incolpare Lutero, un «prete malriuscito», dell’avvenuta «restaurazione della Chiesa», laddove ci sarebbe dovuto essere non il «peccatun originale, il cristianesimo», ma «il trionfo della vita».
Echnaton (o Akhenaton) compose il grande e il piccolo Inno al sole attorno al 1345 a.C. Nel 1933 uscì il primo volume della tetralogia di Giuseppe e i suoi fratelli e nel 1943 il quarto e ultimo volume (cf. Regno-att. 1,2015,29). Circa 3.300 anni separano i due avvenimenti. Thomas Mann aveva visitato l’Egitto nel 1925 e nel 1930. Nel romanzo, Echnaton è il faraone del tempo di Giuseppe. E le allusioni testuali agli Inni al sole vi occupano un posto centrale, come ad esempio nella famosa interpretazione del sogno. Peter Sloterdijk definisce la tetralogia di Thomas Mann «il capolavoro nascosto della teologia moderna».
Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Giancarlo Azzano, Giacomo Coccolini, Eleonora Corti Savarese, Maria Elisabetta Gandolfi, Flavia Giacoboni, Manuela Panieri, Niccolò Pesci, Valeria Roncarati, Domenico Segna, Paolo Tomassone.
Moltmann muove dalla constatazione – come si evince dall’introduzione intitolata La vita ridotta del mondo moderno – che non ha senso parlare genericamente di secolarizzazione del religioso vista la distinzione che si è obbligati a fare quando si declina il termine stesso. Quel processo storico che inizia con la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici – questo il significato originario di «secolarizzazione», per poi proseguire nello scalzare dalla società civile tutta l’impalcatura teologica, filosofica e politica che aveva sorretto l’Europa sino all’«autunno» del Medioevo ha come suo esito la nascita del «mondo secolare».
Questo romanzo, si legge nel Poscritto, «è opera di finzione e tuttavia è anche un intreccio, una tessitura di storie o di spunti narrativi pescati durante il lavoro di documentazione: gli scrittori… sono come gazze ladre che rubano tutto ciò che luccica…». E Maria Rosa Cutrufelli lo fa magistralmente.
Da quando è stato pubblicato per la prima volta nel 1996, il celebre libro di Samuel P. Huntington Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale si è imposto come paradigma dominante per interpretare le fonti di conflitto fondamentali del prossimo futuro, non più riconducibili a ragioni di natura ideologica o politica, ma culturale. Sostanzialmente, afferma Huntington, sebbene gli stati nazionali rimarranno ancora a lungo gli attori principali nel contesto internazionale, i conflitti più importanti avverranno tra gruppi di diverse civiltà.
Francesco di Paola (1416-1507), «uno dei santi più venerati al mondo»: nel sesto centenario della nascita storici e biografi (Caridi, De Rosa, Mediavilla, Cozzolino) lo rileggono e insieme rileggono pezzi di storia religiosa e politica del Quattrocento nella linea tracciata da Galuzzi, Fiorini Morosini, Benvenuto.
Alberto Mello, monaco della Comunità di Bose da molti anni residente a Gerusalemme, con questo suo libro dà un seguito a quello da lui pubblicato due anni fa presso la stessa casa editrice, Il Dio di Abramo. Riflessioni sulla Genesi. In tal modo egli s’inserisce nella più battuta tra tutte le vie: il commento biblico condotto lungo la successione canonica dei libri.
Riflettere su Giuseppe Gangale (1898-1978) significa ripercorrere un periodo della storia passata che, molti, considerano ormai definitivamente chiusa ma che, in verità, come mostra il bel lavoro di Domenico Segna, rimane alle nostre spalle come una sorta di futuro che l’autore non si esime dal tratteggiare e per il quale, per certi aspetti, egli parteggia accorato.
Tecnicamente un romanzo di formazione ma che attinge a piene mani a una storia vera, quella di Giacomo e di suo fratello e della loro famiglia, «leggera» nella sua normalità. Situazioni e luoghi semplici, sin banali: l’auto sporca di briciole, una casa vivacemente disordinata, la scuola, gli amici, la musica, il basket, i compiti, l’adolescenza.
Non più «la guerra, non più» ripete il presidente Juan Manuel Santos, visibilmente commosso, e il pubblico gli fa eco replicando lo slogan più e più volte. Cartagena de Indias, 26 settembre 2016: ai 25.00 invitati è stato chiesto di vestire di bianco, come i protagonisti sul palco. È la firma dell’accordo di pace tra il governo colombiano e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia - Esercito del popolo (FARC-EP), rappresentate dal comandante Rodrigo Londoño Echeverri, alias «Timochenko». Nelle prime file siede il segretario di stato Vaticano, Pietro Parolin. Espressamente ringraziato è papa Francesco «per i messaggi e le preghiere che hanno sempre sostenuto il nostro cammino verso la pace».
Mons. Ramazzini, dal 2012 vescovo guatemalteco di Huehuetenango, dopo aver guidato per 24 anni la diocesi di San Marcos (cf. anche Regno-att. 18,2009,609; 12,2005,412), è una delle figure più note dell’episcopato latinoamericano, essendosi distinto per il suo impegno in favore della giustizia sociale, dei diritti delle popolazioni indigene e dell’ambiente, devastato dai progetti delle industrie transnazionali minerarie. Per questo ha ricevuto varie minacce di morte.
L’uccisione di afroamericani per mano di agenti di polizia bianchi è un elemento preoccupante della cronaca statunitense perché troppo spesso tornato sulle pagine dei giornali di queste ultime settimane e mesi, al punto che il riepilogo degli eventi e dei morti rischia d’essere incompleto.
Dopo aver ignorato gli elettori cattolici per quasi tutto il periodo elettorale, i media si sono finalmente svegliati,1 rendendosi conto che sono, in realtà, molto importanti. Finora, l’unico gruppo religioso su cui qualcuno aveva speso qualche parola era quello degli evangelici. È stato minuziosamente analizzato quanti sostenessero o no Donald Trump, ma nessuno si è preoccupato di come avessero votato i cattolici alle primarie.
Una grande incertezza regna sul futuro del Gabon. La dinastia Bongo ha regnato incontrastata sul paese dal 1967: prima Omar Bongo, poi, alla sua morte nel 2009, il figlio Ali, che prima della presidenza aveva ricoperto vari ruoli importanti nell’apparato politico gabonese, tra cui ministro degli Esteri e della Difesa, e per anni è stato membro dell’Assemblea nazionale, rieletto più volte come rappresentante della provincia dell’Haut-Ogooué, terra dei teke, la tribù della famiglia Bongo.
Tempo scaduto. Secondo la Costituzione, il termine ultimo per presentare il calendario elettorale in Repubblica democratica del Congo era il 19 settembre, tre mesi esatti prima dello scadere del mandato di Joseph Kabila. Ma nulla è stato reso noto entro i termini. Ed è scoppiato il caos.
Il 16 settembre sono stati ordinati sacerdoti tre diaconi laotiani nella cattedrale di S. Luigi di Thakhek, capitale della provincia di Khammouane e sede del vicariato di Savannekhet, dove si concentra la maggior parte della piccola minoranza cattolica del paese, composta prevalentemente da vietnamiti e da altri gruppi etnici minoritari. Un motivo d’orgoglio e di gioia per una giovane Chiesa formata da quattro vicariati apostolici (oltre a Savannakhet, al centro del paese, Luang Prabang, Vientiane e Paksé) a servizio di circa 45.000 fedeli su 6 milioni di abitanti, in maggioranza buddhisti.
Debellare la maternità surrogata «commerciale», che ha di fatto favorito lo sfruttamento della donna in India. È l’auspicio del governo indiano che ha presentato un progetto di legge, passato ora alla discussione del Parlamento.
C’è un «idealismo realistico» rispetto all’Europa che oggi i cristiani e le Chiese devono assumere, non come rassegnata rinuncia, ma come una «pazienza attiva» e coraggiosa che non vuole perdere la speranza. Sono le parole di mons. Egon Kapellari, vescovo emerito di Graz – Seckau, e già delegato presso il CCEE e la COMECE. Le ha pronunciate in occasione dell’annuale ritrovo dello Schulerkreis di Joseph Ratzinger che a Castel Gandolfo nell’agosto scorso si è riunito per parlare di Europa. Il realismo cui accenna Kapellari riguarda la tematizzazione di almeno cinque grandi questioni che oggi attanagliano il vecchio continente. «La questione di Dio»: pur essendo egli oggi un «estraneo», c’è tuttavia una nuova forma di ricerca e di attesa nei confronti della religione cristiana; l’ecumenismo, ribadito però nei suoi principi rifacendosi alla Dominus Iesus; l’immigrazione, in cui occorre distinguere «l’etica individuale» e «l’azione dello stato»; l’islam e una via possibile di dialogo a partire dalla connessione tra «bene, bello e vero» esistente in entrambe le religioni; la vita da curare e proteggere in ogni aspetto, anche ponendo «confini in materia di distinzione tra maschile e femminile».