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Libri del mese

Libri del mese

Estetica della fede. Una teoria culturale del cristianesimo attraverso l'arte

M. Neri
Il nesso arte-fede-teologia sembra godere oggi di nuova congiuntura favorevole nei territori della cultura europea. Il fatto, di per sé, deve essere accolto (e colto) come segno di buon auspicio, dopo stagioni troppo lunghe di reciproca estraneità e sospetto. A ben guardare però, a parte gli slanci di qualche affondo, ci troviamo ancora nella fase degli ammiccamenti. Si pro-cede con cautela, quasi a volersi proteggere da invasioni ritenute essere ancora indebite. È come quando, sulla scorta di un incontro fugace e fortuito, si sonda con discrezione il terreno per vedere se c’è la possibilità di intessere un più stabile e duraturo rapporto.

Scrivere per governare. Scritti pastorali nella Chiesa delle origini

F. Ruggiero
Con Seguendo Gesù i due curatori, noti anche per una Storia della letteratura cristiana antica (recentemente riedita da EDB, Bologna 2010) accolta con grande favore sia dal largo pubblico sia dagli ambienti accademici, si propongono ora di offrire al mondo degli specialisti e dei cultori della materia una rinnovata edi-zione, suddivisa in due volumi, dei principali testi cristiani più antichi, scritti nello stesso periodo in cui furono composte la maggior parte delle opere che entrarono a far parte del Nuovo Testamento o qualche decennio più tardi. Questo primo volume presenta, nell’ordine, le Didachai (comunemente indicate con il singolare Didachè) o Istruzioni degli apostoli, la Lettera di Clemente ai Corinzi detta anche Prima lettera di Clemente per distinguerla dalla cosiddetta Seconda lettera di Clemente) e le sette lettere di Ignazio di Antiochia. Il successivo volume vedrà la pubblicazione della lettera di Policarpo, del Pastore di Erma e della Lettera di Barnaba, aggiungendo così ulteriori sfaccettature al complesso panorama delle origini del cristianesimo.

La libertà e Dio. Pareyson, Dostoevskij e il «crogiolo del dubbio»

M. Ivaldo
Pareyson ha presentato la sua ultima filosofia co me un’ontologia della liber tà, che doveva de cli narsi come un’ermeneutica filosofica dell’esperienza religiosa, e che si pre senta in concreto come un ripensamento filosofico del cristianesimo.1 La natura filosofica di questa ermeneutica risiede nel fatto che essa doveva saper trarre dall’esperienza religiosa significati e motivi universalmente umani, capaci cioè di suscitare e richiamare l’interesse, se non il consenso, di ogni essere umano, credente o non credente. Si trattava per Pareyson non di rinnovare o aggiornare il cristianesimo, ma di «ritrovarlo» passando attraverso la crisi moderna dell’ateismo e del nichilismo. Non è possibile infatti per lui ritrovare il cristianesimo grazie a un semplice richiamo alla tradizione; tale richiamo de ve essere allo stesso tempo un approfondimento creativo, richiesto e dettato dalla crisi stessa, crisi che non può essere ignorata, ma deve essere affrontata e vissuta in tutta la sua radicalità.

Un quotidiano discorso sul prossimo. Ruolo dei cattolici nello sviluppo della televisione italiana

Emilio Rossi
Oltre alla teleinformazione religiosa, bisogna considerare un’altra area d’intersezione tra la storia del cattolicesimo contemporaneo e la piccola storia della nostra televisione. Parlo del ruolo che in questa piccola storia, per almeno tre decenni, hanno avuto sorprendentemente cattolici di vertice e di base. Non certo esclusivamente loro, ma in larga parte loro furono scelte strategiche di fondo, in vista di una televisione intesa quale strumento di promozione culturale e civile di vasti strati popolari, aperta al futuro, ma fedele ad antiche radici spirituali.

Emilio Rossi - Dentro la TV: Benedetto e gli altri

G. Mocellin
Chissà come l’avrebbe organizzata e poi raccontata, Emilio Rossi, la trasmissione televisiva annunciata per il pomeriggio del prossimo Venerdì santo, su RAI Uno, che ha indotto i giornali dell’8 e del 9 marzo a titolare: «Il papa risponde ai fedeli in TV». Mi riferisco a «Domande su Gesù», uno speciale della nota rubrica bisettimanale A sua immagine che va in onda ogni anno in quella giornata, ma che quest’anno prevede che Benedetto XVI, registrato da una troupe del Centro televisivo vaticano all’interno del Palazzo apostolico, risponda a tre domande tra quelle che arriveranno alla redazione del programma attraverso la posta ordinaria, le e-mail e il blog dove a tutt’oggi se ne contano già molte decine.

Del mutare dei tempi . Marisa Rodano: speranze e responsabilità della mia generazione

A. Deoriti
Leggendo e qua e là rileggendo i due corposi volumi dei diari di Marisa Rodano una prima osservazione impertinente che mi è venuta naturale concerne la denominazione «Diario minimo» preposta al titolo vero e proprio, Del mutare dei tempi, che riecheggia la Cronaca delle due città di Ottone di Frisinga. Non c’è nulla di minimo o di minimalista in queste pagine che scorrono rapide e gonfie come un fiume in piena, sorrette da un interno, palpabile vigore, e sono quanto mai lontane dalla diffusa propensione intimistica e solipsistica di altri diari; anzi, l’«io narrante» appare decisamente refrattario alla tentazione del ripiegamento su di sé, più estroflesso che introflesso (benché non manchino guizzi vividi sulle zone interne), e del tutto convinto delle buone ragioni di tale atteggiamento. In proposito, il capitolo 9 offre una serie di considerazioni importanti per capire che tipo di opera si abbia tra le mani. Considerazione generale, come una premessa: «La ricerca di un filo nel labirinto della memoria è un percorso accidentato; conduce verso vicoli ciechi: l’autoritratto, l’autobiografia, le confessioni, il cahier intime, l’evocazione proustiana, l’aneddotica, la divagazione saggistica... Difficile è scoprire cosa io voglia o possa scrivere, o più semplicemente cosa sia in grado di scrivere».

A partire da ciò che resta. Funzione politica e poetica di alcuni memoriali italiani

P. Stefani
Le catastrofi senza precedenti del Novecento hanno imposto – e in parte ancora impongono – d’inventare forme inedite di ricordo. Alcune spontanee, altre frutto di lunghe riflessioni, ma tutte, consapevolmente o inconsapevolmente, contraddistinte da un tratto inedito. Ben presto ci si accorse che le modalità consuete alle società precedenti dovevano subire profonde mutazioni. A volte si sono imposte da sé, al di là dell’intenzione di coloro che le avviarono. È comune contraddistinguere i luoghi segnati dalla morte. Ai nostri giorni, a chi percorre strade suburbane, è offerto lo spettacolo, un tempo infrequente, di vedere contrassegnati cigli, alberi e parapetti da mazzi di fiori, foto ingiallite, magliette o sciarpe o da più stabili cippi. Ognuno sa che si tratta di indicazioni luttuose. Evidente è anche il fatto che, non di rado, sono ricordi di giovani vite sacrificate non sull’altare del «dovere», ma su quello, oggi assai più cogente, dell’«evasione». Questi «non luoghi» stradali, intrinsecamente anonimi, vengono personalizzati dalle mani dei genitori o degli amici delle vittime. Perché si connota in modo memoriale l’oggetto fisico, la cui impenetrabile solidità è stata concausa della distruzione di una giovane esistenza?

Il gesù degli apocrifi. Una fantasiosa creatività tra popolo ed élite

G. Ravasi
Sotto il termine di «apocrifi » (letteralmente, dal greco, i libri «nascosti») si stende un’immensa letteratura: essa corre parallela ma autonoma rispetto all’Antico e al Nuovo Testamento che contengono invece i libri «canonici», ossia quelli riconosciuti dall’ebraismo e dal cristianesimo come testi sacri, ispirati da Dio. Questi documenti – esclusi dalla Bibbia ma non di rado molto amati e spesso adottati come base per l’iconografia, l’arte, le tradizioni, la letteratura sia nobile sia di bassa qualità (il Codice da Vinci di Dan Brown insegna…) – si distribuiscono anche nell’ultima fase dell’ebraismo anticotestamentario e fanno parte della letteratura religiosa giudaica.

Omelia di pietra. La Sagrada familia e il compimento spirituale di Gaudì

J.-P- Hernández
Lo scorso 7 novembre a Barcellona Benedetto XVI ha dedicato una solenne liturgia all’opera d’arte che molti hanno definito «una cattedrale nel deserto» (cf. in questo numero a p. 669). Il «Tempio espiatorio della Sagrada familia», elevata a rango di basilica, è senza dubbio l’opera più conosciuta del geniale architetto Antoni Gaudí. Ma è soprattutto una «pietra d’inciampo» nel contesto culturale della Barcellona odierna, dove i modelli di laicità non riescono ancora a liberarsi da schemi ottocenteschi marcati da feroci contrapposizioni.

Il cinema cristologico e riscritture audiovisive. Il problema delle traduzioni intersemiotiche

D. E. Viganò
La saggistica e la convegnistica hanno mostrato in questi ultimi anni un particolare interesse per il sacro (i suoi simboli e le sue retoriche di narrazioni) nei dispositivi testuali in genere, soffermandosi con attenzione specifica sul rapporto tra i testi biblici e le riscritture audiovisive, occupandosi anche del rapporto tra il cinema e la storia di Gesù. All’abbondanza di testi, convegni e seminari di studio corrisponde una molteplicità di approcci che a volte difficilmente si integrano in una prospettiva composita e unitaria. Del resto è comprensibile che un approccio storico al sacro nel cinema possa mettere in luce alcuni snodi anche linguistici della storia del cinema e, nel contempo, sia poco interessato a far emergere le coordinate socioculturali che hanno fatto da cornice produttiva per alcune delle più significative opere cinematografiche sulla vita di Gesù. Così come un’analisi attenta al contenuto, spesso meno interessata alle costruzioni testuali proprie di un approfondimento più specificamente semiologico.