Il 6 maggio, in Vaticano, nella Sala regia del Palazzo apostolico, papa Francesco ha ricevuto il «Premio Carlo Magno» 2016, riconoscimento assegnato ogni anno dalla città tedesca di Aachen, l’antica Aquisgrana, a personalità che si sono distinte per il loro impegno a favore della pace e dell’integrazione europee. Le motivazioni fanno riferimento al messaggio di speranza e incoraggiamento per l’Europa che il pontefice continua a proporre in un momento di crisi del processo d’integrazione, e citano in particolare il discorso pronunciato al Parlamento europeo durante la sua visita a Strasburgo (cf. Regno-doc. 21,2014,675ss). Il papa, nell’accettare il riconoscimento, ha ribadito «l’intenzione di offrire il prestigioso premio, di cui vengo onorato, per l’Europa: non compiamo infatti un gesto celebrativo; cogliamo piuttosto l’occasione per auspicare insieme uno slancio nuovo e coraggioso per questo amato continente». Il premio consiste in un attestato, accompagnato da una medaglia raffigurante Carlo Magno sul trono e da una cifra simbolica di 5.000 euro. Tra i premiati nelle ultime edizioni ricordiamo il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble e il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Nel 2004 fu assegnato in via straordinaria un premio anche a papa Giovanni Paolo II.
Il 12 giugno, mentre nel Regno Unito si surriscalda il clima in vista del referendum sulla permanenza o meno del paese nell’Unione Europea, l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, che è a capo della Chiesa di stato anglicana, ha dichiarato e argomentato la propria posizione, restare nell’UE, in un articolo sul Mail on Sunday (www.churchofengland.org; nostra traduzione dall’inglese).
«Papa Francesco riesce, con i lavori di ambedue i Sinodi, a rivolgere alle famiglie uno sguardo positivo, profondamente ricco di speranza. Ma questo sguardo incoraggiante sulle famiglie richiede quella “conversione pastorale” di cui l’Evangelii gaudium parlava in maniera così entusiasmante». La presentazione dell’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia, che il card. Christoph Schönborn ha fatto l’8 aprile nella Sala stampa vaticana in occasione della pubblicazione del documento, pone l’accento sulla novità di linguaggio del testo, che recepisce e conferma il confronto avvenuto nei due Sinodi dei vescovi sulla famiglia, quello del 2014 e quello del 2015. Insieme, contestualizza l’Amoris laetitia nelle linee programmatiche del pontificato tracciate con l’esortazione apostolica Evangelii gaudium. È stato lo stesso Francesco – nel viaggio aereo di ritorno da Lesbo, il 16 aprile – a raccomandare la lettura della presentazione del card. Schönborn, per capire quali «nuove possibilità concrete» vi siano nella prassi pastorale che riguarda la famiglia.
Lo stesso giorno di pubblicazione del motu proprio sulla vigilanza dei vescovi per la protezione dei minori e degli adulti vulnerabili dagli abusi (in questo numero a p. 265), il 4 giugno, papa Francesco ha approvato ad experimentum lo statuto di un nuovo dicastero, nel quale confluiranno dal 1° settembre gli attuali Pontifici consigli per i laici e per la famiglia, e a cui sarà connessa la Pontificia accademia per la vita. Articolato in tre sezioni, avrà un unico prefetto, un segretario «che potrebbe essere laico», e tre sotto-segretari laici, e sarà dotato di «un congruo numero di officiali, chierici e laici, scelti, per quanto è possibile, dalle diverse regioni del mondo, secondo le norme vigenti della curia romana». Si nota lo sforzo di rappresentare adeguatamente le varie realtà globali, per rispecchiare «il carattere universale della Chiesa». La sezione per i laici, in particolare, avrà tra le sue competenze quella di valutare «le iniziative delle conferenze episcopali che chiedono alla Santa Sede, secondo le necessità delle Chiese particolari, l’istituzione di nuovi ministeri e uffici ecclesiastici». La decisione era stata suggerita dal Consiglio dei nove cardinali e comunicata dal papa il 22 ottobre 2015, durante una congregazione del Sinodo dei vescovi sulla famiglia; ed è in elaborazione un’altra fusione tra i Pontifici consigli della giustizia e della pace, «Cor unum», per gli operatori sanitari e della pastorale per i migranti e gli itineranti in un dicastero su «Carità, giustizia e pace».
L’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (CEI), che si è riunita dal 16 al 19 maggio presso l’Aula del Sinodo in Vaticano, ha concluso il percorso sulla formazione dei presbiteri che aveva avviato a partire dall’Assemblea straordinaria di Assisi nel 2014 (cf. Regno-doc. 21,2014,689). Dopo aver ascoltato le parole del papa sulla figura del prete e del parroco (in questo numero a p. 274), la prolusione del presidente della CEI card. Angelo Bagnasco e le relazioni di mons. G. Sigismondi sulla «Dimensione spirituale ed ecclesiale» e di mons. L. Ghizzoni sulla «Dimensione amministrativa ed economica», i vescovi hanno approfondito il tema per gruppi di studio e nel dibattito assembleare, e hanno quindi affidato al Consiglio permanente il compito di studiare «contenuti e forme per mettere a disposizione questo tema, con i punti essenziali della formazione permanente nelle diverse tappe della vita sacerdotale». Nel segno poi «della chiarezza e della trasparenza», l’Assemblea ha aggiornato all’unanimità una Determinazione sulle procedure per l’assegnazione e la rendicontazione in ambito diocesano delle somme provenienti dall’otto per mille. Hanno preso parte ai lavori 242 membri, 35 vescovi emeriti, il nunzio apostolico in Italia, 19 delegati di conferenze episcopali estere e 30 rappresentanti di religiosi, consacrati e della Consulta nazionale per le aggregazioni laicali.
«Le cure palliative si sono rivelate un’opera di profonda umanità, che manifesta la solidarietà della società con i suoi membri più provati, la presa in carico della loro vulnerabilità e il riconoscimento della loro dignità». Il Parere del Gruppo di lavoro sull’etica nella ricerca e nella medicina della Commissione degli episcopati della Comunità europea (COMECE) su Le cure palliative nell’Unione Europea, pubblicato il 22 febbraio, vuole dare un contributo alla discussione avviata dall’UE nell’opinione pubblica del continente per arrivare a un quadro europeo sulle cure palliative. In quest’ottica, oltre a ribadire il tradizionale magistero morale che sostiene e incoraggia le cure palliative, ben distinte dall’eutanasia che è rifiutata, apre la platea dei destinatari non più solo ai pazienti oncologici terminali, ma a tutti i malati afflitti da dolore implacabile; acquisisce dalla ricerca medica il concetto di «dolore totale», che coinvolge gli aspetti spirituali, psicologici, emotivi e sociali della sofferenza; elabora e accoglie il principio di prudenza anche per gli aspetti dell’alimentazione e dell’idratazione; e infine raccomanda fortemente l’eliminazione progressiva delle disparità di accesso nei paesi UE. La cure palliative «meritano di essere attivamente promosse, così che si possano sviluppare per rispondere ai bisogni crescenti di società che invecchiano e che hanno una parte sempre più grande di popolazione sofferente per malattie croniche e quindi bisognose di tali cure».
«Una visione del matrimonio – come unione di un uomo e una donna – che in precedenza era comune ai credenti come ai non credenti, trasversalmente a tutta una varietà di culture e di epoche, sta diventando sempre più una verità che non può essere detta. Una ridefinizione del matrimonio ha conseguenze per tutti». I vescovi cattolici australiani, nella loro lettera pastorale Non fare confusione sul matrimonio a tutti gli australiani sul dibattito riguardo al «matrimonio omosessuale», pubblicata il 25 novembre 2015, riaffermano il rispetto per le persone con orientamento omosessuale, e al tempo stesso ribadiscono i motivi per i quali il matrimonio si differenzia dalle unioni omosessuali. Tra le sottolineature degne d’attenzione si trova la parte finale, che esamina le difficoltà giuridiche e contestuali nelle quali istituzioni e organismi cattolici, o anche privati cittadini, si trovano quando dichiarano la loro concezione di matrimonio come unione esclusivamente tra uomo e donna.
Il 2 luglio gli australiani saranno chiamati alle urne per le elezioni anticipate. In vista dell’appuntamento, il 15 maggio i vescovi cattolici australiani hanno pubblicato una Dichiarazione dal titolo Un voto per chi non ha voce, in cui richiamano l’attenzione su una serie di persone – in primis i rifugiati e i richiedenti asilo – emarginate dalla diffusa «cultura dello scarto».
«Parlare di lui non a partire da un singolo aspetto, fosse pure il più importante per chi ne parla o per il popolo di Dio che ha amato e servito con tanta dedizione, ma a partire dai luoghi della sua lunga vita, che non sono stati mai per lui semplici riferimenti geografici, ma sempre e soprattutto una geografia dell’anima, una sorta di itinerario dello spirito educato ad ascoltare, apprendere e donare, che è durato tutta la vita». Spentosi il 26 maggio 2016 a Bergamo a 101 anni, il card. Loris Francesco Capovilla – personaggio chiave della Chiesa del post-Concilio e fedele segretario e amico di Giovanni XXIII – è stato commemorato al termine della messa delle esequie il 30 maggio a Sotto il Monte da mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, dove Capovilla era stato arcivescovo dal 1967 al 1971. Il ricordo, una «geo-biografia», ripercorre i luoghi di «don Loris» dalla formazione veneziana agli anni del Concilio vissuti in stretta collaborazione con il papa che lo aveva voluto, Giovanni XXIII; dal ministero episcopale a Chieti e a Loreto alla lunga stagione di Sotto il Monte, dove per quasi trent’anni ha offerto a tutti «la testimonianza luminosa della visione profetica del papa di cui era stato fedelissimo segretario, lanciando innumerevoli stimoli alla Chiesa in Italia e nel mondo nello spirito del Vaticano II».
Padre Pino Puglisi – sacerdote assassinato da due sicari di Cosa nostra il 15 settembre del 1993, beatificato il 25 maggio 2013 a Palermo – è il primo martire della Chiesa ucciso dalla mafia. Don Massimo Naro, docente di Teologia sistematica alla Facoltà teologica di Sicilia, in questa conversazione con 120 preti dell’arcidiocesi di Milano giunti in pellegrinaggio sulla tomba del beato, avvenuta il 14 aprile 2016, rilegge la figura e l’azione pastorale del parroco di Brancaccio, tentando di collocarla «in una cornice complessa più che vasta»: non solo il contesto territoriale, rappresentato dalla Sicilia e dalla Palermo in cui si trovò a operare, ma anche il tempo – il periodo compreso tra il Vaticano I e il Vaticano II – in cui completò la sua formazione di presbitero. «Don Puglisi ha maturato il suo profilo di testimone di Cristo già prima di arrivare a Brancaccio. E già quando è parroco a Godrano, e poi incaricato della pastorale vocazionale per la diocesi di Palermo, già allora capisce che il suo fare il prete non può prescindere dal suo esser-prete; già in quegli anni non semplicemente svolge (…) il suo ministero sacerdotale, ma anche vive radicato nel mistero di Dio e comincia a guardare e a vedere con gli occhi di Dio il mondo, la Chiesa, i giovani della sua diocesi, la gente della sua Palermo».