Ora che è stato detto tutto, ed è stato detto di tutto, da parte delle istituzioni (da quelle medico-scientifiche alla politica), e in Rete, sui media, da parte di tanti; ora che il coronavirus sta assumendo il volto inarrestabile e pervasivo di una pandemia; in quest’ora toccherebbe alla Chiesa fare sentire la propria voce. Perché ci avviciniamo alla Pasqua.
L’epidemia da coronavirus (COVID-19), con tutte le conseguenze che ha generato, ha posto molte comunità cristiane di fronte a una situazione del tutto inedita. L’elemento più critico, che giorno dopo giorno si è rivelato fonte di un crescente senso di straniamento, è stata la decisione – presa responsabilmente dalle diocesi – di sospendere tutte le azioni rituali (a partire dall’eucaristia) e le varie attività pastorali che potessero generare assembramenti di persone.
Le locuste stanno distruggendo l’Africa orientale. Duecento miliardi di cavallette del deserto (schistocerca gregaria) hanno invaso Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Uganda, Tanzania e ora si stanno dirigendo verso l’interno, minacciando anche la Repubblica democratica del Congo. Nel loro passaggio divorano vegetazione e raccolti, lasciando il deserto dietro di sé.
Sono state già scritte tante riflessioni su questo capovolgimento di ruoli. Oggi che siamo noi ad avere bisogno, oggi che siamo noi ad avere paura, oggi che siamo noi ad avere l’istinto della fuga, dal Nord o da un ospedale che ti ha dato la diagnosi che non vuoi sentire, oggi che siamo noi i rigettati, le persone non gradite, i respinti alle frontiere… giudicheremo ancora con supponenza?
La domanda odierna di rabbinato femminile fa riferimento all’idea, relativamente nuova nella storia del pensiero umano, che ognuno debba mettere al centro la propria autorealizzazione e la propria autonomia. Il femminismo, a detta del rabbino, nasce dall’idea che ogni persona abbia diritto all’autorealizzazione, la cosa peggiore che possa capitarle è non vivere al massimo delle sue potenzialità.
La questione femminile nella Chiesa dal punto di vista della biblista francese Anne-Marie Pelletier, docente di Sacra Scrittura ed Ermeneutica biblica.
Contro il machismo, la misoginia, i femminicidi e la violenza di genere: in un paese dove nel 2019 ne sono state uccise più di 1.000, il 9 marzo le donne hanno scioperato per un giorno. Un día sin mujeres, diffuso sui social anche con l’hashtag #UnDíaSinNosotras: un giorno senza di noi, per scomparire in segno di protesta contro una piaga in espansione, per immedesimarsi con le donne uccise, che hanno smesso per sempre d’andare al lavoro, portare i figli a scuola, fare la spesa, pubblicare sui social.
Tre giorni di «ritiro» per realizzare la prima esperienza sinodale che coinvolge l’intera Chiesa spagnola. Dal 14 al 16 febbraio. Nel Pabellón de Cristal della Casa de Campo di Madrid. Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici. Nessuna discriminazione o nessun privilegio che provenisse dall’accredito «vocazionale» che ognuno portava al collo; né per prendere posto a una conferenza, né per prendere la parola in un gruppo di riflessione... Il pastore era in mezzo al suo gregge. Così ha preso forma il Congresso nazionale dei laici, che aveva come motto: «Popolo di Dio in uscita».
Quattro itinerari con le linee d’azione per i cristiani spagnoli dopo il Congresso. Cova Orejas, Gabino Uríbarri, Xavier Morlans e Agustín Domingo Moratalla hanno sviluppato gli argomenti da dibattere nei forum di discussione: accompagnamento, formazione, primo annuncio e vita pubblica.
Venerdì notte, poco prima delle dieci. Veglia di preghiera del Congresso dei laici. Uno scenario essenziale, spoglio. Oscurità. Solo un paio di luci, per il cero pasquale e l’evangeliario. Presiede il ministro vaticano Kevin Farrell. Dopo l’ascolto della lettura in cui Gesù invita i suoi discepoli a dare sapore e luce alla terra, seguono le poche parole del prefetto del Dicastero per i laici e la musica per meditare. Silenzio. Carlos García de Andoin prende posizione davanti a un leggio.
Il mese scorso Il Sole 24 ore ha ospitato notizie contrastanti: riportava l’ennesimo bollettino ISTAT sul calo dei nati in Italia e, a poche pagine di distanza, la foto del volantino distribuito dal comune di Cremona che riportava alcune indicazioni di buone pratiche ecologiche: «Meno auto, meno sprechi» e, appunto, «meno figli». Il calo delle nascite, secondo gli esperti, non è motivato soltanto dalla diffusione di moderne coppie childfree (ossia che volutamente non vogliono un figlio), ma da molteplici fattori socio-culturali nonché dalla diminuzione della fertilità, equamente distribuita tra donna e uomo.
Ormai da un ventennio la politica iraniana oscilla, come nel movimento ondulatorio di un pendolo, tra fasi riformiste e ripiegamenti militaristi e integralisti. Le elezioni parlamentari dello scorso 21 febbraio hanno segnato il tramonto dell’era del presidente moderato Hassan Rohani e di quanti, all’interno della classe dirigente iraniana, avevano scommesso sulle possibilità di un reintegro della Repubblica islamica nella politica e nell’economia internazionali.
I risultati delle indagini sugli abusi spirituali e le violenze sessuali di Jean Vanier sono il caso più eclatante e scioccante in questa nuova fase storica della crisi ecclesiale (cf. qui a p. 150). Specialmente a partire dal 2017-2018, la crisi ha assunto una dimensione globale, anche nella percezione dell’istituzione ecclesiastica e dei suoi vertici in Vaticano, e non è più riducibile ai casi di abusi e violenze commesse da membri del clero contro minori e giovani.
Sul caso Jean Vanier è stato ormai scritto tutto e, lodevolmente, la fonte principale delle informazioni è L’Arche International stessa – l’ente che coordina le diverse realtà fondate da Vanier – che, per bocca dei suoi responsabili Stephan Posner e Stacy Cates-Carney, ha rese note il 22 febbraio le conclusioni di un’inchiesta affidata a un organismo indipendente britannico.
Tra le linee guida uscite dall’Assemblea plenaria biennale dei vescovi indiani, quella particolarmente spinosa delle violenze sessuali e degli abusi all’interno della Chiesa. Una problematica che va emergendo con casi d’ampio impatto mediatico, sia per i contrasti suscitati nella comunità cattolica, sia per il risalto che inevitabilmente acquistano in un contesto di assedio delle minoranze da parte dell’estremismo induista che ha il sostegno della politica oggi maggioritaria nel Parlamento centrale e in molti degli stati e territori dell’India.
Il mestiere di vivere, nella contemporaneità globalizzata e digitale, è un’impresa. Si deve funzionare come una macchina: i ritmi forsennati del mondo accelerato non permettono di dare tempo al tempo. Stare sempre accesi è il nuovo imperativo categorico. Se vivere è un’impresa, l’uomo diventa imprenditore, di se stesso. La competizione è agguerrita e non si può sbagliare; ognuno è sottoposto a pratiche di valutazione permanente. Che cosa resta dell’umano nella società della performance?
Uno degli aspetti più rilevanti dell’attuale crisi ecclesiale si manifesta nel moltiplicarsi delle notizie relative ai casi di pedofilia che hanno coinvolto il clero di ogni parte del globo. Il fenomeno ha determinato una perdita di credibilità della Chiesa agli occhi dei contemporanei: come può essere «madre e maestra» un'istituzione che non rispetta i ragazzi a essa affidati?
Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Giancarlo Azzano, Maria Elisabetta Gandolfi, Flavia Giacoboni, Giuliano Martino, Valeria Roncarati, Daniela Sala, Domenico Segna, Paolo Tomassone.
Il «crescente e latente rancore presente nella società» ha un nome preciso: odio. E lo si trova declinato in tanti modi. Nel libro-intervista il cardinale di Bologna ne va a indagare le radici. E le trova prima di tutto tra le pieghe dell’individualismo, che non conduce necessariamente a odiare, ma «quando esso si contrappone a ogni spirito di fraternità, può facilmente scolorire nell’odio.
La mafia è in continua espansione in ogni parte d’Europa. Per comprendere il fenomeno occorre partire dalla constatazione della straordinaria capacità di mimetizzazione che obiettivamente i mafiosi rivelano nel momento in cui lasciano le zone d’origine per trapiantarsi in altre. Fanno di tutto per passare inosservati e spesso ci riescono. Brave persone, non disturbano, si dice spesso di loro. Cercano di sembrare gente qualunque, inoffensiva.
Siamo di fronte a un libro intervista risalente a una conversazione tenutasi il 25 gennaio 1994 nella sua cella di san Gregorio al Celio a Roma. Il nastro della registrazione si era perduto. È merito di Raniero La Valle, amico intimo di Calati, l’averlo ritrovato e aver curato la sua pubblicazione. La Valle presenta questo «resoconto stenografico» come la «straordinaria conversazione» tra Calati e «due amici che lo interrogavano per carpirgli il segreto della sua vita» (13).
Il 2° volume delle opere d’Idelfonso Schuster invita a rileggere Benedetto come padre dell’Europa. E parallelamente Raymond Oursel e Léo Moulin prendono in considerazioni i monasteri europei come luogo fondativo del continente: affiancare i due testi è affrontare un racconto limpido e pieno di fascino; è mettersi in un viaggio nella storia, nella geografia e nel mistero del cuore umano.
L’uscita dell’edizione 2019 dell’Annale Chiesa in Italia cade nel 65o anno di esistenza della rivista e quasi nel 30o dell’intera serie di questi volumi: il primo infatti venne chiuso agli inizi del 1993 e faceva riferimento agli eventi occorsi tra il 1991 e il 1992. Così, riandando ai motivi che ci spinsero a immaginare questo strumento, ve ne furono tre essenziali che ancor oggi mantengono la loro attualità: lo sguardo che ogni fine d’anno la redazione getta agli eventi appena trascorsi; il venir meno dei testimoni del Concilio; l’aprirsi di un periodo di radicale cambiamento in campo sociale e politico.
I «sintomi morbosi», su cui riflette lo storico britannico Donald Sassoon, sono, dunque, riconducibili a quel limbo su cui si appuntò l’intelligenza politica di Gramsci nel periodo più buio della sua esistenza, quando nel carcere fascista di Turi scrisse i celebri Quaderni. Non a caso il pensiero gramsciano fa da esergo al volume di Sassoon, il quale con stile pungente, a tratti ironico, mostra in maniera inequivocabile quanto l’origine dei problemi che si registrano in Europa nell’attuale fase storica, in ordine alle politiche d’integrazione fra e degli stati, risalgano a una precisa parabola a poco a poco definitasi nell’arco di un trentennio.
Il lavoro di Testa Bappenheim è molto ambizioso: articolato in 4 capitoli (che senza fatica costituirebbero non solo delle parti, ma delle monografie in una tetralogia), l’autore affastella e compara profili giuridici risalenti a molte longitudini e latitudini dell’Europa e dell’Occidente atlantico. Benché la sua tesi, esposta nel 1o capitolo, sia che la controversia sui simboli religiosi consista in un fenomeno squisitamente postmoderno, ogni fatto analizzato (inclusi il recentissimo affaire Ploërmel [379] e il meno recente e noto affaire Moloney [781]) viene non solo considerato sui piani sincronico e diacronico, ma soprattutto inquadrato in un’ottica di lunga durata.
Si potrebbe definire una lettura appassionata e militante dei 27 anni e mezzo di un pontificato i cui lati negativi – come l’aver dato «troppo spazio e troppa autorità alla curia romana», e «l’aver tardato ad affrontare la gravissima questione dei preti pedofili» e alcune nomine «non sempre trasparenti» (17) – vengono addebitati al suo entourage.
La ricerca esamina le ragioni e le modalità con cui la Santa Sede si è accostata e continua ad accostarsi al tema della proprietà intellettuale (IP) internazionale, in modo da definire i tratti della sua agenda in questo ambito della diplomazia multilaterale e tenendo presente la crescente rilevanza che la proprietà intellettuale sta acquisendo nel diritto commerciale e nelle relazioni politiche tra gli stati. Si tratta della tesi di dottorato in Diritto canonico che l’autore, attualmente segretario della nunziatura apostolica in Repubblica Centrafricana e in Ciad, ha conseguito presso la Pontificia università lateranense.
La nota quanto eccentrica scrittrice francese si cimenta in un monologo in prima persona su Gesù. In Francia il volumetto è stato un successo e le sue presentazioni hanno pervaso tutti i canali. Certo lo stile è accattivante e totalmente alieno da quell’ecclesiasticume – e come potrebbe? – di cui spesso i temi religiosi sono incrostati e, al dunque, la «sete» provata da Cristo in croce e praticata da lui come via di ascesi mistica («l’istante ineffabile in cui l’assetato porta alle labbra un bicchiere d’acqua è Dio», 41) è la sete d’ogni uomo nei confronti di Dio, dell’amore, del senso delle cose.
Dal febbraio 2020 la Relazione finale della Commissione Ruini sul «fenomeno Medjugorje», ovvero il documento, datato 17 gennaio 2014, che ricapitola i lavori della Commissione internazionale d’inchiesta su Medjugorje costituita nel 2010 da papa Benedetto XVI presso la Congregazione per la dottrina della fede sotto la presidenza del card. Camillo Ruini, è pubblica.
Il centenario della nascita del regista, nato a Rimini il 20 gennaio del 1920, è stato accompagnato da una grande messe di studi, lavori critici, riflessioni, approfondimenti. Qui tentiamo un viaggio nel Fellini di carta, quello che è affidato (e si affida) alle parole: le parole di chi lo ha raccontato, mappandone l’arte e l’alfabeto. Ma, anche, le parole pronunciate dello stesso regista, maestro indiscusso nell’arte affabulatoria come in quella cinematografica.
C’è un filo rosso che accomuna le storie di persone vulnerabili: la difficoltà nell’accesso ai servizi che ogni stato offre, o dovrebbe offrire, per garantire i diritti fondamentali di ognuno. Ed è su questo che Caritas italiana ha indagato in vista della realizzazione del Cares Report, il rapporto annuale di Caritas Europa sulla povertà nel continente – che raccoglie i dati delle 49 organizzazioni aderenti – presentato il 19 febbraio a Bruxelles alla vigilia della Giornata mondiale della giustizia sociale.
L'uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, divenuta ufficiale il 31 gennaio scorso, ha messo gli organismi che rappresentano l’unione degli episcopati europei nella condizione di dover ridefinire i rapporti costruiti negli ultimi cinquant’anni, accompagnando il processo dell’unione dell’Europa, e anzi dando un sostegno decisivo alla causa dell’unificazione nella stagione dell’Europa politicamente divisa.
Il capitolo 6 degli Atti degli apostoli «presenta un esempio paradigmatico di come i mutamenti socio-culturali esigano dalla comunità cristiana di ripensarsi e ristrutturarsi continuamente nella dottrina e nella prassi, per fedeltà al Vangelo, che le richiede l’attenzione ai bisogni storico-concreti della comunità in cui vive e a cui deve l’annuncio della Parola e la testimonianza d’impegno solidale nel compito di promozione umana, soprattutto dei più poveri e sofferenti». L’ampio commento di don Giovanni Ferretti parte da qui per porre un parallelo tra il testo e gli obiettivi di riforma che il pontificato di Francesco si è dato. Obiettivi che rispondono a una serie di sfide: lo spostamento dallo scontro con alcuni temi della postmodernità all’assunzione della sfida della povertà e in generale d’ogni forma d’esclusione (eco-nomico-sociale); la sfida del pluralismo religioso e culturale; quella del potere e del clericalismo; quella della lettura dei segni dei tempi; quella – forse la principale – della misericordia come «forma della testimonianza cristiana».