Il 20 e 21 settembre gli elettori sono stati chiamati a decidere se confermare o meno la riforma costituzionale che prevede la riduzione dei deputati da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200. Negli stessi giorni, oltre 18 milioni di italiani sono stati chiamanti a eleggere i consigli regionali e i presidenti di 7 regioni (Valle d’Aosta, Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Campania e Puglia) e quasi 6 milioni a scegliere da chi farsi amministrare nei 957 comuni di residenza.
La pandemia ha improvvisamente cambiato la vita organizzata delle persone e dei popoli. I governi hanno fatto di tutto per evitare un collasso del sistema sanitario e porre fine alla crescita esponenziale dei contagi. Questo non è riuscito a tutti i paesi, neppure a molte regioni ricche e certamente non a quelle nazioni povere con un sistema sanitario precario o praticamente inesistente.
Mentre inizio a scrivere questo articolo (12 ottobre), il social network Nexta informa che il viceministro dell’Interno bielorusso ha appena affermato che «a causa della radicalizzazione della protesta, la polizia e le truppe speciali del Ministero hanno avuto il permesso di usare armi letali».
Le parole hanno un valore grande e, a volte, anche la frequenza della loro ricorrenza è significativa. Iniziando la lettura di Fratelli tutti, la terza lettera enciclica di papa Francesco, si rimane colpiti dal fatto che più volte compaiono il sostantivo «sogno» e il verbo «sognare», soprattutto nell’Introduzione (nn. 1-8), ma anche in altri passaggi del documento, fino a giungere alla preghiera finale: «Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace». Un sogno che egli consegna «a tutte le persone di buona volontà» (n. 56).
Giovanni Benelli (1967-1977), Eduardo Martínez Somalo (1979-1988), Giovanni Battista Re (1989-2000), Leonardo Sandri (2000-2007), Fernando Filoni (2007-2011). Basta ricordare i nomi dei predecessori di Giovanni Angelo Becciu nell’ufficio di sostituto per gli affari generali (cioè di responsabile della I sezione) della Segreteria di stato e associarli ai tre papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, dei quali sono stati a servizio, per cogliere il ruolo che chi occupa quell’ufficio riveste nel governo centrale della Chiesa, ovvero il grado di fiducia che il papa deve riporre in questo suo cruciale collaboratore.
Quello del card. Becciu è un pasticcio. Un pasticcio causato da atteggiamenti che potremmo definire superficiali e familistici. Esso ci racconta in termini più generali come vi sia un serio e perdurante problema nel governo della Chiesa. Non conosciamo le operazioni incriminate compiute dal cardinale, il quale era già ai vertici della Chiesa sin dal pontificato precedente. Qui il tema va posto a un livello più ampio e generale. Oltre il singolo caso.
Il dialogo tra Santa Sede e Cina che si sta svolgendo durante questo pontificato ha radici antiche: è la continuazione di un cammino iniziato molto tempo fa. Papa Francesco ha richiamato spesso una delle grandi figure che ha iniziato tale dialogo, Matteo Ricci, ed è tornato recentemente a parlarne dicendo: «Matteo Ricci e i suoi compagni sono entrati a fondo nella cultura locale (…) e solo dopo questo percorso hanno ritenuto di affermare “il Vangelo può vivere anche qui” [in Cina]. Lo stesso è successo con Roberto de Nobili in India. Curioso il fatto che entrambi fossero italiani. Questo deve far pensare: che cosa hanno gli italiani per avere questa capacità di universalizzare?».
Ricordare un anniversario importante come i 150 anni dall’arrivo dei primi missionari dell’istituto nella Cina continentale. E insieme provare a guardare dentro alla Cina di oggi, nei suoi mille volti. Era nata così – parecchi mesi fa – l’idea del convegno «Un’altra Cina», che il Centro missionario PIME di Milano insieme al Seminario internazionale dell’istituto (che ha sede a Monza e forma i futuri missionari provenienti da tutto il mondo) hanno organizzato per il 3 ottobre nel capoluogo lombardo.
L’8 novembre in Myanmar si terranno le elezioni politiche. Charles Bo, arcivescovo di Yangon, salesiano, creato cardinale da papa Francesco nel 2015 e attualmente presidente della Federazione delle conferenze episcopali asiatiche (FABC), si è distinto per la sua parola chiara. In occasione dell’appuntamento elettorale ha invitato i propri concittadini a partecipare al voto.
In Thailandia si è riaccesa la protesta e questa volta a dare voce all’insoddisfazione diffusa sono gli studenti universitari. Da tempo la protesta covava sotto le ceneri di passate tensioni, non ultima quella che 10 anni fa trasformò il centro di Bangkok in un campo di battaglia, con una novantina di morti, durante l’azione militare del 19 maggio 2010 (cf. anche Regno-att. 16,2017,494; 20,2018, 622; 8,2019,240; 22,2019,646).
L’11 novembre i cristiani dell’India, di varie denominazioni, osserveranno la «Domenica di liberazione dei dalit» con una liturgia comune e attività di sensibilizzazione verso la discriminazione di cui sono vittime i battezzati di origine castale bassa, fuoricasta o tribale. Il 60% dei 25 milioni di battezzati indiani vive infatti in una condizione che non solo li emargina dalla società ma che ne riduce il ruolo e la partecipazione anche nella Chiesa cattolica. Un paradosso, dato che essi (come pure i musulmani) sono in maggioranza eredi di conversioni attuate proprio per sfuggire ai vincoli castali e realizzare liberamente la propria vocazione.
La preghiera ebraica che i figli recitano per la morte dei propri genitori è il Qaddish, un testo in cui non si parla mai di morte. Non lo si recita in favore di chi ci ha lasciato, lo si pronuncia dopo di lui e in virtù del suo esserci stato: senza quella vita non ci sarebbe neppure quella dei figli. La formula ebraica per onorare un defunto è: «il suo ricordo sia in benedizione (zikhronò le-vrakhàh)».
Il gesuita tedesco Augustin Bea (1881-1968) è stato uno dei grandi protagonisti dell’aggiornamento ecclesiale promosso dal coetaneo Giovanni XXIII. La sua figura è indissolubilmente legata al Segretariato per l’unità dei cristiani. Nel maggio 1969, al momento di elencare le commissioni incaricate di predisporre i lavori del concilio Vaticano II, il pontefice chiamava il quasi ottuagenario religioso a dirigere questo nuovo organismo, indicando esplicitamente – ed era il solo caso – il nome di chi l’avrebbe presieduto.
Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Giancarlo Azzano, Antonio Ballarò, Maria Elisabetta Gandolfi, Flavia Giacoboni, Valeria Roncarati, Daniela Sala, Domenico Segna
La personalità di padre Benedetto Calati si è rivelata a lui stesso, prima ancora che ai suoi interlocutori, in modo lento e graduale. La sua infanzia e prima adolescenza gli avevano insegnato la normalità di un paese e di una chiesa della penisola salentina. Humus culturale e spirituale abitato da luci e ombre, queste ultime spesso molto oscure non soltanto sul piano sociale, ma anche religioso.
Il titolo originale del volume, risalente al 2017, è tradotto alla lettera in italiano. Dunque anche in tedesco vi è un interrogativo, a cui segue un sottotitolo senza che ci sia la presenza di un esplicito «no». La formulazione adottata suona non priva di aspetti paradossali. Sarebbe stato più lineare optare per una titolazione tipo: «Alla fine l’eterno? Sulla risurrezione e sulla vita in Dio». La scelta compiuta dall’anziano biblista gesuita (è nato nel 1934) è giustificata dal fatto che una delle tesi di fondo del volume è legata a un aut aut: o c’è il nulla o c’è la risurrezione e la vita eterna, tertium non datur.
Il libro si propone di essere «una specie di palinsesto pedagogico, un percorso di riflessione e ricerca con tappe (…): prevede un punto di partenza, un punto d’arrivo e un itinerario da percorrere che comprende movimento e sosta» (13). Milan riesce nell’intento di raggiungere un equilibrio tra considerazioni teoriche e suggerimenti concreti per compiere fino in fondo, nella nostra quotidianità, quel cammino necessario per arrivare a considerare l’altro non più un avversario ma un interlocutore, e a immaginare una cittadinanza globale, attiva, responsabile, solidale, ospitale, fraterna.
Un libro scritto per ragazzi si è «trasformato in un libro sapienziale per adulti, oggetto di un’incessante pratica ermeneutica e appiglio sdrucciolevole verso una deriva interpretativa. In questo gioco, tuttavia, ciò che si perde è il testo stesso, sostituito dalla teoria che lo riscrive» (VII), scrive Veronica Bonanni. Entrare nel laboratorio di Pinocchio significa innanzitutto questo: restituire l’opera di Collodi al suo disegno originario. Riscattare Pinocchio da un «gioco», quello della continua reinterpretazione in cui smarrirsi, è il «testo» stesso.
L’autrice avanza l’idea che la ricomprensione del rapporto tra i sessi sia una questione sociale di livello globale, al pari di crisi come quella ecologica, la povertà o le migrazioni. Ricorre quindi intelligentemente all’enciclica di papa Francesco Laudato si’, estendendo al rapporto tra i sessi gli argomenti che il papa riserva al rapporto tra esseri umani e ambiente. A questo proposito, «la fede cristiana può essere una risorsa non solo per l’emancipazione femminile, ma anche per la ridefinizione dell’identità maschile» (15). Il percorso vorrebbe essere simile qui a quello collaudato per l’ebraicità di Gesù, sia pure senza «la stessa delicatezza» (20).
Si tratta di un testo rigoroso ed esigente, quanto lo può e lo deve essere una dissertazione dottorale: si tratta infatti della pubblicazione di un dottorato in Teologia dell’evangelizzazione, sostenuto nel 2019 presso la Facoltà teologica dell’Emilia Romagna. Non esiste tuttavia un solo genere di rigore e Cugini lo mostra subito: dichiara nelle premesse metodologiche di basarsi sulla propria esperienza in Brasile (1998-2013), di fare tesoro e rimandare esplicitamente alla genealogia della catena umana, se così si può dire, degli studi compiuti a Bologna citando corsi, lezioni, docenti, e, a partire da questo luogo teologico concreto, riferisce con acribia anche degli studi scientifici di ecclesiologia, senza partire deduttivamente da questi.
Parliamo con Nicoletta Dentico, responsabile del programma «Salute globale» per la Society for International Development – un consorzio internazionale che si occupa di giustizia e sviluppo dal 1957 – proprio nei giorni di uscita del suo nuovo libro Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantropocapitalismo (EMI, Verona 2020). È di qui che la nostra conversazione prende avvio.
Il 6 ottobre 2020 il continente americano registra la metà dei casi di COVID-19 del mondo e oltre la metà dei decessi, con più di 17 milioni di contagi e oltre 574.000 morti. Secondo quanto riferisce la Organización panamericana de la salud (OPS), l’epidemia si diffonde anche tra i giovani, i quali, pur senza presentare sintomi importanti, non sono esenti dallo sviluppare gravi patologie a seguito del virus. Permane la preoccupazione per i gruppi più fragili.
Chi era «Padre Marella»? Come il suo nome si è legato alla città di Bologna? Perché venne accusato di modernismo? E, soprattutto, sappiamo quanto innovative erano le sue idee pedagogiche e culturali? Il percorso storico che sta dietro alla beatificazione di questo santo della carità secondo la visione paolina è spiegato in queste pagine da Fabio Ruggiero, perito nella causa di beatificazione di don Olinto.
Dalla natale Pellestrina, dove nacque la sua vocazione, passando per gli studi a Roma, fino all’insegnamento a Bologna, l’Olinto noto per il suo pastrano e il cappello teso a chiedere l’elemosina diventa persona di vivace intelletto. «Si batté per il valore della libertà dei figli di Dio e con intima coerenza restò fedele ai doveri del proprio stato sacerdotale, sentendosi fermamente chiamato a esso», nonostante le difficoltà, i contrasti e le amarezze. «Sovente non compreso nella sua portata spirituale e nel suo disegno formativo, anche a motivo di un carattere particolarmente ostinato e finanche orgoglioso, visse sulla propria pelle la complessa storia del rinnovamento culturale del cattolicesimo italiano tra seconda metà dell’Ottocento e iniziali decenni del Novecento, prima di scegliere risolutamente la via dell’amore fraterno verso i più deboli come compimento di un travagliato percorso personale di sacerdote, insegnante ed educatore».