Si cambia. Anzi no. La legge di bilancio 2019, nella versione inviata alla Commissione Europea (tecnicamente il Draft Budgetary Plan, DBP), e lo scenario economico aggiornato in cui è stata incastonata rappresentano una cesura rispetto alla condotta tenuta dai governi delle passate due legislature. E allo stesso tempo un ritorno all’antico.
Oscurato dalla campagna mediatica firmata dall’ex nunzio Viganò, l’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese sulla nomina dei vescovi firmato a Pechino il 22 settembre tra il sottosegretario per i rapporti della Santa Sede con gli stati, Antoine Camilleri, e il viceministro degli Affari esteri cinese, Wan Chao (cf. Regno-doc. 17,2018,526; Regno-att. 4,2018,70), è di gran lunga la notizia più importante che riguarda il Vaticano e il suo pluriennale sforzo diplomatico. A esso papa Francesco teneva in modo tutto particolare.
L’anno 2018 ha aperto una fase nuova, rispetto a quella iniziata nel 2002, nella storia dello scandalo delle violenze sessuali e negli abusi commessi dal clero e occultati dalle gerarchie. Gli sviluppi di questi ultimi mesi in molti paesi (Australia, Cile, Germania tra gli altri) parlano di un contesto globale. Il caso Viganò ha aperto uno squarcio importante per capire la crisi in corso all’interno degli Stati Uniti e tra questi e Roma. La crisi delle violenze sessuali è diventata una delle armi usate per combattere le «culture wars» tra liberal e conservatori che attraversano la Chiesa americana fin dagli anni Ottanta.
Nell’ambito dell’incontro internazionale «Ponti di pace» organizzato dalla Comunità di S. Egidio a Bologna (15.10.2018), il card. Walter Kasper, già vescovo di Rottenburg-Stoccarda e presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha pronunciato questo discorso sull'Europa soffermandosi in particolare sulle tre dimensioni di crisi che la stanno attraversando.
Non è il tempo del pessimismo o dell’indifferenza. Quello attuale deve diventare un «tempo di grandi opportunità» per gli uomini di buona volontà e per le religioni che hanno davanti a loro varie strade. È questo l’appello al dialogo arrivato da «Ponti di pace», l’incontro internazionale della Comunità di Sant’Egidio che ha chiamato a raccolta a Bologna, dal 14 al 16 ottobre, oltre 300 leader delle comunità religiose. Un dialogo necessario per vincere «la cultura del disprezzo» e per abbattere quei «muri» che «indeboliscono le religioni e il mondo».
Presentando il 18 settembre scorso, nella Sala stampa vaticana, la costituzione apostolica di papa Francesco Episcopalis communio sul Sinodo dei vescovi, il card. Lorenzo Baldisseri, che del Sinodo dei vescovi è il segretario generale, non ha esitato a parlare di una «vera e propria “rifondazione” dell’organismo sinodale», alludendo in particolare alla volontà del papa – già manifesta nel suo discorso per il 50° del Sinodo, d’inquadrare stabilmente questa istituzione «entro la cornice di una Chiesa costitutivamente sinodale»
In occasione del Sinodo dei vescovi, la stampa ha dato un certo rilievo a un movimento, nato spontaneamente in diversi paesi, che chiede al papa di concedere voto deliberativo alle donne partecipanti a vario titolo ai lavori sinodali. Le sintesi giornalistiche non hanno sempre aiutato a comprendere la portata della richiesta, trattando il Sinodo alla stregua di un’assemblea democratica le cui regole escluderebbero le donne in quanto donne, mentre darebbero pieni poteri deliberativi agli uomini ancorché non vescovi.
Nel corso di un suo recente viaggio in Italia abbiamo avuto occasione d’incontrare p. David Neuhaus. Nato ebreo e diventato gesuita, Neuhaus è stato a lungo vicario del Patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di lingua ebraica (cf. la sua lettera pastorale del 2015 La Chiesa nel cuore di Israele, Regno-doc. 38,2015,36). Attualmente insegna sacra Scrittura in diverse istituzioni in Israele e in Palestina tra cui l’Università di Betlemme e il Seminario patriarcale latino di Beit Jala.
Il giorno dopo il suo ottantanovesimo compleanno è venuto a mancare il biblista gesuita Ugo Vanni, noto in particolare modo per i suoi studi sull’Apocalisse. Pubblichiamo ampi stralci tratti da un’intervista inedita che aveva concesso nel 2012 a Paolo Pegoraro, capo-ufficio stampa della Pontificia università gregoriana.
L’Assemblea generale straordinaria della CEI che si svolgerà a Roma il 12-15 novembre prossimi avrà al centro un tema formulato in modo ampio: «Riscoprire e accogliere il dono della liturgia della vita della Chiesa. Prospettive e scelte pastorali in occasione della terza edizione italiana del Messale romano».
Il rapporto fra protestantesimo e crescita economica non è certamente nuovo. Ciò che colpisce è il fatto che a distanza di tempo, il protestantesimo sembra essere ancora in grado di inoculare nei suoi adepti uno spirito di dinamismo e di ambizione sociale modificando alla base il loro rapporto con la disciplina e con il lavoro. In quale modo? Tramite quali meccanismi? Seguiamo la nascita e l’articolazione di questa nuova concezione protestante del lavoro, percorrendo tre tappe: una teologica, una sociologica e una culturale.
Il copione è sempre lo stesso. Inizia con una notifica sul cellulare. È l’ennesima notizia di un massacro a Beni, città di 500.000 abitanti nella provincia del Nord Kivu. Poi, a distanza di qualche ora, arrivano le foto. Inguardabili, come sempre. Un balletto di numeri, che stavolta si stabilizza sulla cifra ufficiale di «soli» 18 morti (14 civili e 4 militari) e 9 feriti (6 civili e 3 militari). Poi i comunicati stampa, gli appelli, le denunce, le marce di protesta, destinati come sempre a cadere nel vuoto. Questo angolo di mondo non ha diritto nemmeno alla cronaca. Una strage infinita, che si consuma dal 2014, dramma nel dramma interminabile del ricchissimo e straziato Congo.
Da anni figura di primo piano nel panorama congolese, il medico Denis Mukwege, vincitore insieme a Nadia Murad del Nobel per la pace 2018, racconta di essersi trovato suo malgrado a «riparare le donne» vittime di violenze brutali. All’inizio era un semplice ginecologo e ostetrico. L’unico, nella provincia del Sud Kivu. Si occupava di maternità, di salvare donne con gravidanze difficili. Poi, è iniziata la guerra. E con essa, la «guerra nella guerra», quella combattuta sul corpo delle donne, delle mamme, delle giovani, delle bambine, anche molto piccole.
Nelle ultime settimane gli attacchi a Francesco si sono intensificati. Su questo sfondo è sorta la nostra iniziativa Pro papa Francesco. Come primo passo abbiamo redatto una lettera aperta al papa. In essa si ricorda brevemente in apertura l’ostinata opposizione contro di lui come l’occasione che ci ha spinti a scrivergli la nostra lettera d’incoraggiamento. Poi si apprezza la sua cultura pastorale. Questo passo della lettera sfocia nel sogno del papa di una «Chiesa madre e pastora». Si assicura al papa che i firmatari della lettera aperta condividono questo sogno.
La conoscenza di un’enciclica – uno degli atti solenni in cui, dalla metà del Settecento, si esprime il magistero pontificio – trova uno dei momenti euristicamente più rilevanti nella ricostruzione del suo processo redazionale. Ora Gilfredo Marengo, docente di Antropologia teologica presso il Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del matrimonio e della famiglia, pubblica per la Libreria editrice vaticana un volume sulla genesi dell’Humanae vitae, l’ultima enciclica di Paolo VI, promulgata mezzo secolo fa, nel luglio del 1968.
Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Giancarlo Azzano, Luigi Bosi, Maria Elisabetta Gandolfi, Flavia Giacoboni, Manuela Panieri, Niccolò Pesci, Valeria Roncarati, Domenico Segna, Paolo Tomassone.
Il 1968, annus horribilis per alcuni, formidabile per altri. A cinquant’anni da quell’evento epocale non potevano mancare dei saggi da parte degli storici o dei protagonisti di una stagione irripetibile (cf. Regno-att. 14,2018,2397). Tra i primi usciti in libreria c’è la ricostruzione di Agostino Giovagnoli Sessantotto. La festa della contestazione (San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 2018, pp. 263, € 24).
Il tema principale di questo libro è l’amore. Poche altre parole, come Dio e Amore, significano oggi per persone diverse cose tanto diverse. Mi chiedo quale senso possano avere le celebri sentenze bibliche sull’amore per quelle persone che vedono la stessa parola «Dio» che si nasconde nell’oscura nube dell’incertezza, o tutt’al più le conduce a porsi altre domande, invece di essere per loro una risposta definitiva; Nietzsche ha espresso questa condizione con la frase: «Dio è morto».
Rileggere Ban Zhao nel tempo del #MeToo. Bene, Ban Zhao era una donna colta, figlia e sorella di letterati di corte. Rimasta vedova giovane, non si risposa, diventa storica di corte benché non ufficialmente, e scrive. Precetti per le donne è un librino in 7 capitoli idealmente rivolto alle sue figlie, in cui si rivolge alle donne ma in realtà parla agli uomini.
Tre mesi di bando totale: la clamorosa decisione è stata comunicata dal governo burundese a tutte le ONG operanti sul territorio nazionale il 27 settembre dal luogotenente generale Silas Ntigurirwa, segretario del Conseil national de sécurité (ai cui vertici siede il presidente Pierre Nkurunziza), ed è entrata in vigore il 1o ottobre. La sospensione ha come scopo ufficiale quello di un vaglio serrato dell’operato delle ONG: chi vorrà proseguire il proprio lavoro, in questi tre mesi dovrà sottoscrivere 4 documenti vincolanti. In caso contrario, ci sarà la radiazione.
Tra il 17 e il 18 settembre padre Pier Luigi Maccalli, missionario della Società delle missioni africane, è stato sequestrato in Niger al confine con il Burkina Faso (cf. in questo numero a p. 553). Il suo rapimento ha riportato alla ribalta in Italia il fenomeno del jihadismo nel Sahel. È un dramma esploso l’11 settembre 2001 con l’attentato alle Torri gemelle di New York. E attorno a quell’episodio, attraverso la predicazione di Osama bin Laden, il verbo salafita assume un nuovo appeal in Medio Oriente e in Africa.
«L’esercito birmano deve essere rinviato a giudizio presso un tribunale internazionale» perché responsabile di «inconcepibili livelli di violenza» contro i musulmani rohingya, costretti alla fuga in 700.000 verso il Bangladesh nel tentativo di espellerli dal Myanmar perché non gli si vuol riconoscere la cittadinanza. Sono queste le affermazioni di una responsabilità sostenuta a metà settembre davanti al Consiglio ONU per i Diritti umani da Marzuki Darusman, presidente della Missione d’indagine sul Myanmar.
La fiducia dei migranti, la sfiducia degli italiani. Potremmo anche dire così. A fronte della vitalità, oltre che della necessità, che spinge donne, uomini, intere famiglie all’immigrazione, un crescente sentimento degli italiani di paura e di sfiducia. Paura degli altri o sfiducia in noi stessi? La sfiducia in noi stessi attiene agli elementi di fondo, culturali, economici, istituzionali. In particolare la sfiducia nelle istituzioni, che caratterizza da sempre gli italiani, fa percepire, pure considerando analoghe difficoltà di altre nazioni europee, il fenomeno migratorio come minaccia per noi ingovernabile. Anche a fronte di atteggiamenti di tipo razzistico che si presentano nel nostro paese, lo studio che qui presentiamo mette in luce che l’alternativa è tra nuovi modelli di integrazione da un lato e rifiuto, chiusura totale dall’altro. Nel primo caso l’immigrazione è trasformabile in risorsa, nel secondo rimane un problema. La scelta riguarda l’idea di futuro che il nostro paese immagina per sé e, attraverso di sé, per l’Europa. L’indagine che segue, curata dai proff. Paolo Segatti e Federico Vegetti dell’Università Statale di Milano, e voluta dalla Caritas Italiana e dalla rivista Il Regno, intende porre la questione su basi di conoscenza, al di fuori di ogni strumentalità.
Se il Rosario avrà un futuro, e tutto lascia credere che lo avrà, non sarà né per le metamorfosi dello spirito di Lepanto, né per usi propagandistici compiuti all’ombra della dorata Madonnina che svetta su Milano; lo avrà perché sarà ancora una preghiera recitata con il cuore.
Da sette anni sono il presidente della giuria del Premio Castelli, un premio «letterario» per detenuti che ha dietro la Società di San Vincenzo de’ Paoli. Carlo Castelli (1924-1998), vincenziano operoso, è stato un pioniere del volontariato carcerario. Da questa esperienza ho ricavato una qualche conoscenza delle carceri e qualcosa ne ho riferito in questa rubrica nei mesi di ottobre del 2014, del 2016 e del 2017.