H. Legrand
La rinuncia di Benedetto XVI al suo ministero ha suscitato molta emozione nell’opinione pubblica e fra i cattolici. In coro i media rendono omaggio al coraggio, all’umiltà, alla lucidità e alla libertà del papa: a loro avviso, un esempio per i politici che si aggrappano al potere, come Fidel Castro, Chavez e altri. Da parte cattolica, la dimensione etica della decisione è fuori discussione. Si esprimono invece reticenze sul piano spirituale. Un cardinale polacco sottolinea che «Giovanni Paolo II [era] rimasto; aveva compreso che dalla croce non si scende». Per altri, «questa dimissione del papa – un ponte che collega terra e cielo – è una catastrofe». Facendo eco, a loro giudizio, allo «sgomento di una parte non trascurabile di cattolici», i due professori di filosofia concludono la riflessione comune con un grido disperato: «Nostro papa, perché ci hai abbandonati? ». Infine, un arcivescovo francese ha dichiarato che Giovanni Paolo II ci aveva dato «l’esempio di cos’è una fedeltà fino alla fine. (…) Quando si è papa, lo si resta fino alla morte. È stato sempre così » e la Chiesa – sembrerebbe pensare il presule – se l’è cavata bene.
In breve, questa rinuncia non è ovvia per taluni cattolici. Perciò, senza ritornare sulle dichiarazioni già citate, vale la pena riflettere sul fondamento teologico di questo passo e sulle sue eventuali conseguenze.
Articolo, 15/02/2013, pag. 107