P. Stefani
Capita a volte che alcune espressioni restino per anni, o forse per decenni, in un limbo che non le rende né ignote, né conosciute. Le si sa e le si ignora a un tempo. Ciò avviene in molti ambiti, compreso quello della riflessione spirituale, sapienziale, biblica. Qualche formula la si è udita da molto tempo, la si è recepita, la si è persino studiata, senza per questo porsi la domanda più elementare relativa al suo significato base. Non pochi hanno sentito parlare di «servo del Signore». Alcuni sanno che nel rotolo del profeta Isaia ci sono dei canti che lo riguardano (Is 42,1-7; 49,1-9; 50,4-11; 52,13-15; 53,11-12). Altri conoscono persino l’espressione ebraica di ‘eved Adonai e non sono all’oscuro di dibattiti e interpretazioni collegati a questo personaggio. Eppure tutto ciò può coabitare con l’assenza di un interrogativo elementare, quello che si chiede se questa figura sofferente riceva la propria qualifica in quanto è una persona che sta offrendo il proprio servizio a Dio, o se, al contrario, l’espressione vada intesa dall’altro lato pensando a un essere umano di cui il Signore si serve.
Parole delle religioni, 15/03/2009, pag. 211