La sua visita a Napoli, dello scorso 21 marzo, papa Francesco ha voluto iniziarla dalla periferia, da Scampia, quartiere tristemente noto per vicende di violenza e malavita organizzata. «Chi prende volontariamente la via del male ruba un pezzo di speranza, (...) ruba speranza a se stesso, agli altri, alla società», ha detto nell’incontro con gli abitanti sottolineando alcune «ferite» aperte nel tessuto civile, come l’immigrazione, la mancanza di lavoro per i giovani, la corruzione. Temi ripresi anche nell’omelia in Piazza del Plebiscito, nella quale ha esortato i napoletani a «non lasciarsi rubare la speranza» e la gioia del cuore che li distingue: «Reagite con fermezza alle organizzazioni che sfruttano e corrompono i giovani, i poveri e i deboli, con il cinico commercio della droga e altri crimini. (...) Non lasciate che la vostra gioventù sia sfruttata da questa gente! La corruzione e la delinquenza non sfigurino il volto di questa bella città!».
Al termine della celebrazione eucaristica in Piazza del Plebisicito, il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, ha rivolto al papa un indirizzo di saluto con le parole che riportiamo di seguito (www.chiesadinapoli.it).
Lo scorso 11 marzo, il cardinale segretario di stato Pietro Parolin è intervenuto all’annuale «Dies Academicus» della Pontificia università gregoriana di Roma. Quest’anno, in un clima geopolitico segnato da una perdurante instabilità, il titolo della giornata era: «La pace: dono di Dio, responsabilità umana, impegno cristiano». Parolin ha sviluppato il tema chiarendo la natura e il compito dell’azione diplomatica della Santa Sede nella costruzione della pace mondiale. «La Santa Sede opera sullo scenario internazionale non per garantire una generica sicurezza (...), ma per sostenere un’idea di pace frutto di giusti rapporti, di rispetto delle norme internazionali, di tutela dei diritti umani fondamentali», ha detto, precisando che la diplomazia vaticana «ha una chiara funzione ecclesiale». Essa «è lo strumento di comunione che unisce il romano pontefice ai vescovi delle Chiese locali o che consente di garantire la vita delle Chiese locali rispetto alle autorità civili», ma anche «il veicolo del successore di Pietro per “raggiungere le periferie”, sia quelle della realtà ecclesiale che quelle della famiglia umana», dove i diplomatici sono chiamati ad agire come «mediatori» per costruire la comunione.
«“L’uomo è un crepaccio assetato d’infinito”. Solo l’infinito che è Dio può saziare il cuore. È in questo “crepaccio” che Gesù ci si fa incontro. Non disprezzando o prosciugando l’acqua dei nostri tanti pozzi, ma semplicemente rivelandone la non esaustività, l’insufficienza e l’inadeguatezza». Uno «scavo del desiderio» accompagnato dal racconto giovanneo dell’incontro al pozzo tra Gesù e la donna di Samaria (Gv 4,1-42). È questo l’itinerario proposto dal vescovo di Alghero-Bosa, mons. Morfino, nel suo messaggio per la Quaresima e la Pasqua 2015. «Il Signore spinge la samaritana e noi a un rinnovato scavo del desiderio e indica un itinerario per non restare intrappolati nei tanti nostri pozzi, nei nostri molteplici possessi. Ascoltare ciò che rimane inappagato nel più intimo del nostro desiderio, è il cammino che in questa Quaresima e in questa Pasqua può diventare, per la nostra Chiesa, esperienza esodale di liberazione e di risurrezione», scrive Morfino, individuando nella preghiera il luogo che pone «di fronte alla volontà del Padre per compierla come figli nel Figlio», e che al contempo «sollecita a inoltrarsi progressivamente negli stessi desideri divini, a desiderare come Dio desidera».
In occasione dell’Anno della vita consacrata, mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, ha voluto che il suo messaggio per la Quaresima aiutasse a «riflettere sul dono che rappresentano i consacrati in mezzo a noi, nel desiderio di vederli sempre più risplendere della luce di Cristo, che ha rapito il loro cuore e vorremmo rapisse il cuore di tutti». Un testo breve, nel quale il pastore si augura che i religiosi, segno profetico del mistero che avvolge il presente, siano «presenza contagiosa della santità, cui tutti siamo chiamati». La vita consacrata «ci richiami alla promessa del futuro di Dio e ci aiuti a vivere la vigile attesa della speranza nella fatica dei giorni», scrive Forte, che consapevole del tempo afferma: «Sappiamo di non dovervi lasciare soli: voi appartenete a tutta la Chiesa». E conclude: «L’impoverimento della vita religiosa è impoverimento di tutta la Chiesa: una comunità incapace di esprimere vocazioni alla verginità consacrata in vista del Regno dei cieli, non saprà esprimere neanche vocazioni autentiche e gioiose al matrimonio cristiano e, in generale, alla vita vissuta nella sequela di Gesù».