«La Prima repubblica non si scorda mai». Così cantava Checco Zalone nel film Quo vado?, raccontando un personaggio dal cialtro-opportunismo bonario. Stiamo diventando la caricatura di un passato a cui s’aggrappa il vecchio e il nuovo ceto politico, il quale punta come il protagonista del film al posto fisso. Una politica modello Zalone.
Non è vero che il Vaticano sia sull’orlo del fallimento ma è vero che la riforma dell’economia avviata da Benedetto XVI e continuata da Francesco non ha – fino a oggi – raggiunto gli obiettivi essenziali. Tra questi c’erano la riduzione della spesa e la trasparenza della gestione: la spesa continua ad aumentare e la trasparenza appare irraggiungibile. Ma non manca qualche segno di speranza che viene dalle ultime nomine ai ruoli di vertice e dalle procedure d’accertamento degli illeciti, che pare abbiano preso a funzionare.
Complici le festività natalizie e il tono meno polemicamente diretto nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche e delle «piaghe della Chiesa», il discorso di papa Francesco alla curia romana del 22 dicembre 2019 per la presentazione degli auguri natalizi è passato quasi sotto silenzio (Regno-doc. 1,2020,5). Rappresenta invece uno dei testi più importanti, innanzitutto sul tema della riforma della curia, qui affrontato per la prima volta in modo sistematico dal papa, e che a questo punto non tarderà ad arrivare. Papa Francesco riassume qui il significato degli accorpamenti dei dicasteri di curia già avvenuti, e annuncia il titolo della nuova costituzione apostolica sulla riforma: Praedicate evangelium.
Durante l’ultimo Avvento papa Francesco ha preso delle decisioni non routinarie in ordine all’assetto delle due istituzioni – la curia romana e il collegio cardinalizio – che, anche per il fatto di avere in comune diversi uomini-chiave, ricoprono cum et sub Petro un ruolo fondamentale nel governo centrale della Chiesa. La prima, in ordine di tempo, è la chiamata del card. Luis Antonio Gokim Tagle, arcivescovo di Manila, a Roma, quale prefetto dell’attuale Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. La seconda decisione riguarda il ruolo di decano del Collegio cardinalizio. Vi si accede per elezione da parte del ristretto gruppo dei cardinali vescovi.
Il tema della «custodia del creato» – ispirato alle parole di Genesi 2,15 –1 definisce l’impegno delle Chiese cristiane nel dibattito sull’emergenza ambientale. L’apporto cristiano alla causa ecologista è divenuto da diversi anni uno degli aspetti di rilievo del cammino ecumenico, al quale le diverse Chiese contribuiscono attingendo alla loro specifica tradizione spirituale. A questo dibattito si è progressivamente affiancata una riflessione intorno all’impatto esercitato dallo sviluppo economico sull’ambiente e sempre di più le Chiese avvertono la necessità di unire le proprie voci affinché il loro appello possa trovare ascolto presso il potere secolare.
Il primo tentativo di mediazione per risolvere la frattura tra le Chiese ortodosse, nata in seguito alla concessione dell’indipendenza (autocefalia) alla Chiesa ortodossa d’Ucraina (OCU) da parte del Patriarcato Ecumenico (cf. Regno-att. 10,2019,303), era stato quello dell’arcivescovo ortodosso di Cipro Chrisostomos II, ed era naufragato prima dell’estate. Ora sembra destinata a naufragare anche la seconda mediazione, tentata negli ultimi mesi. Il patriarca Teofilo di Gerusalemme, durante una visita a Mosca in novembre, ha proposto di svolgere ad Amman, in Giordania, un incontro panortodosso (o «sinassi») per ricomporre le divisioni.
Da alcune settimane in Montenegro e nella capitale serba Belgrado si svolgono manifestazioni di protesta contro la Legge sulla libertà di culto e sullo statuto giuridico delle comunità religiose, che è stata approvata dal Parlamento di Podgorica il 27 dicembre ed è entrata in vigore l’8 gennaio. Le proteste hanno assunto a tratti forme violente, e ne è rimasto ferito anche un vescovo.
È una semplice constatazione affermare che, a causa della presenza del cristianesimo, gli ebrei, per secoli, sono stati considerati in Occidente una minoranza diversa da tutte le altre. Ci sono state comunità ebraiche anche in India e in Cina, ma là nulla li distingueva da altri gruppi minoritari. Vi è una domanda ingenua che si sente ripetere tante volte: perché gli ebrei sono stati sempre perseguitati? A essa occorre rispondere secondo due linee principali.
Il 27 gennaio di quest’anno ricorrono i 75 anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, universalmente noto per il suo nome tedesco ma collocato nella cittadina di Oswiecim in Polonia. Ma l’anniversario è già connotato da un conflitto sull’interpretazione storica della Shoah tra la Polonia e Israele. La World Holocaust Forum Foundation e il Memoriale dello Yad Vashem hanno organizzato per il 23 gennaio, in occasione delle commemorazioni per il 75° anniversario, il V Forum mondiale sulla Shoah, al quale hanno già confermato la propria presenza – tra gli altri 30 capi di stato invitati – i presidenti di Italia, Francia, Germania e Austria.
Il 40o Colloquio ebraico-cristiano di Camaldoli è stato dedicato alla memoria di Lea Sestieri, scomparsa nel 2018 a 105 anni, un’intellettuale, una donna di spiritualità e di dialogo che tanto ha contribuito allo sviluppo dell’iniziativa. Il ricordo è avvenuto all’interno di un’edizione incentrata sul tema «Il maschile e il femminile nella tradizione ebraica e cristiana», un inedito nella lunga stagione dei colloqui che al loro esordio hanno visto la partecipazione di personalità dell’ebraismo come Manuela Sadun Paggi e Mirjam Viterbi Ben Horin.
Il 2 dicembre scorso è morto a Münster il teologo Johann Baptist Metz. Era unanimemente riconosciuto come il fondatore della «nuova teologia politica», che, all’incirca a metà degli anni Sessanta del secolo scorso, si era imposta come il tentativo di correggere criticamente la tendenza di molta teologia attuale alla privatizzazione.
A Pinerolo l’anno pastorale 2018-2019 è iniziato guardando una pagnotta. Quest’anno, invece, la protagonista è una caffettiera e l’esplicito invito a «regalare tempo», a concedere un pezzo della propria vita agli altri. «Vuoi un caffè?» è il titolo della lettera scritta dal vescovo Derio Olivero alla sua comunità. Ci si aspetterebbe un volume pieno di citazioni bibliche, meditazioni teologiche e appuntamenti degli uffici pastorali. Sfogliandolo ci s’imbatte, invece, in pagine che illustrano La danza di Matisse o L’attesa di Casorati, riflessioni a partire da dipinti e foto del passato e del presente, indicazioni per vivere la propria vita di fede attraverso gesti, racconti, testimonianze e preghiere.
Nessuna nostalgia per i modelli autoritari di tanta storia passata, impositivi, punitivi, repressivi; per il padre-padrone, per i castighi umilianti in collegio, a scuola, in casa; per la stagione in cui ai bambini era fatto divieto di parlare se non interpellati, o in cui il destino dei figli, e soprattutto delle figlie, era spesso condizionato dalla volontà del clan famigliare. Nessuna nostalgia: ma nell’istruttivo gioco del confronto tra passato e presente, consci che le derive del costume possiedono una forza vincente, possiamo se non altro constatare alcune criticità dei nuovi modelli.
Il volume Scrivo all’amico raccoglie, a eccezione di due precedenti lettere, il carteggio intercorso tra La Pira e Montini tra il 1951 e il 1963. Lo scambio epistolare tra i due corrispondenti ha, rispetto a questa edizione, più larghi limiti cronologici. Lo testimonia la trascrizione di oltre 1.000 lettere indirizzate dal professore fiorentino a Montini che si trova nel CD allegato al volume Unità della Chiesa, unità del mondo pubblicato nel 2017 a cura di Augusto d’Angelo (edizioni Polistampa).
Il volume di Guglielmo Forni Rosa Scritti cristiani. La religione di fronte alla modernità (Persiani Editore, Bologna 2019, pp. 254, € 16,90) raccoglie scritti d’occasione pubblicati su riviste e giornali dal 1983 ai giorni nostri. A esso l’autore ha assegnato un titolo che è per metà assertivo – Scritti cristiani –, dunque riflessioni di un intellettuale che si professa cristiano; e per metà discorsivo –La religione di fronte alla modernità –, che suggerisce piuttosto una trattazione storico-filosofica.
Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Luigi Bosi, Maria Elisabetta Gandolfi, Flavia Giacoboni, Niccolò Pesci, Valeria Roncarati, Daniela Sala, Domenico Segna.
La comunità delle benedettine di Viboldone – oasi silenziosa e insperata nella trafficatissima bassa milanese – assicura la sua presenza orante dal 1941, quando madre Margherita Marchi (Bologna 1901 – Viboldone 1956) e con lei un gruppo di consorelle approdarono all’antica Abbazia degli Umiliati. Ora nella collana esce il carteggio tra Margherita Marchi e quello che ne fu il padre spirituale in anni per lei assai travagliati, il servita Luigi Maria Tabanelli.
Il testo introduce il lettore italiano a una nuova prospettiva filosofico-politica, quella della postcritica, che sta avendo un’importante risonanza internazionale (si pensi al lavoro di Rita Felski o al recente volume in lingua francese Postcritique curato da Laurent De Sutter), ma che non ha ancora trovato uno spazio adeguato nel dibattito italiano. L’autore in una novantina di pagine si rivela capace di compiere un’operazione importantissima: mettere all’opera la postcritica come gesto e postura filosofica, evitando volutamente di limitarsi a una ricostruzione accademica e sterile del dibattito tra critica e postcritica.
Una comune sventura lega Tantalo, Tizio, Sisifo, Prometeo: l’eternità del supplizio a cui sono condannati. Che si tratti di sostenere un sasso, trasportarlo su una vetta per poi vederlo rotolare e iniziare da capo in eterno o avere il fegato divorato incessantemente da un’aquila, quello che accomuna questi personaggi della mitologia greca è che la pena che viene loro inflitta non ha mai fine, si sostanzia in una tortura ininterrotta.
Nel 2019, proclamato dall’UNESCO anno internazionale della Tavola periodica degli elementi di Mendeleev a 150 anni dalla pubblicazione, la rivista Nature (https://go.nature.com/30p3i4C) ha ricordato le donne che hanno scoperto elementi e il cui lavoro è stato, spesso, misconosciuto, con il merito attribuito solo ai colleghi maschi con cui esse lavoravano.
In Orissa induismo, animismo, cristianesimo e le altre minoranze religiose sembrano poter convivere, anche se ciò avviene grazie alla loro separazione territoriale, in parte dovuta all’ambiente, in parte alla diffidenza se non alla rivalità tra etnie. Ma per il 7% di cristiani, che si stima sia presente sul territorio, la convivenza con il resto della popolazione e soprattutto la piena espressione della propria fede sono questioni ancora critiche.
Una nuova presa di posizione netta, quella giunta dall’arcivescovo metropolitano di Kinshasa, il card. Fridolin Ambongo, che ha trascorso gli ultimi giorni del 2019 in visita pastorale nella martoriata diocesi di Butembo-Beni, teatro dal 2014 di efferate stragi e dallo scorso anno anche epicentro del virus Ebola (cf. Regno-att. 18,2018,537).
Le «norme – ci ha detto il papa – non sono solo dei consigli: vanno applicate». Mons. Rogelio Cabrera López aveva ben recepito il messaggio. Il vescovo di Monterrey, presidente della Conferenza dell’episcopato messicano (CEM) dal novembre 2018, si era così espresso nel riferire dell’udienza privata concessa dal pontefice alla delegazione della CEM, subito dopo l’incontro vaticano su «La protezione dei minori nella Chiesa» del 21-24 febbraio 2019: sull’approccio ai casi di pedofilia del clero si doveva voltare pagina.
Sia il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, sia quelli di Benedetto XVI e di Francesco hanno posto la vita dei cattolici cinesi e le relazioni tra la Cina e la Santa Sede tra le loro priorità, dando vita a numerose iniziative di dialogo: dal Messaggio ai cattolici in Cina che Giovanni Paolo II pronunciò mentre era a Manila, nel 1995, alla storica Lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI, nel 2007, all’«accordo provvisorio» raggiunto tra Cina e Santa Sede nel 2018 a proposito della procedura per la nomina dei vescovi. Negli stessi quarant’anni, le autorità cinesi hanno continuato a muoversi entro il quadro religioso stabilito nel 1982 da Deng Xiaoping: la soppressione della religione non è stata più un obiettivo, ma la suprema preoccupazione del governo è rimasta quella di mantenere le religioni sottomesse alle politiche del Partito, anche se a periodi d’inasprimento, come quello attuale, si sono alternati periodi di distensione. Questo atteggiamento limita l’attività della Chiesa in Cina, e a maggior ragione quella dei cattolici «ufficiali», proprio in un tempo nel quale, per rispondere a sfide quali la secolarizzazione, da un lato, e il ritorno al confucianesimo come supporto del nazionalismo, dall’altro, essa avrebbe bisogno della più grande libertà.
Secondo il Pew Forum on Religion & Public Life, in Cina vi sono 68 milioni e mezzo di cristiani, di cui 35 milioni di protestanti evangelicali, 23 milioni di protestanti delle Chiese storiche e 9 milioni di cattolici (e pochi altri cristiani ortodossi). Complessivamente, i cristiani sono il 5,1% della popolazione. Lo stesso Pew prevede che nel 2020 i cristiani in Cina saranno oltre 72 milioni, pari al 5,2% della popolazione.
A mio avviso la Chiesa della Cina continentale contemporanea può annoverare cinque grandi «padri». Si tratta dei vescovi Ignatius Gong Pinmei (Kung) di Shanghai; Dominic Deng Yiming (Tang Yee-mong) di Guangzhou; Joseph Fan Xueyan di Baoding; Anthony Li Du’an di Xi’an; Aloysius Jin Luxian di Shanghai.
La partenza all’antivigilia di Natale di padre Giancarlo Politi del PIME mi spinge a narrare un pugno di storie di smemorati a volte memori di Dio, raccolte nei mesi. Tra tutti padre Politi è quello che insegna di più perché è stato un testimone – raro in Italia – di un possibile modo cristiano di vivere l’Alzheimer e di parlarne in pubblico.