Il volume "Un Concilio nella rivoluzione" di A. Carpifave descrive uno degli avvenimenti più straordinari del Novecento cristiano: il concilio della Chiesa ortodossa russa, tenuto a Mosca negli anni 1917-1918, proprio nei mesi concitati e drammatici della Rivoluzione d’ottobre, un racconto fatto seguendo le fonti dirette, cioè i verbali e gli atti del Concilio, che il patriarca Alessio II (1929-2008) volle fossero pubblicati negli anni novanta del Novecento, per indicare che, con l’acquisita libertà, la Chiesa di Mosca riprendeva il cammino e si riorganizzava prendendo quel concilio come punto di riferimento.
Un noto genere cinematografico è quello costituito dai film storici. In questo caso, quando si rappresentano epoche più o meno lontane dalle nostre, si deve far ricorso a costumi e ad ambientazioni ricostruiti ad arte; si finge cioè di trovarsi in un altro tempo. Ci sono però anche film che nascono come cronaca. Quando furono girati miravano a rappresentare la società d’allora; tuttavia il tempo trascorso li fa diventare oggi storici in un senso più autentico dei film programmaticamente qualificati con questo nome. Le grandi realizzazioni del neorealismo italiano dell’immediato secondo dopoguerra entrano di diritto in questo novero. Proprio la volontà di rappresentare in presa diretta la realtà di quegli anni li trasforma adesso in documenti o testimonianze. Considerazioni molto simili a quelle appena compiute valgono per questo testo del card. Agostino Bea. Il libro sorse come un commento immediato a un documento conciliare – la dichiarazione Nostra aetate – approvato solo qualche mese prima (28 ottobre 1965). La Chiesa e il popolo ebraico ricevette l’imprimatur dall’allora vescovo di Brescia in data 22 marzo 1966. Sono tempi di scrittura che evocano più una rivista che un libro. Ciò si giustifica in virtù del fatto che il suo autore è stato il più rilevante protagonista del processo, lungo e faticoso, che ha condotto all’elaborazione di questo decisivo testo del Vaticano II.
Ormai da diversi anni mi interesso, da una prospettiva teologica, della vicenda di sette monaci trappisti francesi rapiti in Algeria da un gruppo di fondamentalisti la notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 e uccisi il 21 maggio dello stesso anno – vicenda che anche il recente film francese "Uomini di Dio", di Xavier Beauvois, ha voluto narrare –, i quali hanno vissuto la loro vocazione cristiana nel monastero di Tibhirine, una località dell’Atlas algerino nell’arcidiocesi di Algeri. Grazie all’incontro con la loro esperienza di cristiani in dialogo con l’Islam, che hanno vissuto come «ospiti» in «un oceano di Islam», è nato in me un forte interesse per il dialogo interreligioso cristiano-islamico.