La fedeltà delle traduzioni liturgiche
Papa Francesco nel 2017 con il motu proprio Magnum principium aveva modificato il can. 838 del Codice di diritto canonico del 1983, che regolamenta i rispettivi compiti della Sede apostolica e delle conferenze episcopali per quello che riguarda la liturgia, e in particolare la complessa operazione di traduzione dei testi liturgici del rito romano, dopo le difficoltà degli ultimi due decenni (cf. Regno-att. 16,2017,453). Il 22 ottobre la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha pubblicato Postquam summus pontifex, un Decreto attuativo delle disposizioni del can. 838 del Codice di diritto canonico che ha l’obiettivo di favorire l’applicazione del motu proprio, precisando in modo dettagliato responsabilità e competenze delle conferenze episcopali e della Santa Sede. L’accento è posto sulla «triplice fedeltà» richiesta: «Anzitutto al testo originale, quindi alla lingua peculiare in cui si traduce e infine alla comprensibilità del testo da parte dei destinatari introdotti nel vocabolario della rivelazione biblica e della tradizione liturgica». Atti fondamentali in questo processo sono la recognitio e la confirmatio: rispettivamente la revisione di quanto approvato dalla conferenza episcopale e della sua legittimità, tenendo conto della cultura, della tradizione e delle necessità pastorali del paese in questione; e la ratifica data dalla Sede apostolica alla traduzione dei testi biblici e liturgici, dopo avere constatato la validità della procedura seguita dalle conferenze episcopali.
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