L’atteso viaggio di papa Francesco in Egitto, il 28 e 29 aprile 2017, che egli stesso in aereo ha definito un «viaggio della fraternità», ha avuto due punti focali: il dialogo interreligioso con l’Università di Al-Azhar, la più alta istituzione teologica e d’istruzione religiosa dell’islam sunnita nel mondo e la più antica università islamica; e il dialogo ecumenico con papa Tawadros II, il patriarca di Alessandria della Chiesa ortodossa copta.
«Si levi il sole di una rinnovata fraternità in nome di Dio e sorga da questa terra, baciata dal sole, l’alba di una civiltà della pace e dell’incontro. Interceda per questo san Francesco di Assisi, che otto secoli fa venne in Egitto e incontrò il sultano Malik al Kamil», ha detto Francesco intervenendo alla Conferenza internazionale per la pace, organizzata dal grande imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyib al Cairo dal 26 al 29 aprile, che segna una nuova partenza nel dialogo tra la Santa Sede e l’islam sunnita. Il giorno precedente era intervenuto il patriarca ecumenico, Bartolomeo I (cf. riquadro). E la Dichiarazione comune firmata con il papa copto Tawadros II segna un altro punto importante, in quanto le due confessioni cristiane riconoscono reciprocamente la validità dell’altrui battesimo.
l 27 aprile, il giorno precedente la visita di Francesco, anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha partecipato alla Conferenza internazionale per la pace organizzata da Al-Azhar e dal Consiglio islamico degli anziani, un organismo internazionale indipendente con sede ad Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti), creato nel luglio 2014 per promuovere la pace tra le comunità islamiche e porre fine al settarismo e alla violenza che affliggono il mondo musulmano (www. oikoumene.org; nostra traduzione dall’inglese).
«Risulta chiaro che i santuari sono chiamati a svolgere un ruolo nella nuova evangelizzazione della società di oggi … Perciò, volendo favorire lo sviluppo della pastorale che viene svolta nei santuari della Chiesa, ho deciso di trasferire al Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione le competenze che … erano finora attribuite alla Congregazione per il clero». La lettera apostolica Sanctuarium in Ecclesia, promulgata da papa Francesco l’11 febbraio, che investe il Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione del compito di trattare le questioni relative ai santuari, pone un altro tassello nell’opera di annuncio evangelico a cui il pontefice richiama l’intera Chiesa, individuando nei santuari quel «luogo di evangelizzazione, dove dal primo annuncio fino alla celebrazione dei sacri misteri si rende manifesta la potente azione con cui opera la misericordia di Dio nella vita delle persone». Sarà d’ora in avanti compito del Pontificio consiglio lo studio e l’attuazione di provvedimenti che favoriscano «il ruolo evangelizzatore dei santuari e la coltivazione in essi della religiosità popolare», la promozione di una «pastorale organica dei santuari come centri propulsori della nuova evangelizzazione» e la valorizzazione culturale e artistica dei santuari secondo «la via pulchritudinis quale modalità peculiare dell’evangelizzazione della Chiesa».
«Vorrei proporre a tutti voi alcune indicazioni per comprendere e recepire al meglio in diocesi l’esortazione apostolica di papa Francesco, e per incentivare la pastorale familiare che ho segnalato come priorità da coltivare»: è dedicata all’Amoris laetitia la lettera pastorale di mons. Giovan Battista Pichierri, arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie, pubblicata il 25 novembre 2016. Il documento si articola in otto capitoli ed è suddiviso in due parti: nella prima sezione viene ripercorsa l’esortazione sull’amore nella famiglia di papa Francesco, ponendo in particolare rilievo gli elementi di novità che connotano il testo pontificio: «Amoris laetitia è una felice conferma dell’innovativo magistero pastorale di papa Francesco, caratterizzato dall’“odore di pecore” derivante dal “camminare con il popolo di Dio” e, più puntualmente, dal “camminare davanti, indicando la via; camminare in mezzo, per rafforzarlo nell’unità; camminare dietro, sia perché nessuno rimanga indietro, ma, soprattutto, per seguire il fiuto che ha il popolo di Dio per trovare nuove strade». La seconda parte, invece, illustra alcuni orientamenti pastorali offerti alle comunità parrocchiali che si trovano ad affrontare particolari situazioni di fragilità, consapevoli di essere «facilitatori della grazia, annunciatori del “primato della carità come risposta all’iniziativa dell’amore gratuito di Dio”».
«Un buon educatore dei giovani agisce a nome della comunità e non da solitario, è mosso dall’amore verso i ragazzi e non si fa prendere da paura e pregiudizio verso di loro, sa mettere i necessari “no” dentro al grande “sì” che è il Vangelo». Intervenendo il 21 febbraio al XV Convegno nazionale di pastorale giovanile, sul tema «La cura e l’attesa. Il buon educatore e la comunità cristiana» (Bologna, 20-23 febbraio 2017), l’arcivescovo di Modena-Nonantola mons. Erio Castellucci ha affrontato un tema che sarà al centro della riflessione della Chiesa cattolica italiana e di quella universale nella XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sui giovani, con una relazione su «Generare la fede. Generare una vita di fede. La comunità cristiana, l’educazione e gli educatori».
La riflessione di mons. Castellucci affronta la questione della pastorale giovanile inquadrandola in modo indissociabile nella vita della comunità cristiana; per fare questo procede a chiarire che cosa s’intenda per «comunità cristiana», e per ciascuno dei livelli di significato (comunità ministeriale, eucaristica, battesimale e civile) evidenzia un’interconnessione con la pastorale giovanile, che appare provocare tutta la pastorale a un modo nuovo di guardarsi, a partire dallo sguardo nuovo dei giovani.
«La sfida costituita dalla realtà giovanile chiama la Chiesa a “uscire” dall’autoreferenzialità, per incontrare i giovani e chi nella nostra società li ha veramente a cuore, dialogando con tutti i possibili interessati. L’auspicio è che non si guardi al Sinodo come a un evento lontano, verso cui restare semplici spettatori, ma che ci si senta coinvolti e si accompagnino i giovani a esserne protagonisti. In tal senso, il Sinodo dovrà essere anche un’esperienza di amicizia cristiana e di fraternità: un camminare insieme verso Gesù e con Gesù nella Chiesa». La relazione introduttiva di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e presidente della Conferenza episcopale abruzzese e molisana, al Convegno ecclesiale regionale delle Chiese di Abruzzo e Molise («Sognate anche voi questa Chiesa», Montesilvano, 17-18.2.2017) affronta il tema dei giovani, che sarà al centro della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, prevista nel 2018, e il cui cammino è già iniziato con la pubblicazione del Documento preparatorio (cf. Regno-doc. 3,2017,67). Gli altri due temi del convegno delle Chiese d’Abruzzo e Molise, la famiglia e i poveri, trovano nella riflessione di mons. Forte un raccordo con il magistero di papa Francesco, specialmente nel documento programmatico Evangelii gaudium e nell’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia.
«I poveri, tante volte vittime della violenza, devono essere per noi luoghi teologici privilegiati, affinché il nostro impegno non sia solo quello di accompagnarli, bensì anche quello di lasciarci evangelizzare e trasformare da essi, in un processo permanente di conversione pastorale e missionaria». Lo affermano le teologhe e i teologi latinoamericani al termine del Primo incontro iberoamericano di teologia, svoltosi a Boston dal 6 al 10 febbraio 2017 sotto il coordinamento dei venezuelani Rafael Luciani e Félix Palazzi e degli argentini Carlos Maria Galli e Juan Carlos Scannone.
Il tema dell’opzione per i poveri e per gli esclusi e di una Chiesa povera e per i poveri è davvero trasversale a questa Dichiarazione, che sin dall’inizio sottolinea «l’importanza del “vedere”, alla luce della parola di Dio letta nella Chiesa, la situazione socio-politica ed economica» dei paesi dell’America Latina, il continente «più afflitto dalle disuguaglianze», e che ripetutamente proclama, in sintonia con gli insegnamenti di papa Francesco, la necessità che la teologia transiti dalle periferie e sia impregnata di misericordia. Si colloca in questo contesto anche la riflessione sul servizio offerto dalla teologia «pensata, proferita e scritta in castigliano/spagnolo» all’intera comunità ecclesiale e segnatamente alla Chiesa negli Stati Uniti e in Canada, per la quale «l’esperienza delle donne e degli uomini latini» rappresenta una «sfida».
«Riconosciamo una responsabilità condivisa per gestire flussi di rifugiati e migranti su larga scala in modo umano, sensibile, compassionevole e centrato sulle persone», poiché lo spostamento di 65 milioni di rifugiati nel mondo ha «implicazioni politiche, economiche, sociali, di sviluppo, umanitarie e sui diritti umani che travalicano tutti i confini»; sono «fenomeni globali che richiedono approcci globali e soluzioni globali», e «nessuno stato è in grado di gestire simili flussi da solo». Così il 19 settembre a New York, in occasione del I Vertice ONU su rifugiati e migranti, è stata adottata da 193 governi nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite la Dichiarazione di New York sui rifugiati e i migranti. Pur criticato da molte organizzazioni non governative come astratto e teorico, perché carente di obblighi vincolanti e di decisioni concrete, il testo è tuttavia un primo passo nella definizione di una cornice di responsabilità globale, prevedendo un maggiore impegno da parte degli stati firmatari nella protezione dei diritti umani di tutti i profughi e migranti e nel supporto verso i paesi che ne accolgono grandi numeri. Inoltre avvia un processo che porterà nel 2018 a un Accordo globale per la governance delle migrazioni.