Il 1° febbraio è stato firmato a Roma presso il Ministero dell’interno un Patto nazionale per un islam italiano, espressione di una comunità aperta, integrata e aderente ai valori e principi dell’ordinamento statale, recepito dal Ministero dell’interno. Il documento è firmato dal ministro dell’Interno Marco Minniti e dai responsabili di nove associazioni musulmane che fanno parte del «Tavolo di confronto con i rappresentanti delle maggiori comunità e associazioni islamiche presenti nel paese» (cf. qui a p. 130). È stato redatto con la collaborazione del Consiglio per le relazioni con l’islam italiano, istituito nel 2016 dal ministro Angelino Alfano per dare consulenza al governo sulle questioni relative alla presenza in Italia di comunità musulmane, e coordinato dal prof. Paolo Naso. Diversi sono gli aspetti di rilievo: il riconoscimento di un «nuovo pluralismo religioso» che comprende diversi soggetti che fanno riferimento all’islam; l’impegno comune a contrastare il radicalismo religioso anche con la formazione degli imam e delle guide religiose; l’assicurazione di una maggiore trasparenza sui finanziamenti; l’impegno ad arrivare a un’organizzazione giuridica delle associazioni islamiche che consenta infine la stipula di un’Intesa con lo stato italiano.
Dopo le due precedenti occasioni nel 2014 (Regno-doc. 19,2014,601) e nel 2015 in Bolivia (Regno-doc. 26,2015,22), il 5 novembre papa Francesco ha incontrato per la terza volta i partecipanti all’Incontro mondiale dei movimenti popolari, che egli considera interlocutori fondamentali del suo pontificato. Mentre nel 2015, in Bolivia, il tema posto al centro della riflessione era stato il cambiamento – inteso come cambiamento di strutture, frutto di un processo in cui milioni di piccole azioni si concatenano in maniera creativa – al cuore del terzo incontro, a Roma, sono stati «la disuguaglianza che genera violenza» e «il rapporto tra popolo e democrazia». Il papa ha ripreso il filo del ragionamento, focalizzando l’attenzione su alcuni punti specifici: ha denunciato un «terrorismo di base, che deriva dal controllo globale del denaro sulla terra e minaccia l’intera umanità», per frenare il cambiamento e impedire che sia nuovamente rimesso al centro l’essere umano; ha ricordato come anche oggi dobbiamo aiutare il mondo a «guarire dalla sua atrofia morale»; ha toccato ancora il tema dei migranti – «una situazione obbrobriosa» –; infine ha lanciato l’allarme su due rischi che possono coinvolgere il rapporto tra movimenti e politica, ovvero «il rischio di lasciarsi incasellare e… di lasciarsi corrompere».
Al IV Incontro mondiale dei movimenti popolari, che si è tenuto a Modesto, in California (USA), dal 16 al 19 febbraio, papa Francesco ha inviato il 17 un messaggio, nel quale ritorna sulle ferite sociali causate da un sistema economico disumano (www.vatican.va; nostra traduzione dall’inglese).
Il 21 gennaio papa Francesco ha ricevuto in udienza i prelati uditori, gli officiali, gli avvocati e i collaboratori del tribunale della Rota romana – che si occupa principalmente delle cause di nullità matrimoniale –, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario. Nel suo discorso è ritornato sul tema del rapporto tra fede e matrimonio: «Non possiamo nasconderci che una mentalità diffusa tende a oscurare l’accesso alle verità eterne. Una mentalità che coinvolge, spesso in modo vasto e capillare, gli atteggiamenti e i comportamenti degli stessi cristiani…, la cui fede viene svigorita e perde la propria originalità di criterio interpretativo e operativo per l’esistenza personale, familiare e sociale. Tale contesto, carente di valori religiosi e di fede, non può che condizionare anche il consenso matrimoniale». Francesco ha quindi proposto, sulla linea indicata dai Sinodi sulla famiglia, due rimedi con cui cercare di realizzare un idoneo contesto di fede nel quale celebrare e vivere il sacramento del matrimonio: «Un primo rimedio lo indico nella formazione dei giovani, mediante un adeguato cammino di preparazione volto a riscoprire il matrimonio e la famiglia secondo il disegno di Dio»; il secondo passo «è quello di aiutare i novelli sposi a proseguire il cammino nella fede e nella Chiesa anche dopo la celebrazione del matrimonio».
È indirizzato specialmente ai giovani, che saranno oggetto di particolare attenzione per i vescovi cattolici di tutto il mondo, per la Conferenza episcopale italiana e per la diocesi di Chieti-Vasto nei prossimi mesi, in preparazione del Sinodo del 2018, il messaggio dell’arcivescovo di Chieti Bruno Forte per la Quaresima 2017; è intitolato Diamo senso alla vita seguendo il Signore Gesù ed è stato pubblicato il 14 febbraio. «Si tratta di far maturare coscienze adulte, desiderose di piacere a Dio in ogni scelta, pronte a vivere della speranza più grande. Ai giovani si potrà trasmettere il senso profondo della vita e della storia solo a prezzo di vivere credibilmente il mistero dell’Avvento nel cuore della vicenda umana, senza nostalgie o rinunce di sorta». Di fronte a questa responsabilità, «la domanda che s’impone è allora stringente: siamo una Chiesa così? Siamo i “prigionieri della speranza” (Zac 9,12) che non delude, specialmente fra i giovani, futuro del mondo, chiamati a essere essi stessi testimoni della speranza che vinca il dolore e la morte?».
«Qualora come esito del processo di discernimento, compiuto con “umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere a una risposta più perfetta a essa” (Amoris laetitia, n. 300), una persona separata o divorziata che vive una nuova unione arrivi – con una coscienza formata e illuminata – a riconoscere e credere di essere in pace con Dio, non le potrà essere impedito di accostarsi ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia». La Conferenza episcopale di Malta ha elaborato e pubblicato il 14 gennaio dei Criteri applicativi per il capitolo VIII dell’Amoris laetitia, l’esortazione apostolica con la quale nel 2016 papa Francesco ha concluso il processo sinodale del 2014-2015 sulla famiglia (intitolato «Accompagnare, discernere e integrare la fragilità», il capitolo è dedicato alle coppie che vivono situazioni irregolari). I vescovi di Malta, mons. Charles Scicluna e mons. Mario Grech, invitano i sacerdoti maltesi ad avere «lo spirito della carità pastorale, l’onestà, la discrezione, la conversione continua e l’amore per la Chiesa e il suo magistero», e le coppie a chiedere l’aiuto di un assistente spirituale, che le accompagni nel loro percorso di discernimento.
La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche la gioia della Chiesa. Invito a una pastorale matrimoniale e familiare rinnovata: è il titolo del documento approvato dal Consiglio permanente della Conferenza episcopale tedesca il 23 gennaio e pubblicato il 1° febbraio, per offrire indicazioni sulle «fragilità» del matrimonio secondo la linea dell’esortazione apostolica Amoris laetitia: accompagnare, discernere, integrare. Se «l’indissolubilità del matrimonio è parte essenziale della fede della Chiesa», d’altra parte «l’Amoris laetitia non lascia dubbi sulla necessità di differenziare lo sguardo sulle singole situazioni di vita delle persone». Dev’essere chiaro che i divorziati risposati «appartengono alla Chiesa, che Dio non li priva del suo amore e che sono chiamati a vivere l’amore di Dio e del prossimo e ad essere testimoni autentici di Gesù Cristo». «Non tutti i credenti il cui matrimonio si è spezzato e che sono civilmente divorziati e risposati possono ricevere i sacramenti, senza distinzione». Ma dopo un processo decisionale accompagnato da una guida pastorale, «la decisione individuale, se nelle singole circostanze si è o meno in condizione di ricevere i sacramenti, merita rispetto e attenzione».
«Porre le persone, e specialmente i poveri, al centro delle loro politiche potrebbe rendere le nostre società non solo più inclusive, ma anche più resilienti nei confronti di eventuali crisi future». Dal 2016 la Commissione Europea è al lavoro su un progetto denominato «Pilastro europeo dei diritti sociali» (European pillar of social rights), che deve servire per verificare i livelli europei nelle prestazioni sociali e occupazionali, orientare le riforme nei vari paesi e dare la bussola per un processo di convergenza in tutta l’Unione. In questa chiave i vescovi cattolici della Commissione degli episcopati della Comunità europea (COMECE) hanno pubblicato il 12 dicembre una loro Dichiarazione sulla povertà e l’esclusione sociale in Europa, intitolata «Difendete il debole e il povero» (Sal 82,3), elaborata nell’Assemblea plenaria del 26-28 ottobre dedicata a «Le gravi condizioni dei poveri d’Europa e le strategie UE per sradicare la povertà». I vescovi della COMECE osservano che quasi un quarto della popolazione UE ancora oggi è esposto al rischio di povertà e di esclusione sociale: «Le politiche future, specialmente nella cornice del semestre europeo e in riferimento a una fiscalità equa, dovranno pertanto essere formulate e attuate in modo da contribuire a eliminare le cause strutturali della povertà».
A pochi mesi dalla Brexit, il referendum che ha deciso per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il 17 novembre l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby ha tenuto all’Institut catholique di Parigi una prolusione su «La nostra visione dell’Europa nel XXI secolo alla luce del bene comune», nel corso di una cerimonia in cui gli è stato conferito un dottorato honoris causa. Secondo il primate anglicano, «nessuno si può permettere di vedere la decisione del Regno Unito di lasciare l’UE come un ponte levatoio che si è alzato troncando tutte le nostre relazioni con il continente europeo. L’idea dell’Europa deve varcare i confini dell’Unione Europea». Senza risparmiare critiche al burocratismo centralistico delle istituzioni europee e a un’integrazione che si è compiuta solo a livello economico e con un’impostazione mercantilistica, l’arcivescovo indica la necessità di ritrovare i valori condivisi dell’Europa, «affermando l’idea di un’“Europa cattolica”» e recuperando «la capacità di condividere il proprio lessico religioso con il resto del continente». «Sussidiarietà, solidarietà, gratuità, creatività. Possono essere queste le architravi per una visione dell’Europa cattolica nel XXI secolo».
Da un lato la minaccia del terrorismo fondamentalista, che alcuni «giustificano... a partire dai testi sacri dell’islam». Dall’altro quelle forze «che mirano a emarginare e persino a eliminare le religioni e il loro messaggio dallo spazio pubblico». Hanno discusso di queste «sfide senza precedenti contro il cristianesimo» i rappresentanti ecclesiali riuniti a Parigi dal 9 al 12 gennaio, su invito dell’arcivescovo card. Vingt-Trois, per il V Forum cattolico-ortodosso, che è stato co-presieduto dal card. Péter Erdő, già presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE), e dal metropolita ortodosso Gennadios di Sassima del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, e al quale hanno partecipato vescovi, arcivescovi e cardinali da 20 paesi europei. Nel Messaggio del V Forum cattolico-ortodosso europeo, in 14 punti, le due questioni vengono perlopiù affrontate in maniera parallela, ma non si dimentica che esse sono strettamente collegate: si sottolinea che «la violenza terroristica esercitata contro persone ritenute “miscredenti” o “infedeli” rappresenta il massimo grado dell’intolleranza religiosa», si dichiara il dovere umano e cristiano dell’accoglienza dello straniero e l’impegno di questi a rispettare il diritto e la sovranità dello stato che lo accoglie e si conclude raccomandando il «dialogo di verità fra persone di religioni o convinzioni diverse» come «unica via di uscita dalle situazioni di paura e di esclusione reciproca».
«Guardando alla storia si vede quanta sofferenza e quante ferite i cristiani si siano reciprocamente inferti. Questo ci colpisce e ci riempie di vergogna. Guardare al passato può però anche essere utile se lo facciamo con riconoscenza per il legame che oggi ci unisce e nella prospettiva della riconciliazione». Con la dichiarazione Guarire le memorie, testimoniare Gesù Cristo. Una parola comune per il 2017, pubblicata il 16 settembre 2016, la Conferenza episcopale tedesca (i vescovi cattolici) e la Chiesa evangelica in Germania (i vescovi luterani) hanno voluto porre «una prima pietra miliare» sulla strada della riconciliazione delle memorie ferite dallo scisma della cristianità occidentale nel XVI secolo, la Riforma luterana. Il metodo adottato s’ispira a quello impiegato a partire dagli anni Novanta dalle Commissioni verità e riconciliazione, in Sudafrica e poi in altri casi di guerre civili. Anche se qui si applica a un conflitto partito cinque secoli fa, «dopo secoli di reciproca distanza è un’occasione eccezionale per la nostra comunione celebrare un anniversario della Riforma con questa volontà di perdono e di ripartenza», in modo che il 500° anniversario della Riforma nel 2017 sia una «festa di Cristo».