Teologia spirituale: la visione della fraternità - Speciale Francesco
L’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco «s’inscrive nella visione “messianica” del mondo e della Chiesa, delineata dal concilio Vaticano II…, ma vi apporta più che semplici sfumature, in ragione del kairos offerto dal passaggio all’antropocene e alla preoccupante situazione della popolazione mondiale, aggravata dalla pandemia». Il teologo gesuita Christoph Theobald, docente di Teologia sistematica alla Facoltà gesuita di Parigi – Centre Sèvres, ha individuato nella tradizione della teologia spirituale il retroterra teologico della terza enciclica di Francesco, uscita nel 2020 in piena pandemia di COVID-19. «Inscrivendosi nella “pastoralità della dottrina”, promossa dal Vaticano II, l’enciclica la sposta… verso i processi di trasformazione spirituale, radicandoli nei nostri corpi individuali e socio-politici», e dimostrando di conseguenza la necessità di importanti e conseguenti trasformazioni nella filosofia e nella teologia, che la Fratelli tutti lascia in eredità alla Chiesa.

speciale Francesco
Teologia spirituale
Chi legge l’enciclica Fratelli tutti può rimanere sorpreso per il fatto che sin dall’inizio papa Francesco faccia intervenire il senso del gusto (n. 1; Regno-doc. 17,2020,522). Eppure è in tutto il testo che il papa fa riferimento ai cinque sensi, collocati all’interno di un approccio eminentemente concreto – detto «fenomenologico» – della nostra relazione con i nostri fratelli umani e con nostra sorella la terra. Questa osservazione, come vedremo, si rivelerà decisiva per la comprensione dello sfondo teologico e filosofico del discorso papale.
Ma anzitutto lasciamoci interpellare dallo stile del testo e dall’assenza della forma dottrinale utilizzata classicamente in questo tipo di documento. È un testo che richiama piuttosto la tradizione della teologia spirituale. Insieme a Charles de Foucauld e ad altri «fratelli che non sono cattolici» (Fratelli tutti, n. 286; Regno-doc. 17,2020,575), Francesco d’Assisi è difatti il maestro spirituale a cui il papa si riferisce, anche se inserisce Fratelli tutti nel novero delle «encicliche sociali» della Chiesa cattolica (n. 6).
Questo spostamento dei riflettori verso «una forma di vita dal sapore di Vangelo» spiega senza dubbio l’importanza che viene data ai sensi come possibili «aperture» in cui può aver luogo il tanto atteso avvento di un «mondo nuovo» (Fratelli tutti, n. 183 e 278; Regno-doc. 17,2020,555.573). Si potrebbe pensare che la teologia spirituale si riferisca più che altro all’esperienza individuale. Ma il riferimento a san Francesco e a coloro che gli vengono associati indica che mal si comprende la posta in gioco dei sensi e della loro conversione «spirituale», se si esclude da essa la nostra presenza collettiva all’interno di un corpo sociale e in definitiva dell’intera umanità. Forse l’estensione dell’antica pratica spirituale, chiamata «conversazione spirituale», a una maniera di dialogare con il mondo intero spiega lo stile diretto dell’enciclica, stile che, in tutt’altra epoca, è stato quello di Gesù di Nazaret e anche di san Francesco.
Questo non significa che la dottrina venga sminuita. Ma viene sin dall’inizio riferita (come già al momento dell’apertura del Concilio, nel celebre discorso di Giovanni XXIII)1 alla sua recezione e alla sua capacità di toccare e trasformare i credenti e, ben oltre, anche altre persone, abitate dallo Spirito Santo. È proprio questo afflato universale che, come nell’enciclica Laudato si’, conduce papa Francesco a parlare della fede in un modo tale che essa possa entrare in dialogo con tutti (Fratelli tutti, n. 6). Egli si stupisce del fatto che, pur disponendo di una riflessione teologica sempre più ricca sulla «vita intima di Dio» – comunità di tre Persone, origine e modello perfetto di ogni vita in comune – la Chiesa abbia tardato così a lungo a condannare con forza la schiavitù e le diverse forme di violenza. «Oggi – aggiunge – con lo sviluppo della spiritualità e della teologia, non abbiamo scuse» (Fratelli tutti, n. 85s; Regno-doc. 17,2020,537). Senza dubbio, questa è una nuova prospettiva che non solo cambia dall’interno lo stile dell’insegnamento magisteriale, ma interroga anche profondamente la teologia e la filosofia.
Nelle riflessioni seguenti mi colloco in questo quadro di un discorso caratterizzato, nella sostanza e nella forma, dalla tradizione spirituale della Chiesa. Non seguirò qui l’impianto molto strutturato del testo di Fratelli tutti, che si ispira al modello pastorale in tre momenti sviluppato dall’Azione cattolica (vedere / giudicare / agire): il discernimento dei «segni dei tempi» (c. I) richiede un’interpretazione della rivelazione, data dalle Scritture e dalla Tradizione (cc. II e III), per aprirsi a sua volta a delle linee guida in vista di un’azione adeguata alla nostra situazione (cc. dal IV all’VIII). Il mio obiettivo è piuttosto quello di ripercorrere il cammino – «genealogico» – di «trasformazione» spirituale (Fratelli tutti, nn. 77, 159, 164, 231 e specialmente 286), così com’è tracciato nell’enciclica, di mostrare che esso attraversa la nostra corporeità, nel luogo stesso in cui i nostri sensi possono chiudersi o aprirsi, e che implica un modo di pensare simultaneamente le relazioni in seno all’umanità e con la nostra terra e la presenza del Vangelo e della Chiesa all’interno delle tradizioni spirituali dell’umanità.
Dalla Scrittura alla teologia
È questo passaggio che il secondo capitolo dell’enciclica ricostruisce attraverso un commento sulla parabola del buon samaritano. Questo commento costituisce il vero punto di partenza della trasformazione spirituale proposta dal papa. Sono da ricordare diverse caratteristiche di questa lettura, in particolare l’inattesa insistenza sul fatto letterario, in perfetta coerenza con la destinazione universale di Fratelli tutti, vale a dire il fatto che «la parabola si esprime in modo tale che chiunque di noi può lasciarsene interpellare» (Fratelli tutti, n. 56; Regno-doc. 17,2020,532). Certamente papa Francesco la colloca anzitutto nel suo contesto storico (Fratelli tutti, nn. 57-62), ma egli mostra soprattutto la capacità di questo «racconto» di rivelare a tutti i lettori – «al di là delle loro convinzioni religiose» (n. 56) – «una caratteristica essenziale dell’essere umano» che non può essere ridotta né a «ideali astratti» né a una «morale etico-sociale» (Fratelli tutti, n. 68; Regno-doc. 17,2020,534).
È grazie a questa potenzialità che la parabola raccontata da Gesù può ancora oggi raggiungere e toccare ogni uomo, rivelargli nel profondo lo stato di malattia di una società che cerca di costruirsi voltando le spalle alla sofferenza (nn. 65, 67) e metterlo di fronte alla «lotta interiore che avviene nell’elaborazione della nostra identità, in ogni esistenza proiettata sulla via per realizzare la fraternità umana» (Fratelli tutti, n. 69; Regno-doc. 17,2020,534). Alla base di questa lettura «antropologica» si trova dunque l’idea di «ripetizione», non di uno stesso insegnamento teorico che si presume essere vero sempre e dovunque, ma di uno stesso dramma umano che si presenta in forme infinitamente variate (nn. 71, 100), secondo un «universalismo» che Michael Walzer ha chiamato «universalismo reiterativo».2
Ora questa ermeneutica che si propone di dare alla parabola la sua forza d’interpellare3 passa necessariamente attraverso la pratica spirituale della «contemplazione» che, come vedremo, coinvolge tutti i nostri sensi e porta a creare una nuova sensibilità alle opportunità di «ogni giorno» (n. 77; Regno-doc. 17, 2020,536).4 Il papa propone quindi di soffermarsi sui personaggi del racconto, prima di tutto sullo straniero abbandonato lungo la strada (nn. 63 e 76), poi sui tre tipi costituiti rispettivamente dai briganti (n. 72), da coloro che passano oltre, persone religiose (nn. 73, 74 e 75), e dal samaritano il cui profilo si va progressivamente precisando (nn. 63, 66, 79, 80-83), tutti messi di fronte alla stessa situazione (n. 70). Senza questo atteggiamento contemplativo è impossibile accedere alle «esigenze ineludibili della realtà umana» – «Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via d’uscita è essere come il buon samaritano. Ogni altra scelta conduce o dalla parte dei briganti oppure da quella di coloro che passano accanto senza avere compassione del dolore dell’uomo ferito lungo la strada» (Fratelli tutti, n. 67; Regno-doc. 17,2020,534) –, è impossibile intendere la domanda decisiva: «Con chi ti identifichi?» (n. 64).
È soltanto alla fine di questo capitolo, negli ultimi due numeri (nn. 85 e 86), che appare il significato propriamente cristiano della parabola, la sua «dimensione trascendente», che implica il riconoscere Cristo stesso in ogni fratello abbandonato o escluso e la fede in Dio che ama ciascun essere umano con un amore infinito, conferendogli così una dignità infinita. È qui che troviamo l’unico riferimento, già menzionato, alla vita intima di Dio e alla teologia trinitaria, con lo stupore di papa Francesco parimenti menzionato in precedenza.
Tutto il seguito dell’enciclica è presente, in un certo senso, in questo passaggio dalla Scrittura alla teologia. Per mostrarlo, potrà aiutarci l’immagine del «cammino», presente nella parabola e onnipresente nel commento del papa, perché radica nelle casualità dei nostri incontri quotidiani la trasformazione spirituale cui mira Fratelli tutti, facendone emergere la posta spirituale e teologica.
Un cammino di trasformazione integrale
Questa posta in gioco è oggi ampia, teniamolo presente dall’inizio prima di tracciare il cammino di trasformazione spirituale che le corrisponde. Nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium (2013) papa Francesco usa l’espressione «“mistica” di vivere insieme» (n. 87; EV 29/2193) o quella di «fraternità mistica, contemplativa» (n. 92; EV 29/2198). In Fratelli tutti vi apporta una precisione determinante, in linea con la parabola del buon samaritano: «Il buon samaritano ha avuto bisogno che ci fosse una locanda che gli permettesse di risolvere quello che lui da solo in quel momento non era in condizione di assicurare. (…) Ciò dimostra che è necessario far crescere non solo una spiritualità della fraternità ma nello stesso tempo un’organizzazione mondiale più efficiente, per aiutare a risolvere i problemi impellenti degli abbandonati (…) Ciò a sua volta implica che non c’è una sola via d’uscita possibile (…) e presuppone che anche la scienza più rigorosa possa proporre percorsi differenti» (Fratelli tutti, n. 165; Regno-doc. 17,2020,551).
L’integralità della trasformazione del mondo per mezzo della fraternità e in vista di quest’ultima significa quindi che l’incontro quotidiano, per quanto necessario esso sia, non basta ma deve continuamente aprirsi a un orizzonte più ampio, articolare tra loro le dimensioni del «locale» e dell’«universale» (nn. 142-153), andare oltre gli egoismi nazionali, sondare in profondità ciò che va oltre «la mera somma degli individui» e che è espresso dalla categoria di «popolo» (nn. 155-160), lavorare alla conversione dei nostri modelli culturali e religiosi e, soprattutto, ricostruire la «politica», anzi la «carità sociale e politica» (c. V) in rapporto a tutte le istanze che vogliono usarla per i propri fini.
Sin dall’inizio papa Francesco riassume questa finalità con l’esigenza etico-sociale di «costituirci in un “noi” che abita la casa comune», articolando dunque la transizione sociale ed ecologica in modo tale da affrontare l’individualismo che rende malate le nostre società e la nostra terra (n. 17). Utilizzando il concetto di «mondo» del concilio Vaticano II, il papa esprime la stessa posta in gioco per mezzo del passaggio vitale da un «mondo chiuso» (c. I) a un «mondo aperto» (c. III), un mondo in cui l’immaginario ha un ruolo e che è abitato da «un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale» (Fratelli tutti, n. 6; Regno-doc. 17,2020,523).
In un passo di grandissima densità teologica in cui abbondano i riferimenti alla Tradizione – in particolare a san Tommaso, ma anche a san Benedetto, a san Bonaventura e a sant’Agostino, e oggi a Benedetto XVI, Karol Wojtyła e Karl Rahner – Fratelli tutti dispiega la «genealogia» di un’amicizia sociale inclusiva e di una fraternità aperta a tutti, che richiede una crescente apertura dell’amore (nn. 88-96). L’enciclica esplicita quindi la «legge di “estasi”» che abita ciascuno di noi: «uscire da se stessi» (n. 88), tematica già predominante nel primo capitolo dell’Evangelii gaudium. È la prova transfrontaliera dell’«ospitalità» che entra in gioco qui (n. 90) e in definitiva è l’esperienza dell’amore che Dio rende possibile con la sua grazia, definita da san Tommaso come «un movimento che pone l’attenzione sull’altro “considerandolo come un’unica cosa con se stesso”». «L’attenzione affettiva che si presta all’altro – aggiunge il papa – provoca un orientamento a ricercare gratuitamente il suo bene» (Fratelli tutti, n. 93; Regno-doc. 17,2020,538).
Ma come entrare in una tale esperienza della grazia divina? Questa è la nuova questione teologica cui il testo tenta di rispondere. Ancora una volta san Francesco viene proposto qui come guida perché «ha ascoltato la voce del povero, ha ascoltato la voce del malato, ha ascoltato la voce della natura. E tutto questo lo trasforma in uno stile di vita» (Fratelli tutti, n. 48; Regno-doc. 17,2020,531). Solo l’atteggiamento contemplativo che coinvolge progressivamente tutti i nostri «sensi» è capace di lasciare che si formi in noi il «senso di un “noi”» (n. 152), essendo i nostri «sensi», quando «si aprono», le «porte» dove la grazia di Dio può divenire «esperienza». Essi allora non sono più riluttanti a esporsi al male inimmaginabile: «Il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la promozione del fratello» (Fratelli tutti, n. 115; Regno-doc. 17,2020,542).
Da una filosofia della comunicazione a un’ontologia
L’importante c. VI, che si occupa di «dialogo e amicizia sociale», prende le mosse dallo stesso radicamento antropologico eminentemente concreto: «Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”» (Fratelli tutti, n. 198; Regno-doc. 17,2020,557). Ma aggiunge un’altra dimensione filosofica all’approccio «fenomenologico» del corpo individuale e sociale e della sua trasformazione spirituale: la dimensione di una «ragione comunicativa» resa necessaria proprio dalla multidimensionalità del reale della quale si è parlato (cf. n. 204). Sin dall’inizio troviamo la stessa descrizione di un «mondo chiuso», dove «alcuni provano a fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati, e altri la affrontano con violenza distruttiva» (Fratelli tutti, n. 199; Regno-doc. 17,2020,558; cf. n. 50), mentre il dialogo multilaterale all’interno delle nostre «società pluraliste» (n. 211) presuppone «l’apertura alla verità».
È in questo contesto caratterizzato da una pluralità di punti di vista e di convinzioni che papa Francesco ha reinterpretato l’insegnamento del concilio Vaticano II sulla libera «ricerca della verità» (cf. Dignitatis humanae), ricerca affidata alla ragione, mai disgiunta dalla coscienza (n. 207), e intrinsecamente collegata con il principio etico del «bene comune» che include i «poveri» (Fratelli tutti, nn. 202 e 205). Tuttavia questa ricerca è oggi minacciata dalla tendenza alla deformazione delle informazioni, che si riscontra nelle reti sociali e nei media (Fratelli tutti, n. 200), e soprattutto dagli interessi e dagli artifici dei potenti e, congiuntamente, dalla «pigrizia» di una «popolazione addormentata e impaurita» (Fratelli tutti, n. 209; Regno-doc. 17,2020,559).
Questo dato di fatto porta Fratelli tutti a criticare le teorie della verità che fondano quest’ultima sul «consenso»5 e a propugnare la sua trascendenza (Fratelli tutti, nn. 206-214). L’argomento principale che dovrebbe «sembrare sufficiente» «agli agnostici» (n. 214) è la constatazione storica, particolarmente evidente oggi, che siamo in grado di compiere tutto il bene possibile, ma siamo al tempo stesso abitati da forze distruttive (n. 209). Il dialogo, certamente, «esige di essere arricchito e illuminato da ragioni, da argomenti razionali, da varietà di prospettive, da apporti di diversi saperi e punti di vista, e che non esclude la convinzione»: è l’acquisizione delle teorie del «consenso». Ma in ultima analisi esso vive del riconoscimento di «valori di base [che] vanno al di là di ogni consenso» (Fratelli tutti, n. 211; Regno-doc. 17,2020,560): e la vita quotidiana nell’ambito della società lo conferma ampiamente (n. 212).
È proprio qui che il concetto centrale del Vaticano II, la «dignità (dignitas)», presente sin dall’introduzione dell’enciclica e ispirato dalla parabola del buon samaritano, trova il suo fondamento ultimo. Fratelli tutti introduce qui il suo lettore, in maniera induttiva, verso l’esperienza e il concetto di «realtà» – «il gusto e il sapore della realtà» (n. 33), «realtà concreta», «la realtà è una, benché possa essere accostata da diverse prospettive» (n. 204), «la realtà di una verità obiettiva» (n. 212) – collocandovi l’argomentazione della Veritatis splendor (1993) di Giovanni Paolo II sul «male intrinseco» (n. 209).
Il concetto di «mondo» – mondo chiuso e da aprire – trova qui il suo «corrispondente nel campo ontologico». Va notato in particolare che l’enciclica continua a esplicitare questa «nuova» ontologia dinamica o processuale – che non può essere che universale ed eminentemente concreta oltre che radicata nella «saggezza» dell’umanità (nn. 47, 49, 50, 207, 274, 275) –, «ontologia» il cui primo abbozzo si trova nei quattro principi esposti nell’Evangelii gaudium (nn. 222-237). Questo è evidente per quanto riguarda il terzo principio – «la realtà è più importante dell’idea» – ma lo si verifica anche per «il tempo è superiore allo spazio» (I principio), con l’appello ad «avviare processi» (Fratelli tutti, nn. 196, 217), per «l’unità prevale sul conflitto» (II principio, cf. Fratelli tutti, c. VI, n. 198) e per «il tutto è superiore alla parte» (IV principio), con la metafora del «poliedro» (Fratelli tutti, nn. 144, 145, 190 e 215).
Un’ontologia puramente astratta rischierebbe di diventare uno strumento di dominio che contraddirebbe la posta in gioco fondamentale del dialogo. È per questo motivo che è determinante che il c. VI termini con un ritorno alla cultura, lasciando di nuovo il posto a un processo spirituale che porta a una «nuova cultura» – «l’incontro fatto cultura» – e a uno «stile di vita» poliedrico, contraddistinto in ultima istanza dalla «felicità» (nn. 215-224).
Il Vangelo e la Chiesa fra le religioni e le società
L’enciclica termina com’è iniziata. Facendo riferimento all’incontro tra san Francesco e il sultano Malik-al-Kamil in Egitto e all’incontro tra papa Francesco e il grande imam Ahmad Al-Tayyeb ad Abu Dhabi, esplicita la chiave spirituale di Fratelli tutti e del suo sfondo teologico e filosofico: «Là [in quel mondo pieno di torri di guardia e di mura difensive] Francesco ricevette dentro di sé la vera pace, si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri, s fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia con tutti» (Fratelli tutti, n. 4; Regno-doc. 17,2020,523). È proprio questo atteggiamento di fondo che caratterizza lo stile dell’enciclica, senza negare la convinzione che anima i cristiani.
Nel breve c. VIII sulle «religioni al servizio della fraternità nel mondo» (nn. 271-285), troviamo quindi l’abbozzo di una maniera nuova di accostarsi alla «teologia delle religioni» e di progettare la finalità di una «teologia politica», una maniera che articola proficuamente l’insegnamento della Nostra aetate (1965) e della Dignitatis humanae (1965) del concilio Vaticano II. L’affermazione comune dei credenti (la cui cerchia qui non è specificata) poggia sul legame intrinseco tra l’«apertura al Padre di tutti» e l’«appello alla fraternità»: «Siamo convinti che “soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi”» (Fratelli tutti, n. 272; Regno-doc. 17,2020,571).
Nell’attuale contesto delle nostre «società pluraliste», questa affermazione di fede, già presente nella conclusione di Nostra aetate (n. 5; e in Fratelli tutti n. 283, con la stessa citazione di 1Gv 4,8), implica un serio lavoro di autocritica da parte di tutti i credenti, chiunque essi siano, lavoro che si fonda sul rapporto tra le loro «dottrine» e la «violenza»: «Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo, in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori dal loro contesto, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio, di xenofobia, di negazione dell’altro» (Fratelli tutti, n. 282; Regno-doc. 17,2020,573).
Molto coraggiosa, questa prima affermazione ne richiede una seconda riguardo all’identità cristiana, certamente innestata nella valorizzazione «dottrinale» dell’azione di Dio nelle altre religioni (Nostra aetate, n. 2), ma qui espressa, secondo l’ipotesi del presente studio, nel linguaggio spirituale dei «sensi», più specificamente in quello della musica: «Tuttavia come cristiani non possiamo nascondere che “se la musica del Vangelo smette di vibrare nelle nostre viscere, avremo perso la gioia che scaturisce dalla compassione, la tenerezza che nasce dalla fiducia, la capacità della riconciliazione che trova la sua fonte nel saperci sempre perdonati-inviati. Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna”». Poi segue questa sorprendente affermazione, «liberata da ogni desiderio di supremazia sugli altri»: «Altri bevono ad altre fonti. Per noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo. Da esso “scaturisce per il pensiero cristiano e per l’azione della Chiesa il primato dato alla relazione, all’incontro con il mistero sacro dell’altro, alla comunione universale con l’umanità intera come vocazione di tutti”» (Fratelli tutti, n. 277; Regno-doc. 17,2020,272s).
Questo ritorno all’esperienza cristiana relativizza le «teorie» classiche (esclusiviste, inclusiviste, pluraliste) della teologia delle religioni a favore di una riserva ultima: «Quando arriverà l’ultimo giorno e ci sarà sulla terra la luce sufficiente per poter vedere le cose come sono, avremo parecchie sorprese!» (Fratelli tutti, n. 281; Regno-doc. 17,2020,573). Frattanto la riabilitazione della «carità politica» da parte dell’enciclica richiede che quest’ultima tragga anche le conseguenze «politiche» della sua teologia delle religioni: questa è l’altra novità di Fratelli tutti. Senza minimizzare in alcun modo il necessario lavoro critico, evocato immediatamente, il testo si basa sull’«esperienza di fede» e sulla «sapienza che si è andata accumulando (...) come credenti» all’interno delle diverse religioni e sulla loro capacità d’apprendimento per sostenere che «rendere presente Dio è un bene per le nostre società» (Fratelli tutti, nn. 274, 275; Regno-doc. 17,2020,572), sempre più minacciate dalla «unidimensionalità».
Nel rispetto dell’autonomia della dimensione politica, autonomia affermata con forza dal Vaticano II, Fratelli tutti insiste sull’impossibilità di limitare la missione della Chiesa al privato o ad attività assistenziali o educative. Questa missione deve rispettare la «dimensione politica» dell’esistenza umana e quindi «“non può e non deve (...) restare ai margini” nella costruzione di un mondo migliore, né trascurare di “risvegliare le forze spirituali” che possano fecondare tutta la vita sociale» (Fratelli tutti, n. 276; Regno-doc. 17,2020,572).
Il percorso teologico e filosofico che abbiamo appena compiuto ha mostrato, ce lo auguriamo, che Fratelli tutti s’inscrive nella visione «messianica» del mondo e della Chiesa, delineata dal concilio Vaticano II – la Lumen gentium introduce la nozione di «popolo messianico (…) che appare talora come un piccolo gregge» (n. 9) –, ma vi apporta più che semplici sfumature, in ragione del kairos offerto dal passaggio all’antropocene e alla preoccupante situazione della popolazione mondiale, aggravata dalla pandemia.
Il testo dà prova di una nuova sensibilità nei confronti delle resistenze che si oppongono alla necessaria conversione delle nostre mentalità e ne esamina le radici antropologiche. Inscrivendosi nella «pastoralità della dottrina», promossa dal Vaticano II, l’enciclica la sposta dunque verso i processi di trasformazione spirituale, radicandoli nei nostri corpi individuali e socio-politici. E ciò spiega la necessaria integrazione delle pratiche spirituali del cristianesimo e la differenza tra «senso intellettuale», «sensi corporei» e «senso del “noi”» all’interno di una «pastoralità» nuovamente determinata dalla questione della recezione del Vangelo di Dio. Queste dimensioni teologiche e filosofiche sono appena abbozzate nell’enciclica Fratelli tutti. Esse interpellano la filosofia e la teologia6 e necessitano senza dubbio di importanti trasformazioni all’interno di queste discipline.
Christoph Theobald*
* Il saggio del teologo Christoph Theobald, originariamente pubblicato in francese su Culture e fede 29(2021) 1, 14-22, è apparso in versione italiana su Regno-doc. 13,2021,443.
1 Cf. l’edizione critica di Gaudet mater Ecclesia di papa Giovanni XXIII di A. Melloni in Id., Papa Giovanni. Un cristiano e il suo concilio, Einaudi, Torino 2009, 299-335.
2 M. Walzer, «Le deux universalismes», in Esprit, dicembre 1992, 114-133.
3 Fratelli tutti presuppone che siano note le ricerche storiche e specialmente letterarie sulle parabole di Gesù; cf. ad esempio R. Heyer (a cura di), Le voyage des paraboles. Bible, littérature et herméneutique, Presses universitaires de Strasbourg, Strasbourg 2011.
4 Papa Francesco sembra riferirsi qui alle contemplazioni evangeliche degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola.
5 Cf. ad es. J. Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, 2 voll., Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1981.
6 Mi permetto di rinviare a C. Theobald, L’Europe, terre de mission. Vivre et penser la foi dans un espace d’hospitalité messianique, Éd. du Cerf, Paris 2019.