Italia - Politica internazionale: quella maschera e noi
I primi 30 giorni della nuova amministrazione statunitense
Trump, lo abbiamo già osservato, è una via di mezzo tra un autocrate europeo del secolo scorso e un dittatore latinoamericano. Non sopporta la democrazia perché non ha le qualità culturali, morali e politiche per governare attraverso il metodo democratico.

Una maschera grottesca. Sul piano del comportamento e sul piano del pensiero.
Uno che in novanta giorni di presidenza ha sfasciato l’equilibrio mondiale senza sapere dove andare.
Uno che con la migliore tradizione americana (sia essa quella dei democratici, o quella dei repubblicani) non c’entra nulla. Un misto tra imperialismo, populismo, nazionalismo, autoritarismo, più una massiccia dose di incompetenza.
Trump, lo abbiamo già osservato, è una via di mezzo tra un autocrate europeo del secolo scorso e un dittatore latinoamericano. Non sopporta la democrazia perché non ha le qualità culturali, morali e politiche per governare attraverso il metodo democratico. Perché gestisce un comitato d’affari. Ha sufficienti mezzi per aggregare altri soggetti del tecno-capitalismo, interessati a conquistare e a condividerne il potere, per poi iniziare a demolire il sistema democratico e le sue regole liberali che frenano l’arricchimento selvaggio.
Il rifiuto dello stato di diritto (nazionale e internazionale), l’azione politica come primato dell’esercizio della forza, fino al sopruso e al ricatto: sono gli unici suoi comandamenti.
Il valore in questo momento più a rischio per quello che rimane dell’Occidente è quello della libertà. La libertà d’esistere dell’Ucraina come stato indipendente e autodeterminato; la libertà d’impedire un espansionismo in termini sovietici al dittatore russo; la libertà d’esistere dei bambini di Gaza e d’esistere come bambini; la libertà dell’Unione Europea di diventare Europa; il rispetto dei popoli garantito dal diritto internazionale.
Oltre ai soldi, la libertà
In novanta giorni, il presidente del paese più forte del mondo e sin qui garante delle libertà democratiche ha sconvolto la geopolitica con le sue dichiarazioni e le sue caotiche decisioni: ha mezzo smantellato la NATO, mettendo a nudo la debolezza dell’Europa; ha favorito l’aggressore Putin, mettendo a rischio l’Ucraina e legando la sua residuale esistenza alla sua svendita commerciale agli Stati Uniti; ha spinto un personaggio pericoloso per il suo stesso paese come Netanyahu a rioccupare Gaza e a proseguire con inutili e criminali bombardamenti; ha cercato di dissolvere l’Unione Europea, avviando una guerra commerciale come arma di scambio politico con i singoli paesi; ha minacciato d’annettersi il Messico, il Canada e la Groenlandia; ha spinto la Cina verso una strategia egemonica nei confronti del Giappone e della Corea del Sud.
Ma soprattutto, Trump ha dimostrato la sua totale inaffidabilità e questo crea un’instabilità dei mercati finanziari che rischia d’innescare una crisi spaventosa.
Sul piano internazionale, il nazional-populismo di Trump si basa sull’idea che l’adagio America first non deve essere vincolato da regole e alleanze. La politica dei dazi ne è l’esemplificazione. Si tratta di un’ideologia politica, non di un pensiero economico.
Non si tratta di una versione del neoliberismo (che storicamente privilegia la supremazia dell’economia sulla politica), ma al contrario di una politica che utilizza l’economia come arma conflittuale. No.
Trump non è Ricardo. La sua politica di potenza è una politica di rapina che immagina di mantenere il primato americano a spese del mondo. Immaginare di riportare le lancette dell’orologio agli stati nazione dell’Ottocento, immaginare d’azzerare la globalizzazione del dopo 1989, immaginare d’esportare le gravi contraddizioni interne agli Stati Uniti (immigrazione massiccia, crisi industriale, questione razziale, multiculturalismo radicale), aggredendo sul piano internazionale è una strategia che l’Europa degli anni Venti e Trenta del secolo scorso ha già tragicamente conosciuto.
Tragedie dalle quali siamo usciti grazie soprattutto al sacrificio degli Stati Uniti.
Certo nel periodo successivo al 1989 gli errori circa lo sviluppo sregolato della globalizzazione e l’apertura indiscriminata del commercio internazionale hanno causato seri problemi a livello mondiale.
Il mancato superamento di un’egemonia americana divenuta insostenibile, verso una condivisione politica ed economica euroatlantica ha reso politicamente debole l’Europa e più povera economicamente l’America; ha aperto lo spazio a una strategia egemonica della Cina in varie aree del mondo; e ha riarmato le volontà espansionistiche di Putin.
Ma questo non implicava e non implica di per sé la destrutturazione dei punti fermi della concezione politica liberal-democratica, che ha segnato lo sviluppo della civiltà negli ultimi tre secoli.
Italia: il piano inclinato della politica interna
Il piano interno italiano non è meno preoccupante di quello dei diversi paesi europei. L’Italia è ancora priva di una significativa alternativa politica. Ha un sistema democratico bloccato e che rende debole e contraddittoria ogni azione politica del Governo. La mancanza di un’opposizione programmatica, guidata dal suo maggiore partito (il Partito democratico, PD) in grado di sviluppare una forte visione riformatrice e una salda collocazione euro-atlantica su un piano internazionale, rende impraticabile ogni ipotesi d’alternativa di Governo. Il che rende l’attuale coalizione di Governo (in sé stessa totalmente contraddittoria) un dato di fatto insuperabile.
Il campo del centro-sinistra, che potremmo anche definire del non-Governo, è suddiviso tra social-populisti putiniani (il Movimento 5 Stelle), ex vetero comunisti anti-americani (una parte del PD e della sinistra), neo-radicali (la segretaria del PD e figure della sinistra ex verde), riformisti di varia provenienza (una componente minoritaria del PD, e il circolo Renzi).
Una debolezza di sistema che in questa grave fase internazionale non consente alcuna evoluzione culturale e politica dei soggetti. Si pensi in questo senso al panorama interno ai partiti che compongono la coalizione di Governo.
Qui si va dalla destra nazional-populista di Salvini e della Lega (filo Putin, filo Trump e antieuropea), al nazional-conservatorismo di Meloni e di Fratelli d’Italia (con il cuore rivolto al passato e divisa tra lo sguardo verso la destra americana e gli interessi italiani legati all’Unione Europea), e infine al partito che fu di Berlusconi, europeista moderato, conservatore per vocazione di potere.
Quando la premier, Giorgia Meloni, avanza la propria candidatura a mediare tra Trump e l’Unione Europea è consapevole delle sfide e dei rischi che corre il paese e del caos della sua coalizione, ma la debolezza del paese e quella determinante della situazione politica interna la portano a giocare d’azzardo.
Se le andasse bene potrebbe fare la mosca cocchiera.
Gianfranco Brunelli