Giubileo dei giovani: un segno tutto da interpretare
 
                Il giubileo dei giovani è stata una festa per Roma ma anche una felicità personale per chi – come me – a motivo dei figli ha sempre visto un dono nelle Giornate mondiali della gioventù. Hanno annunciato la presenza di un milione di ragazzi, che era una cifra più esclamativa che reale, ma se erano mezzo milione sarebbero stati comunque tantissimi. E si è detto che gli italiani erano 70.000 ed è bello sapere che questa era invece una cifra controllata, basata sui dati forniti dalle diocesi.
80.000 erano stati, a fine aprile, i partecipanti al giubileo degli adolescenti e mentre scrivo seguo in TV le folle giovanili tornate a Roma per Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati, che vengono canonizzati il 7 settembre. Nel tempo delle chiese che si svuotano, queste folle giubilari forse le possiamo interpretare come un segno di speranza: «Pellegrini di speranza» è il motto del Giubileo.
Vogliono pregare 
 ma non lo sanno fare
Speranza di che? Non certo di un’inversione di tendenza quanto alla pratica dei giovani, ma speranza che germogli un modo nuovo di praticare la fede, di proporre il Vangelo. Un modo meglio rispondente all’attuale cultura giovanile.
Come ha commentato don Riccardo Pincerato, responsabile CEI della pastorale giovanile, i ragazzi venuti a Roma per il giubileo da 146 paesi «sono meglio di come li pensiamo, né superficiali né pigri né creduloni», e non vivono su chissà quale pianeta, sono «pienamente» i giovani d’oggi: «Con un’intelligenza, una profondità e una capacità di vivere e di pregare che può stupire chi di loro pensava altro».
In essi abbiamo potuto osservare – mi dice don Alberto Gastaldi, responsabile della pastorale giovanile della Liguria – la «gioiosa scoperta di fare parte di una comunità più grande, di festeggiare in tanti ma anche di saper entrare in profondità, di pregare insieme spontaneamente, di saper fare silenzio in adorazione, con il desiderio forte di essere protagonisti di speranza in un mondo colpito da odio e guerre».
Insomma – dice ancora don Andrea Lonardo, direttore dell’ufficio cultura della diocesi di Roma – «questo evento è certamente un segno grande che c’è un vero interesse nell’uomo d’oggi per la ricerca di Dio». I giovani cristiani «oggi sono bersagliati dall’accusa che la fede cristiana interessa a pochi ed ecco che questo giubileo dona loro la possibilità di vedere che la fede invece è cosa grande, cattolica, universale».
Tra i tanti commenti che ho letto, l’interrogativo forse più radicale l’ho trovato in un’intervista all’arcivescovo di Lucca, mons. Paolo Giulietti, su Avvenire: «Questi ragazzi vogliono pregare e non lo sanno fare, sono una generazione che non ha avuto la nostra alfabetizzazione religiosa. Vanno rialfabetizzate la preghiera, la spiritualità, l’interiorità».
Giulietti – veterano dei raduni giovanili e presidente della commissione della CEI che si occupa di giovani, famiglia e vita – invita a praticare con i ragazzi la via dell’accompagnamento e del coinvolgimento «in un rapporto in cui possano sentirsi accolti con fiducia»; una volta realizzato quel rapporto, il più è fatto: «Una proposta che nasce da una relazione significativa non viene respinta».
L’invito a non giudicare è frequente tra i commentatori del giubileo dei giovani. Né si tratta soltanto di un’esortazione a evitare atteggiamenti moralistici, ma anche di mettere nel conto che il domani del cristianesimo nel mondo possa essere molto diverso da quello di ieri e di oggi. Ecco come ha formulato questo concetto l’arcivescovo di Napoli, card. Domenico Battaglia, in una lettera ai suoi ragazzi di ritorno dal giubileo: «Cari giovani, io credo in voi e credere in voi significa scommettere sull’inedito di un Dio che non invecchia mai».
Ma il futuro del mondo
 sarà a loro somiglianza
Un’idea condivisa dal cappuccino Roberto Pasolini, predicatore della Casa pontificia, che l’ha formulata così in un’intervista ad Avvenire: «Che ci piaccia o no, il futuro della Chiesa e del mondo potrebbe assomigliare molto di più allo sguardo inquieto dei giovani che alla memoria rassicurante degli anziani».
Una parola infine sul papa, il Leone timido che un poco si è sciolto al calore dell’accoglienza che gli hanno fatto i ragazzi. Egli è il terzo papa che si trova a debuttare con un raduno giovanile, dopo il Benedetto di Colonia 2005 e il Francesco di Rio de Janeiro 2013.
Da poliglotta sperimentato si è destreggiato in italiano, spagnolo e inglese lungo l’intera settimana, salutando anche con parole improvvisate in almeno quattro occasioni: nel discorso d’accoglienza del 29 luglio, al termine della veglia del 2 agosto, prima e dopo la celebrazione conclusiva di Tor Vergata: «Portate questa gioia, questo entusiasmo a tutto il mondo. Voi siete sale della terra, luce del mondo».
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