Storie di bimbe, di donne, di streghe
Elizabeth Gaskell è un’autrice inglese meravigliosa e leggendola ci si chiede perché alcune autrici sì, le conosciamo, celebriamo e amiamo, e alcune meno, assai meno, anche se sono in molti modi straordinarie. Forse la risposta è sempre la stessa. Il canone ha accolto con generosa benevolenza gli autori maschi, e solo poche donne sono riuscite a scalfire il soffitto d’inchiostro della letteratura più conosciuta.
In realtà in vita (1810-1865) Elizabeth Gaskell ebbe eccezionali riconoscimenti del suo valore. La sua scrittura la rese amica di Charlotte Brönte, della quale dopo la morte scrisse poi una biografia, The Life of Charlotte Brönte (1857, tradotta da Neri Pozza nel 2022) che è considerata un capolavoro e che le diede fama e un bel po’ di dispiaceri.
Scrisse romanzi con lo sguardo competente di una scrittrice cresciuta in un ambiente intriso di religiosità (era figlia e moglie di pastori di fede unitariana) ma estremamente libero nel leggere la realtà. Le biografie dicono che fu colpita da molti lutti gravi e che iniziò a scrivere dopo la morte dell’amatissimo primogenito e che fu proprio il marito a spingerla verso un’attività che le occupasse la mente e le emozioni perché il dolore la stava sottraendo alla vita.
Storie di bimbe, di donne, di streghe (Giunti, Firenze 1988; traduzione, splendida in verità, di Marisa Sestito) raccoglie quattro racconti di Elizabeth Gaskell, perfetti per entrare nel suo mondo e innamorarsene. Soprattutto il primo, «La strega Lois», che si colloca nel ricco filone di opere che si sono ispirate ai processi alle streghe di Salem. L’autrice segue l’ultimo anno di vita di Lois Barclay, una giovane donna inglese, figlia di un pastore, rimasta orfana e arrivata a Salem, contea di Essex, Massachusetts, a bordo della Redenzione, una nave carica di generi di necessità e ristoro per i coloni puritani della Nuova Inghilterra.
In punto di morte la madre le aveva rivelato l’esistenza di uno zio, un «eretico» che in conflitto col padre aveva attraversato l’Oceano. Un uomo buono anche se infedele, che di sicuro l’avrebbe accolta e protetta. La narrazione segue l’ingresso di Lois nella casa dello zio che però è malato e sostanzialmente incapace di prendersene cura. Il resto della famiglia è dominato dalla moglie Grace, intrisa di una religiosità arcigna, più che severa, moralmente strabica, con l’occhio sempre rivolto al giudizio del piccolo mondo intorno.
Poi ci sono i figli. Il primogenito Manasseh, che possiamo intuire immediatamente come disturbato, psichicamente labile ma per convenzione destinato a essere il capofamiglia senza macchia né paura. E poi le due altre figlie, Faith e Prudence, che avranno un ruolo formidabile nella storia, ma per motivi tutt’altro che religiosi. O meglio, per situazioni in cui la religione viene piegata, manipolata, banalmente sfruttata come pretesto per i propri piccoli meschini desideri.
Il tutto in un ambiente naturale aspro e ostile, duramente difeso dai coloni, riflesso plastico dell’eterna battaglia fra il bene e il male che una lettura manipolatoria dell’Antico Testamento può supportare senza fatica.
Lois «una o due volte aveva guardato di sfuggita la tetra, cupa foresta, che cingeva tutt’intorno il terreno disboscato – l’immensa foresta con rami e fronde in movimento perenne, con il sospiro grave che penetrava fin nelle vie di Salem, se soffiavano certi venti che portavano il suono degli abeti all’orecchio di chi aveva tempo di ascoltare. E in tutti i racconti, la vecchia foresta che avvolgeva la città era piena di belve terrificanti e misteriose e di indiani ancor più terrificanti, che strisciavano nell’ombra meditando piani sanguinari contro il popolo cristiano; indiani rasati, striati come pantere, complici, per loro esplicita confessione e per credenza popolare, dei poteri del male» (30). E da un momento all’altro questo male poteva ghermire le fiere comunità di credenti che avevano attraversato l’Oceano per preservare la purezza del Verbo.
In questo contesto chiuso, asserragliato dalla paura, la strega può, nella sua concretezza femminea (e quindi debole e manipolabile e anche facile da sopprimere), diventare l’esorcismo perfetto della paura e anche, nello stesso tempo, l’assicurazione per una salvezza che si sente minacciata dalle forze della storia. Il racconto è elegante, senza eccessi e sbavature, implacabile nel mostrare come un concorso di elementi umanissimi e ahimè replicabili nel tempo e nello spazio abbia potuto portare alla catastrofe.
Tutti e quattro i racconti di questa raccolta sono intrisi di timor di Dio e ancor più del terrore dei poteri del demonio, che spesso ha pure sembianze umane, di pirati che nella notte forse violentano una donna la cui invocazione d’aiuto inascoltata è motivo di eterno terrore e forse di condanna per gli abitanti del circondario.
Sono formidabili storie di un tempo in cui tutto, assolutamente tutto era intriso di sacre Scritture. I vaneggiamenti amorosi, travestiti da citazioni dell’Antico Testamento, accuse personali e privatissime, gelosie d’amore, turbamenti erotici. Tutto era condito da un versetto biblico e soprattutto per questo era passibile d’essere trasformato in accusa: così è stato possibile arrivare all’abominio dell’uccisione per impiccagione (in un caso per schiacciamento) di chi di sicuro aveva ben poco a che fare con la stregoneria, qualsiasi cosa s’intenda con il termine.
Era il 1692 ma i meccanismi di questo tremendo scivolamento nell’orrore Elizabeth Gaskell li descrive con tale finezza che li possiamo riconoscere umani, vicini, troppo vicini. Tutta la sua opera è da rileggere.