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Attualità
Attualità, 4/2023, 15/02/2023, pag. 136

Tempo di silenzio papale

Luigi Accattoli
«Ben venga», disse una volta Nicora

Sono ormai quattro i papi che hanno affidato ai loro collaboratori, a futura memoria, lettere di rinuncia al ministero petrino da far valere in caso di totale impedimento a esercitarlo. Quattro con Francesco, che ne ha così parlato nell’intervista del 18 dicembre al quotidiano spagnolo ABC: «Io ho già firmato la mia rinuncia. Era quando Tarcisio Bertone era segretario di Stato. Ho firmato e gli ho detto: in caso d’impedimento medico o che so io, ecco la mia rinuncia». 

Francesco ha seguito l’esempio dei predecessori Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. È evidente la preoccupazione degli ultimi papi d’aiutare i collaboratori e il collegio cardinalizio a superare l’intoppo della «sede impedita» per il quale il diritto canonico a oggi non fornisce soluzioni.

Ma che valore hanno queste rinunce a futura memoria, che noi giornalisti abbiamo preso a chiamare «dimissioni preventive»? Un valore canonico modesto, credo di poter dire. Ma anche, immagino, un valore pratico notevole.

Divago sulla questione prendendola a segno del mutamento epocale della figura del papa, di cui siamo testimoni oculari, e riferendo le vivissime opinioni che mi confidarono due cardinali canonisti quando li interpellai al momento in cui si venne a sapere che lettere di rinuncia a futura memoria erano state sottoscritte anche da Giovanni Paolo II: si tratta di Attilio Nicora (1937-2017) e di Mario Pompedda (1929-2006).

Ma per Pompedda l’intenzione della rinuncia è utile

Nicora mi disse che tali intenzioni di rinuncia non avevano validità formale. Pompedda mi assicurò che, una volta appurata l’inabilità totale del papa a comunicare, si sarebbe dovuto procedere all’elezione di un nuovo papa e che quelle lettere potevano facilitare una tale decisione.

Ecco come il primo tra i papi affermanti la rinuncia a futura memoria, Paolo VI, ebbe a formulare quell’intenzione, in data 2 maggio 1965: «Dichiariamo: nel caso di infermità, che si presuma inguaribile, o di lunga durata, e che ci impedisca di esercitare sufficientemente le funzioni del nostro ministero apostolico; ovvero nel caso che altro grave e prolungato impedimento a ciò sia parimente ostacolo, di rinunciare al nostro sacro e canonico ufficio, sia come vescovo di Roma, sia come capo della medesima santa Chiesa cattolica, nelle mani del signor cardinale decano, lasciando a lui (…) la facoltà di accettare e di rendere operanti queste nostre dimissioni». 

La lettera di Paolo VI fu pubblicata da Leonardo Sapienza nel volume La barca di Pietro (San Paolo 2018). Quella di Giovanni Paolo II l’ha fatta conoscere il postulatore della causa di canonizzazione, Slawomir Oder, con il volume Perché è santo (Rizzoli 2010). Di quella di Benedetto XVI, firmata nel 2006, ci ha informati ora don Georg nel volume Nient’altro che la verità (Piemme 2023). 

Nel colloquio a cui accennavo sopra, chiesi a Nicora che cosa si poteva prevedere accadesse se un giorno i cardinali presenti a Roma fossero stati convocati per ricevere la comunicazione che il papa, non più in grado di parlare e neanche di scrivere, avesse però consegnato anni prima al cardinale decano o al cardinale segretario di Stato una lettera di rinuncia, da leggere al momento della certificazione dell’invalidità.

Questa fu la risposta del cardinale milanese: «Io non l’accetterei, una simile procedura. La rinuncia al papato la posso intendere – e accettare – solo se formulata al momento, di persona e in presenza. Un documento depositato e affidato, quanto all’utilizzo, a una decisione altrui, come cardinale convocato a un concistoro senza papa non potrei accettarlo».

Obiettai: ma se il papa è totalmente impedito di comunicare con i collaboratori e con i fedeli, non sarà necessario convocare il conclave? «Nient’affatto», fu la decisa risposta del cardinale giurista: «Si può andare avanti benissimo con la vita ordinaria della Chiesa anche con il papa impedito. Qualche mese o anno di silenzio papale potrebbe essere utile alla comunità cattolica».

Penso che Nicora avesse ragione. Ma ritengo anche che, se il caso si presentasse, la maggioranza dei cardinali convocati quella procedura l’accetterebbe. La necessità di dare un successore a un papa impossibilitato a esercitare il ministero risulterebbe più forte – immagino – di ogni scrupolo canonistico.

Questa fu l’opinione del giurista di curia Mario Pompedda: «Il fatto che non sia previsto che fare nel caso d’impedimento della prima sede [cioè della sede romana; nda] non vuol dire che non si possa fare nulla; ma semplicemente vuol dire che dovrà esserci un ampio consenso sull’opportunità di convocare il conclave, consenso che verrebbe favorito dalla conoscenza di lettere con intenzione di rinuncia firmate a suo tempo dal papa ora impedito».

 

www.luigiaccattoli.it

 

Tipo "Io non mi vergogno del Vangelo"
Tema Cultura e società
Area EUROPA
Nazioni

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