Gli ottant’anni
Cambiano la mia preghiera
Gli ottant’anni cambiano la mia preghiera. Non seguo più le formule, ora vado a braccio e a mente. Provo a fare conversazione con il Signore Gesù e mi faccio aiutare a intrecciarla con il Padre: Quando pregate dite: Padre nostro.
Mi occupavo della Chiesa e ora prego per la Chiesa. Non che prima non lo facessi, ma ora lo faccio come fosse la mia occupazione. Quasi non chiedo più, né per la Chiesa né per me. Per me cerco di chiedere solo il perdono e l’aumento della fede. Mi esercito a ringraziare e ad attendere.
In queste giornate che si sono fatte lente prevale una preghiera narrativa, o esclamativa. Dovunque si posi l’occhio o cada la memoria, credo di poter trovare un motivo di lode.
Vorrei che l’ultimo tempo
fosse quello dell’Avvento
Come il ringraziamento, anche l’attesa è senza fine: Vieni, Signore Gesù (Ap 22,20).
Ho mezzo capito che tutta la vita è una scuola dell’attesa. Attendi di farti grande, che nascano i figli, che dia frutto l’ulivo che hai piantato. Ora non attendo più questo o quello: attendo.
Quando sei vecchio smetti di tracciare progetti e la tua preghiera cessa di scrutare il futuro. Ma non cessa d’attendere. Anzi, l’orazione sta forse tutta ormai nell’attesa. Sono nato nel tempo d’Avvento e ora mi pare di capire che il mio ultimo tempo sarà quello dell’Avvento. L’Avvento ci segnala che il più e il meglio devono ancora venire. Mi affido a questa vertigine.
Nell’orizzonte dell’attesa c’è la morte: cerco d’imparare dal Cantico delle creature il sentimento riconciliato con il quale Francesco evoca la morte corporale, che chiama «sorella». Cerco d’imparare ma confesso d’avere paura di questa sorella dispettosa.
Mi sono sempre piaciute le folle e ora pregando benedico quanti vedo affollarsi per via. E siccome tutti hanno fretta e nessuno – si direbbe – abbia tempo per i salmi, provo a portare il mio rimedio dicendo a nome di tutti: «I giovani e le ragazze, i vecchi insieme ai bambini lodino il nome del Signore» (Sal 148,12s).
Benedicendo senza remore immagino di rispondere al comandamento del Maestro: «Benedite coloro che vi maledicono» (Lc 6,28).
Mai – o quasi mai – ho saputo entrare fattualmente nella vita di un derelitto. Mi vergogno di questa timidezza. Ci provo ora con la preghiera. Credo abbia il suo valore: lo deduco dalla parola di Gesù sull’adulterio nel cuore. Se con il cuore posso peccare, con il cuore potrò anche aiutare. Con la grande età muta la preghiera per i figli: non gli fai più strada, ora gli fai compagnia. Quando vado per via e sento chiamare «papà» o «nonno» sempre penso che siano i miei figli a chiamare, o i nipoti. Tutti questi chiamanti li accolgo – per quello che vale – nella mia invocazione. Adotto i morti dei telegiornali: Dei nostri morti ricordati Signore.
Quando la vita era in salita sentivo che i morti s’allontanavano, ora che è in discesa credo invece che s’avvicinino. «Insegnaci a contare i nostri giorni», dice il Salmo 90. Io mi esercito a contarli, i giorni e gli anni – e ormai anche i decenni – facendo memoria delle età nelle quali se ne sono andati gli amici: Navarro Valls e il cardinale Tettamanzi a 80 anni, Domenico Del Rio e Giancarlo Zizola a 75 anni. Le tante primavere mutano anche la preghiera per i nemici. Quando ero in redazione, a Repubblica e poi al Corsera, credevo d’avere dei nemici e inserirli nella preghiera era una fatica. Ora è più facile pensare con affetto a chi antipatizza, magari nel blog se non nella vita.
Quando viene la sera mutano anche il Confiteor e l’Atto di dolore. Dopo che si è molto peccato in pensieri, opere e omissioni. Soprattutto omissioni. C’erano chiasso e fretta nell’open space delle redazioni. E dunque ho omesso tanto che non dovevo omettere. Simile alla preghiera di confessione dei peccati è quella di penitenza: una volta mi aiutavo con il digiuno, ora mi esercito ad accettare la sconfitta, la rinuncia, il ripiegamento in ciò che avevo sognato e non ho raggiunto. Con la professione, con i figli.
«Venga il tuo Regno»
ora lo dico a nome di tutti
Ho sempre pregato per i proprietari delle case dove ho abitato. E anche per chi le aveva costruite, quelle case. Per quanti le avevano abitate prima di me. Oggi auguro alla proprietaria, che ha la mia età, di vivere più di me. Come lo auguro in spirito a tutti i miei familiari. È un augurio interessato, si capisce. E quello per la proprietaria è il più interessato: mira a ottenere che non mi capiti di dover abbandonare l’abitazione quando gli eredi della proprietaria – poniamo – la metteranno in vendita.
Da questa preghiera minima, per fatto privato, all’invocazione massima venga il tuo Regno. Qui la domanda resta quella di sempre ma si fa più calda, come ad affrettare quella venuta. Nel pronunciarla mi sembra di fare l’interesse di tutti.
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