Francesco in carrozzina
La lectio sul «magistero della fragilità»
Il vecchio papa divaga generosamente sulla vecchiaia e il vecchio vaticanista s’ingegna a mettere ordine nel cesto di quelle tante catechesi. Il ciclo sulla vecchiaia è partito il 23 febbraio e a oggi, cioè alla fine di giugno, le meditazioni dettate sono 15.
C’è in questi testi molto frutto sapienziale e soprattutto l’impegno a cercare quale possa essere oggi il carisma, il magistero, il ministero, insomma il ruolo sociale ed ecclesiale di chi molto ha vissuto e ancora ha mente vigile e giornate attive. Il papa si chiede – e io con lui – quale possa essere il nostro compito oggi che gli anziani sono diventati legione.
Longevità:
simbolo e opportunità
Direi che il meglio di queste catechesi sia nei titoli delle singole puntate, che suonano come molto pensati e bene sequenziati. Da essi parto per questa mia lettura trasversale. Ecco quelli, tra i 15, che mi paiono portatori di maggiore insegnamento e che elenco in ordine di uscita:
23 febbraio 2022. La grazia del tempo e l’alleanza delle età della vita
2 marzo. La longevità: simbolo e opportunità
30 marzo. La fedeltà alla visita di Dio per la generazione che viene
27 aprile. Noemi, l’alleanza fra le generazioni che apre il futuro
18 maggio. Giobbe. La prova della fede, la benedizione dell’attesa
25 maggio. Qoelet: la notte incerta del senso e delle cose della vita
15 giugno. Il lieto servizio della fede che si apprende nella gratitudine
Bastano questi titoli, letti in sequenza, a darci un’idea della fitta aratura del campo della vecchiaia condotta dal papa. Ma c’è una zona di questo campo sulla quale l’aratro papale è tornato con maggiore frequenza: ed è quella – come accennavo – del compito di noi anziani.
Fin dalla prima lectio, Francesco annuncia che è sua intenzione cercare «ispirazione nella parola di Dio sul senso e il valore della vecchiaia» (catechesi 23.2). Un programma che si precisa gradualmente: «La benedizione di Dio sceglie la vecchiaia, per questo carisma così umano e umanizzante (…): essere profeta della corruzione e dire agli altri: “Fermatevi (…)”» (catechesi 16.3). Ormai sappiamo che quando dice «corruzione» Francesco intende rovina morale, degenerazione, pervertimento.
Afferma infatti in quella stessa lectio: «La vecchiaia è nella posizione adatta per cogliere l’inganno di questa normalizzazione di una vita ossessionata dal godimento e vuota di interiorità: vita senza pensiero, senza sacrificio, (…) senza bellezza, senza verità, senza giustizia, senza amore: questo è tutto corruzione». Il carisma dunque dell’età avanzata, a motivo della «speciale sensibilità di noi vecchi (…) per le attenzioni, i pensieri e gli affetti che ci rendono umani» sarà quello di «dare l’allarme» contro i rischi della disumanizzazione.
In una successiva udienza Francesco si mette alla ricerca di una «missione propria della vecchiaia», «spirituale e culturale», che viene così proposta: «Il vecchio cammina in avanti (…) verso il cielo di Dio». E «in questa prospettiva la vecchiaia ha una bellezza unica: camminiamo verso l’eterno», facendoci «messaggeri del futuro» (catechesi 8.6).
In un’altra udienza parla del «prezioso ministero della gratitudine nei confronti di Dio» affidato ai vecchi: «La gratitudine delle persone anziane per i doni ricevuti da Dio nella loro vita (…) restituisce alla comunità la gioia della convivenza» (catechesi 15.6).
Bellezza unica
dell’età ultima
Con un analogo tono di festa aveva concluso un’altra delle meditazioni, sempre in riferimento alla meta ultima del cammino umano sulla terra: «Coraggio, tutti noi anziani: coraggio e avanti! Noi abbiamo una missione molto grande nel mondo». E la missione additata è sempre quella del cammino verso l’eterno e di trasmettere ai giovani – fino all’ultima stazione di quel cammino, con piena perseveranza – «la fame e la sete di giustizia» (catechesi 25.5).
Altre formulazioni impegnative del ruolo dei vecchi: «magistero della fragilità» (catechesi 1.6), «ministero della gratitudine» (catechesi 15.6): «Se gli anziani, invece di essere scartati e congedati dalla scena degli eventi che segnano la vita della comunità, fossero messi al centro dell’attenzione collettiva, sarebbero incoraggiati a esercitare il prezioso ministero della gratitudine nei confronti di Dio, che non dimentica nessuno».
Il ministero della gratitudine mi è caro, in idea, almeno quanto mi fu amica una pagina del Convivio di Dante, nella quale si assegna all’ultima etade, chiamata senio, due operazioni: «L’una, che ella ritorna a Dio, sì come a quello porto, onde ella si partio quando venne ad intrare nel mare di questa vita; l’altra si è che ella benedice lo cammino che ha fatto, però che è stato diritto e buono, e sanza amaritudine di tempesta» (c. XXVIII, BUR, Milano 2002, 329).
Mi piace di vedermi assegnato da grandi autorità, nientemeno che Dante e papa Francesco, un compito così adatto alla mia ultima età: benedire, cioè dire bene, lodare, ringraziare. «Benedice la via che ha fatta», dice ancora Dante in quel passo.
Il dono perduto
dell’alleanza tra le generazioni
Sulla fragilità l’insistenza del papa è meritoria: «L’esaltazione della giovinezza come unica età degna di incarnare l’ideale umano, unita al disprezzo della vecchiaia vista come fragilità, come degrado o disabilità, è stata l’icona dominante dei totalitarismi del ventesimo secolo. L’abbiamo dimenticato questo?» (catechesi 23.2). E ancora: «La giovinezza è bellissima, ma l’eterna giovinezza è un’allucinazione molto pericolosa. Essere vecchi è altrettanto importante – e bello – che essere giovani. L’alleanza fra le generazioni, che restituisce all’umano tutte le età della vita, è il nostro dono perduto e dobbiamo riprenderlo. Deve essere ritrovato, in questa cultura dello scarto e in questa cultura della produttività» (ivi).
Ministero dei vecchi dunque è – secondo Francesco – dare l’allarme contro i rischi della disumanizzazione, rendere grazie per i doni ricevuti nella vita, camminare con le ultime energie verso l’eterno lodando il datore dei doni e accompagnando con l’esempio e l’intercessione il cammino dei giovani.
Intervistato dall’agenzia argentina Télam il 1° luglio, Francesco riafferma da vecchio, e qui si direbbe da presbitero, una fiducia nei giovani già più volte proclamata: «È importante aiutare i giovani in questo impegno socio-politico e anche a non farsi sedurre dai discorsi di odio e dalle opzioni politiche estreme. Ma oggi credo che i giovani siano più svegli, più vivi. Ho molta fiducia nei giovani. “Sì, ma non vengono a messa”, mi dice un sacerdote. Rispondo che dobbiamo aiutarli a crescere e accompagnarli. Poi Dio parlerà a ciascuno di loro».
Come guardare
alla nostra Chiesa anziana
Un analogo affidamento a Dio della conversione dei giovani e lo stesso convincimento sulla missione grande degli anziani ho avuto occasione di sentirli in parrocchia, in bocca al vescovo ausiliare del Settore centro di Roma Daniele Libanori: «Qui siamo in maggioranza anziani ma non dobbiamo rammaricarci di questo. Penso che sia giusto partire dalla realtà. La nostra è una Chiesa anziana. Bene. Dobbiamo preoccuparcene? No. La Chiesa è di Dio. A me Dio chiede di mantenermi fedele: di custodire la fede e viverla come sono capace».
Avendo avvertito una sintonia forte tra queste parole del vescovo e le catechesi papali, ho chiesto a Libanori un approfondimento, che mi ha fornito per iscritto, non negando la tentazione della tristezza che può venire al credente anziano dal vedere i giovani che camminano per le loro vie «indifferenti a ciò che per lui è importante», ma dicendosi convinto che nel dono della fedeltà che è proprio del cristiano di molte primavere vi sia assai di più della nostalgia per i tempi andati: «L’anziano ha scoperto che c’è la morte, si chiede dove vanno i morti ed è contento di avere ricevuto una risposta dalla fede in Gesù, che è risorto ed è andato a preparare un posto per quelli che furono con lui. Resiste alla tentazione di guardare indietro e lascia a Dio i bilanci, preferendo rispondere a se stesso e a chi volesse mettere in discussione la scelta di una vita: “so a chi ho creduto”. L’anziano è il custode di una sapienza che ha ricevuto in dono da Colui che ha spezzato i sigilli, ha aperto il libro della storia e ne ha dato l’interpretazione. L’età dei vecchi è la stagione della fede matura: quella che, non potendo più contare sulle proprie capacità, spinge a gettare in Dio ogni preoccupazione. Ecco; per me gli anziani sono i testimoni della fede quieta nell’invisibile».
Libanori è gesuita come il papa. Si avverte nelle loro considerazioni in parte convergenti il discernimento delle età della vita insegnato da Ignazio di Loyola, che Francesco cita nella catechesi del 22.6: «Così come nella vita, anche nella morte dobbiamo dare testimonianza di discepoli di Gesù».
«Anch’io adesso
debbo andare con il bastone»
Dico infine che sono contento di queste catechesi papali: che vi siano state e che io abbia potuto leggerle come rivolte a me. Ne ammiro l’abituale fiuto del vissuto e il coinvolgimento soggettivo di vecchio tra i vecchi.
Una ventina di volte Francesco, in queste catechesi, dice «noi vecchi», o «noi anziani». Una volta aggiunge: «Anche io devo andare con il bastone, adesso». (catechesi 15.6). Un’altra, parafrasando il monito di Gesù a Pietro «quando sarai vecchio non sarai più così padrone di te e della tua vita», ha esclamato: «Dillo a me che devo andare in carrozzina, eh!» (catechesi 22.6).
In quella stessa catechesi ha poi cavato dalla sua condizione attuale il sale di questa monizione biblica: «Seguire Gesù sempre, a piedi, di corsa, lentamente, in carrozzina, ma seguirlo sempre».
www.luigiaccattoli.it