Enrico Bartoletti: il primato del Vangelo
Seme di futuro nelle Carte romane
«Andreotti suggerisce che Moro convinca Fanfani per la presidenza», cioè l’induca a lasciare la segreteria della DC e a diventarne presidente: è un appunto dell’agenda di Enrico Bartoletti, segretario della Conferenza episcopale italiana, in data 13 luglio 1975. Fanfani aveva perso il referendum sul divorzio del 1974 e con le regionali del giugno 1975 aveva portato la DC al minimo storico, ma non voleva mollare.
Potrei partire da qui per recensire il secondo volume degli inediti bartolettiani intitolato Carte romane* e sarebbe a portata di mano un tracciato godibile, per chi ha conosciuto la longeva giostra dei cavalli di razza del partito cattolico che, nelle pagine di queste agende, premono sul trepidante Bartoletti per ottenere questo e quello.
Destinato alla presidenza
della Conferenza episcopale
Oppure potrei partire dagli incontri con Paolo VI, che sono 22 nei tre anni e mezzo di Segreteria CEI: dal settembre del 1972 al marzo del 1976, quando Bartoletti muore nella notte dopo l’ultimo appuntamento con il suo papa. Incontri tutti preparati e commentati nelle agende: per esempio quello del 10 luglio 1975, quando il papa afferma che è necessario curare «in modo organico e unitario» il rapporto con la DC e «dice che sono io incaricato di questo mandato».
Il buon Bartoletti ovviamente obietta: non ha «autorità propria» e teme lo scontro con la Segreteria di stato dove impera il volitivo Benelli. Ma il papa «insiste perché prenda con sicurezza, in virtù del suo mandato, le necessarie iniziative».
Egli deve tutto a papa Montini, che aveva conosciuto negli anni Cinquanta, quand’era un semplice prete di Firenze e che ora gli dà un incarico sull’altro: nel 1968 gli chiede di «ripensare il servizio dell’Università cattolica», nel 1971 lo chiama a tenere una relazione al Sinodo dei vescovi, per due volte (1971 e 1974) lo vuole nel Consiglio generale del Sinodo, nel 1972 lo fa segretario della CEI, nel 1973 presidente della Commissione internazionale di studio sulla donna.
Il rapporto tra i due è filiale ma anche tormentoso. L’affinità di mente è grande ma Bartoletti è scrupoloso, prende sul serio ogni interlocutore e prende sul tragico gli ostacoli. Non è adatto a gestire relazioni conflittuali. La sua finezza intellettuale da tutti è scambiata per debolezza. Soffre nella carne ogni acquisto d’anima. La politica poi gli è ostica e dunque si vede travolto dalla richiesta papale che lo spinge nell’arena: «Esco confortato ma più che mai appesantito», appunta dopo l’udienza nella quale la riceve.
Tre mesi più tardi il papa gli prospetta una destinazione futura alla presidenza dell’episcopato e lo spinge ad assumere fattualmente, già ora, quel ruolo: «Invito a prendere, col suo appoggio e la sua approvazione, la responsabilità della CEI» (31 ottobre 1975).
Eroico nell’obbedienza, Bartoletti s’adopera e tutti i nodi vengono al suo pettine. Il calo delle iscrizioni all’Azione cattolica e degli abbonamenti ad Avvenire. Il sisma intracattolico provocato dal referendum sul divorzio. I casi Franzoni, Ortensio da Spinetoli, Chiavacci. I «cattolici del no». La Valle che va verso il PCI. I contrasti interni al Comitato preparatorio del convegno Evangelizzazione e promozione umana. I «Cristiani per il socialismo». Le agende bartolettiane offrono uno spaccato impressionante di una stagione stracarica di sogni e incubi.
Gli faceva paura il presente
e più che mai il futuro
Il nostro s’impegna allo spasimo. «Lavorare di più» e «non pensare al futuro» era un proposito formulato in proprio poco prima (7 ottobre). Cerca di mostrarsi più deciso nei difficili contatti con Gedda e con Giussani, con Benelli e con Casaroli. È sconcertato dalle divergenze di linea dei due primi collaboratori del papa sul Concordato e sulla politica italiana: «Indifesa e difficile la mia posizione» (314 e 322). Facendo le mosse politiche che gli ha chiesto il papa si scontra persino con il benevolente Villot (345).
«Saprò avere la parresia?», si era già chiesto il 5 marzo 1974. I promotori della causa di canonizzazione – introdotta nel 2007 – terranno conto del tormento interiore con cui vive ogni responsabilità. «Non so quello che mi accadrà», annota il 31 dicembre 1974. E il 17 febbraio 1985: «Mi fa paura il presente e più che mai il futuro».
Seguendo il filo rosso del rapporto con il papa, avremmo l’intero scenario delle drammatiche giornate di Bartoletti alla CEI. Ma io penso che neanche lungo questo solco incontreremmo il Bartoletti di maggior pregio, quello che oggi ritrova una sorprendente attualità a specchio della predicazione di papa Bergoglio. Quello cioè che propone il «primato dell’evangelizzazione» e lo fa in termini straordinariamente consonanti con la Evangelii gaudium che arriverà un quarantennio più tardi.
Per questo filone di maggior peso, le Carte offrono il punto di partenza con la VI delle 11 Appendici: «Appunto sul progetto di esortazione apostolica Evangelii nuntiandi». Quell’esortazione che Francesco qualifica come «il documento pastorale più importante e ancora valido del dopo Concilio»: ha riparlato così or ora, il 29 ottobre, ai giovani di Viviers (Francia). Si tratta di un appunto dattiloscritto che ha la data del 10 ottobre 1975, precedente di soli due mesi la data della firma dell’esortazione, che è dell’8 dicembre.
Cristo stesso
è l’Evangelo
Don Marcello Brunini, curatore del volume e parroco a Viareggio, m’assicura che fino a oggi nessuno ha studiato l’apporto di Bartoletti all’Evangelii nuntiandi: li segnalo dunque – quell’appunto e quell’apporto – a chi vada in cerca di un tema per tesi di laurea. Uno dei suggerimenti di Bartoletti per la redazione finale dell’esortazione dice così: «Forse converrebbe sottolineare che Cristo stesso è l’Evangelo (cf. Mc 1,1; Rm 1,3ss) di Dio: nella sua persona (incarnazione, morte e resurrezione) si realizza la buona novella della salvezza operata da Dio».
Questo suggerimento è stato accolto nel paragrafo 7 dell’Evangelii nuntiandi: «Gesù medesimo, Vangelo di Dio (cf. Mc 1,1; Rom 1,1-3), è stato assolutamente il primo e il più grande evangelizzatore. Lo è stato fino alla fine: fino alla perfezione
e fino al sacrificio della sua vita terrena» (EV 5/1594). L’accoglienza del suggerimento bartolettiano è certificata dall’uso dell’espressione «Vangelo di Dio» e dei rimandi biblici.
Se si disponesse della redazione provvisoria che era stata fornita a Bartoletti dagli estensori dell’esortazione, si potrebbe verificare in dettaglio l’accoglienza dei singoli suggerimenti, che sono 4 di quadro e 9 di formulazioni concrete. Ma c’è almeno un secondo spunto bartolettiano che appare accolto dai collaboratori di papa Montini.
Da una Chiesa di praticanti
a una Chiesa di credenti
In esso, il nostro richiama la «più recente letteratura catechetica» per sollecitare una specifica insistenza sul «catecumenato permanente» come «mezzo ideale per una educazione globale alla maturità di fede e all’edificazione della comunità». Concetti che ritroviamo al paragrafo 44 di Evangelii nuntiandi: «Le condizioni attuali rendono sempre più urgente l’insegnamento catechistico sotto la forma di un catecumenato» (EV 5/1638).
Su questo fronte del primato dell’evangelizzazione sono molti gli spunti offerti dalle Carte bartolettiane. In un appunto del 26 ottobre 1973 leggiamo queste righe: «Il necessario passaggio da una Chiesa di praticanti a una Chiesa di credenti. La scelta prioritaria dell’evangelizzazione come mezzo indispensabile per il passaggio a un cristianesimo di convinzione. La Chiesa in Italia in stato di missione».
Carte romane, più ancora del Diario spirituale già apparso nel 2013, colloca il «primato dell’evangelizzazione» bartolettiano in una genealogia ideale del primato del Vangelo che ora Francesco predica con tanta energia. Gli viene – quel primato – dal Vaticano II, da Medellín, dalla Congregazione generale dei gesuiti del 1974, dalla Evangelii nuntiandi: e lì, in quell’ultimo affluente, c’è anche Bartoletti, che veniva applicando all’Italia il Concilio e il Sinodo del 1974 «sull’evangelizzazione del mondo contemporaneo» e che introdusse nei nostri convincimenti che per prima va posta l’opera dell’evangelizzazione.
Il diverso l’accettava
ma per ricondurlo all’unità
Chiudo con una domanda sull’oggi: che cosa può rendere vivibile una realtà moltitudinaria come quella della cattolicità italiana, oggi ancora più divaricata, e che già risultò ingovernabile al genio della mediazione bartolettiana? Forse solo una piena accettazione del diverso e della pluralità. Ed è anche questo un elemento – il più carico di futuro – della veduta sinodale di papa Francesco. Ma con esso siamo del tutto al di fuori della tela bartolettiana, che il diverso l’accettava e si adoperava ad amarlo ma solo in quanto riconducibile a unità.
www.luigiaccattoli.it
* E. Bartoletti, In nomine Domini. Le carte romane (1972-1976), Introduzione di M. Faggioli, a cura di M. Brunini, EDB, Bologna 2016, pp. 482, € 32,00. Di Bartoletti, sempre le EDB avevano pubblicato nel 2013 In spe fortitudo. Diario spirituale (1933-1975), introduzione di A. Giovagnoli, a cura di M. Brunini, pp. 208, € 18,50. Questo primo volume di inediti bartolettiani l’avevo recensito su Regno-att. 2,2014,27ss: «Lacrime sul cammino della Chiesa. Il Diario di Bartoletti e la nascita della CEI dopo il Vaticano II». Le Carte romane hanno anche una Presentazione dell’arcivescovo di Lucca, mons. Italo Castellani. Castellani e Faggioli tracciano un quadro interpretativo efficace dell’opera bartolettiana. «La figura di Bartoletti appartiene al futuro prossimo della Chiesa italiana non meno che al recente passato», scrive Faggioli segnalando le «evidenti affinità» che legano «il modello di papa Francesco e il modello Bartoletti». Lo studio di quelle affinità potrebbe essere aiutato, domani, dalla pubblicazione degli inediti bartolettiani che ancora sono nell’archivio diocesano di Lucca: la corrispondenza, in particolare; e i diari del Vaticano II e dei due Sinodi del 1971 e del 1974.