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Documenti, 9/2025, 01/05/2025, pag. 257

Ponti di pace

Benedizione apostolica «Urbi et orbi» dopo l’elezione; omelia nella messa con i cardinali

Leone XIV

La sera dell’8 maggio alle 19.23 papa Leone XIV (Robert Francis Prevost), eletto al quarto scrutinio nel 76° conclave dai 133 cardinali elettori, si è affacciato alla Loggia centrale della basilica di San Pietro per salutare il popolo e impartire la benedizione apostolica Urbi et orbi. Prima della benedizione il nuovo papa ha rivolto ai fedeli alcune parole, seguendo un testo scritto, iniziando dall’invocazione pasquale della pace, «la pace del Cristo risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante». E ha aggiunto: «Vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità, che cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono».

Il giorno seguente ha presieduto da pontefice la sua prima celebrazione eucaristica con il collegio cardinalizio, e nell’omelia ha ricordato l’urgenza della missione, «perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco».

Stampa (9.5.2025) da sito web www.vatican.va. Titolazione redazionale.

Benedizione

La pace sia con tutti voi!

Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, tutte le persone, ovunque siano, tutti i popoli, a tutta la terra. La pace sia con voi!

Questa è la pace del Cristo risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente. Ancora conserviamo nei nostri orecchi quella voce debole ma sempre coraggiosa di papa Francesco che benediceva Roma!

Il papa che benediceva Roma dava la sua benedizione al mondo, al mondo intero, quella mattina del giorno di Pasqua. Consentitemi di dar seguito a quella stessa benedizione: Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà! Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti. Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede. Il mondo ha bisogno della sua luce. L’umanità necessita di lui come il ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore. Aiutateci anche voi, poi gli uni gli altri a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace. Grazie a papa Francesco!

Voglio ringraziare anche tutti i confratelli cardinali che hanno scelto me per essere successore di Pietro e camminare insieme a voi, come Chiesa unita cercando sempre la pace, la giustizia, cercando sempre di lavorare come uomini e donne fedeli a Gesù Cristo, senza paura, per proclamare il Vangelo, per essere missionari.

Sono un figlio di sant’Agostino, agostiniano, che ha detto: «Con voi sono cristiano e per voi vescovo». In questo senso possiamo tutti camminare insieme verso quella patria che Dio ci ha preparato.

Alla Chiesa di Roma un saluto speciale! [applausi] Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta a ricevere come questa piazza con le braccia aperte. Tutti, tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, la nostra presenza, il dialogo e l’amore.

(In lingua spagnola) E se mi permettete una parola, un saluto a tutti e in modo particolare alla mia cara diocesi di Chiclayo, in Perù, dove un popolo fedele ha accompagnato il suo vescovo, ha condiviso la sua fede e ha dato tanto, tanto per continuare a essere Chiesa fedele di Gesù Cristo.

A tutti voi, fratelli e sorelle di Roma, di Italia, di tutto il mondo vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità, che cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono.

Oggi è il giorno della Supplica alla Madonna di Pompei. Nostra madre Maria vuole sempre camminare con noi, stare vicino, aiutarci con la sua intercessione e il suo amore.

Allora vorrei pregare insieme a voi. Preghiamo insieme per questa nuova missione, per tutta la Chiesa, per la pace nel mondo e chiediamo questa grazia speciale a Maria, nostra madre.

Ave Maria

 

Leone XIV

 

Prima omelia

(In inglese) Inizierò con poche parole in inglese, il resto sarà in italiano, ma voglio ripetere le parole del salmo responsoriale: «Canterò al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie». Ed è così, non solo per me ma per tutti noi. Fratelli cardinali, nella nostra celebrazione di oggi vi invito a riconoscere le meraviglie che il Signore ha compiuto, le benedizioni che il Signore continua a spandere su tutti noi attraverso il ministero di Pietro.

Mi avete chiamato a portare quella croce, e la benedizione di quella missione, e io so che posso contare su ognuno di voi per camminare insieme a me, mentre continuiamo come Chiesa, come comunità degli amici di Gesù, come credenti ad annunciare la buona notizia, ad annunciare il Vangelo. 

(Da qui in italiano) «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Con queste parole Pietro, interrogato dal Maestro, assieme agli altri discepoli, circa la sua fede in lui, esprime in sintesi il patrimonio che da duemila anni la Chiesa, attraverso la successione apostolica, custodisce, approfondisce e trasmette.

Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, cioè l’unico Salvatore e il rivelatore del volto del Padre.

In lui Dio, per rendersi vicino e accessibile agli uomini, si è rivelato a noi negli occhi fiduciosi di un bambino, nella mente vivace di un giovane, nei lineamenti maturi di un uomo (cf. Vaticano II, cost. past. Gaudium et spes, n. 22), fino ad apparire ai suoi, dopo la risurrezione, con il suo corpo glorioso. Ci ha mostrato così un modello di umanità santa che tutti possiamo imitare, insieme alla promessa di un destino eterno che invece supera ogni nostro limite e capacità.

Pietro, nella sua risposta, coglie tutte e due queste cose: il dono di Dio e il cammino da percorrere per lasciarsene trasformare, dimensioni inscindibili della salvezza, affidate alla Chiesa perché le annunci per il bene del genere umano. Affidate a noi, da lui scelti prima che ci formassimo nel grembo materno (cf. Ger 1,5), rigenerati nell’acqua del battesimo e, al di là dei nostri limiti e senza nostro merito, condotti qui e di qui inviati, perché il Vangelo sia annunciato a ogni creatura (cf. Mc 16,15).

La divinità di Gesù

In particolare poi Dio, chiamandomi attraverso il vostro voto a succedere al Primo degli apostoli, questo tesoro lo affida a me perché, col suo aiuto, ne sia fedele amministratore (cf. 1Cor 4,2) a favore di tutto il corpo mistico della Chiesa; così che essa sia sempre più città posta sul monte (cf. Ap 21,10), arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo. E ciò non tanto grazie alla magnificenza delle sue strutture o per la grandiosità delle sue costruzioni – come i monumenti in cui ci troviamo –, quanto attraverso la santità dei suoi membri, di quel «popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (1Pt 2,9).

Tuttavia, a monte della conversazione in cui Pietro fa la sua professione di fede, c’è anche un’altra domanda: «La gente – chiede Gesù –, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13). Non è una questione banale, anzi riguarda un aspetto importante del nostro ministero: la realtà in cui viviamo, con i suoi limiti e le sue potenzialità, le sue domande e le sue convinzioni.

«La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13). Pensando alla scena su cui stiamo riflettendo, potremmo trovare a questa domanda due possibili risposte, che delineano altrettanti atteggiamenti.

C’è prima di tutto la risposta del mondo. Matteo sottolinea che la conversazione fra Gesù e i suoi circa la sua identità avviene nella bellissima cittadina di Cesarea di Filippo, ricca di palazzi lussuosi, incastonata in uno scenario naturale incantevole, alle falde dell’Hermon, ma anche sede di circoli di potere crudeli e teatro di tradimenti e di infedeltà. Questa immagine ci parla di un mondo che considera Gesù una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso, che può suscitare meraviglia con il suo modo insolito di parlare e di agire. E così, quando la sua presenza diventerà fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama, questo «mondo» non esiterà a respingerlo e a eliminarlo.

C’è poi l’altra possibile risposta alla domanda di Gesù: quella della gente comune. Per loro il Nazareno non è un «ciarlatano»: è un uomo retto, uno che ha coraggio, che parla bene e che dice cose giuste, come altri grandi profeti della storia di Israele. Per questo lo seguono, almeno finché possono farlo senza troppi rischi e inconvenienti. Però lo considerano solo un uomo, e perciò, nel momento del pericolo, durante la Passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno, delusi.

Colpisce, di questi due atteggiamenti, la loro attualità. Essi incarnano infatti idee che potremmo ritrovare facilmente – magari espresse con un linguaggio diverso, ma identiche nella sostanza – sulla bocca di molti uomini e donne del nostro tempo.

Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui a essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere.

Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco.

Anche oggi non mancano poi i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto.

Questo è il mondo che ci è affidato, nel quale, come tante volte ci ha insegnato papa Francesco, siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Cristo salvatore. Perciò, anche per noi, è essenziale ripetere: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16).

È essenziale farlo prima di tutto nel nostro rapporto personale con lui, nell’impegno di un quotidiano cammino di conversione. Ma poi anche, come Chiesa, vivendo insieme la nostra appartenenza al Signore e portandone a tutti la buona notizia (cf. Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium, n. 1).

Sparire perché rimanga Cristo

Dico questo prima di tutto per me, come successore di Pietro, mentre inizio questa mia missione di vescovo della Chiesa che è in Roma, chiamata a presiedere nella carità la Chiesa universale, secondo la celebre espressione di sant’Ignazio di Antiochia (cf. Lettera ai Romani, Saluto). Egli, condotto in catene verso questa città, luogo del suo imminente sacrificio, scriveva ai cristiani che vi si trovavano: «Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo» (Lettera ai Romani, IV, 1). Si riferiva all’essere divorato dalle belve nel circo – e così avvenne –, ma le sue parole richiamano in senso più generale un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché lui sia conosciuto e glorificato (cf. Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo.

Dio mi dia questa grazia, oggi e sempre, con l’aiuto della tenerissima intercessione di Maria madre della Chiesa.

 

Leone XIV

 

Tipo Documento
Tema Pace - Guerra Leone XIV
Area
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