Il 2 maggio l’Alto comitato per la fratellanza umana, nel pieno della pandemia da coronavirus, aveva indetto una Giornata di preghiera, di digiuno e di invocazione per l’umanità per il 14 maggio 2020, per chiedere a Dio misericordia e pietà nel momento tragico dell’emergenza. L’iniziativa in molte parti del mondo ha avuto un’adesione notevole, anche nell’islam, grazie all’impegno del grande imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyib.
L’Alto comitato per la fratellanza umana, presieduto dal card. Miguel Angel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, è stato costituito nell’agosto 2019 a pochi mesi dallo storico incontro ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019, tra papa Francesco e il grande imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyib e quindi dalla firma del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. È composto da leader religiosi, studiosi ed esponenti della cultura appartenenti al mondo cristiano, musulmano ed ebraico, che s’ispirano al documento e si dedicano a promuoverne gli ideali di pace e rispetto reciproco. Pubblichiamo l’omelia del papa alla messa del 14 maggio e il discorso diffuso dal grande imam lo stesso giorno.
Isolamento; vulnerabilità, precarietà, fragilità, limite, incertezza, impotenza; connessione, interdipendenza, reciprocità, legami, affidamento, convivenza, solidarietà, fraternità, dedizione; bioetica e biopolitica, scienza e umanesimo. Benché consegnata dal presidente mons. Vincenzo Paglia a papa Francesco e resa pubblica il 30 marzo, questa Nota sull’emergenza da COVID-19 della Pontificia accademia per la vita contiene già tutte le parole-chiave sulle quali si è imperniata la riflessione pubblica sulla pandemia, e ha l’intento di «collocare alcuni elementi peculiari di questa situazione dentro un rinnovato spirito che deve alimentare la socialità e la cura della persona». Da sottolineare, sul piano etico, le indicazioni che il documento offre davanti all’ipotesi, poi verificatasi, che «le condizioni di emergenza» costringessero «i medici a decisioni drammatiche e laceranti di razionamento delle risorse limitate, non contemporaneamente disponibili per tutti». Nell’ultima parte, di natura spirituale, la nota riflette sull’«agire di Dio in questa congiuntura storica» e sul «senso della preghiera» di intercessione, valorizzando le parole del vescovo di Bergamo mons. Beschi: «La fede in Dio non risolve magicamente i nostri problemi, piuttosto ci dà un’interiore forza per esercitare quell’impegno che tutti e ciascuno, in modi diversi, siamo chiamati a vivere».
Dopo lo scontro di fine aprile, quando la Conferenza episcopale italiana aveva accusato il Governo di escludere «arbitrariamente la possibilità di celebrare la messa con il popolo» (cf. Regno-doc. 9,2020,275), il 7 maggio è stato sottoscritto a Palazzo Chigi dal presidente della CEI card. Gualtiero Bassetti, dal presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte e dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, il Protocollo circa la ripresa delle celebrazioni con il popolo, che individua le misure di sicurezza sanitarie da rispettare per la ripresa delle celebrazioni liturgiche alla presenza dei fedeli a partire dal 18 maggio. Il Protocollo è stato predisposto dalla CEI e approvato dal Comitato tecnico-scientifico, che nei mesi delle misure straordinarie imposte dal Governo italiano per far fronte all’epidemia di COVID-19 ha supportato il capo del Dipartimento della protezione civile nelle attività finalizzate al superamento dell’emergenza.
Oltre a prescrivere in modo dettagliato le misure di sicurezza da osservare durante le celebrazioni religiose, il Protocollo ribadisce «la dispensa dal precetto festivo per motivi di età e di salute» e raccomanda che «si favoriscano le trasmissioni delle celebrazioni in modalità streaming per la fruizione di chi non può partecipare alla celebrazione eucaristica».
Dopo il Protocollo bilaterale concordato con la Conferenza episcopale italiana il 7 maggio (cf. qui a p. 329), il 15 maggio sulla base di un dialogo multilaterale sono stati sottoscritti a Palazzo Chigi sei ulteriori Protocolli per la celebrazione del culto di altre confessioni e religioni presenti nel paese, anche di alcune che non hanno sottoscritto un’intesa con lo stato italiano, dopo le restrizioni imposte dal Governo per fronteggiare l’emergenza sanitaria dell’epidemia da coronavirus. Il dialogo ha coinvolto rappresentanti dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (UCOII), della Comunità religiosa islamica italiana (COREIS), della Grande moschea di Roma, della Tavola valdese, ebrei, avventisti, Assemblee di Dio in Italia (ADI), buddhisti, induisti, Soka Gakkai, ortodossi greci, ortodossi romeni, mormoni, anglicani, la comunità Baha’i, i sikh, la Consulta evangelica.
I diversi Protocolli rispecchiano in linea di massima la struttura del Protocollo siglato con la CEI, con la rilevante differenza che i luoghi di culto delle altre confessioni e religioni nei mesi dell’epidemia erano rimasti chiusi, e individuano per ogni comunità religiosa le precauzioni da adottare tenuto conto delle rispettive specificità.
«Non essendosi i vescovi opposti alla guerra con un chiaro “no”, e anzi avendo per la maggior parte rafforzato la volontà di proseguirla, si resero complici della guerra». Il documento dal titolo I vescovi tedeschi nella guerra mondiale. Una riflessione per la fine della seconda guerra mondiale 75 anni fa, pubblicato il 29 aprile in vista dell’anniversario della resa incondizionata del Reich tedesco (8 maggio 1945), affronta il tema del ruolo della Chiesa cattolica, soprattutto dei suoi vescovi, sotto il dominio nazista e in particolare nel corso della seconda guerra mondiale.
Il documento, che è il primo a uscire sotto la nuova presidenza dell’episcopato di mons. Georg Bätzing, arcivescovo di Limburg, riconosce che la forma tradizionale di legittimazione del potere, la teoria della guerra giusta e la lotta contro il bolscevismo portarono a «un posizionamento ambivalente e talvolta problematico della Chiesa». Dopo la guerra, «solo nel confronto critico, spesso teso e doloroso, con la sofferenza degli altri, specialmente degli ebrei, la Chiesa in Germania è riuscita a poco a poco a ritrovare se stessa».
l decano della Chiesa evangelica luterana in Italia, Heiner Bludau, in una dichiarazione in occasione della 75a commemorazione dell’8 maggio, data in cui fu ufficializzata la resa incondizionata del Reich tedesco, ha richiamato ognuno alla sua personale responsabilità per la pace (www.chiesaluterana.it).
La tragedia «umanitaria e ambientale» che sta vivendo l’Amazzonia, a causa sia della pandemia di COVID-19, sia dell’azione predatoria a cui è sottoposta profittando del particolare momento, ha spinto il Comitato direttivo della Rete ecclesiale panamazzonica (REPAM), di cui è presidente il card. Cláudio Hummes, a pubblicare il 18 maggio scorso un comunicato che invita l’intera società civile, la Chiesa cattolica, le confessioni e religioni che hanno a cuore la cura del creato, le istituzioni internazionali per i diritti umani, la comunità scientifica, gli artisti e tutti gli uomini di buona volontà a unire i propri sforzi. Siamo in «una situazione di emergenza che preoccupa enormemente», scrive il segretario esecutivo Mauricio López Oropeza, presentando il testo: «I popoli indigeni hanno un tasso di mortalità molto più alto del resto del mondo e della regione», perché hanno una protezione immunologica inferiore, minore accesso al sistema sanitario «e sono in molti modi abbandonati dallo stato». La REPAM «prende posizione», prosegue López, con un comunicato elaborato soprattutto grazie «alle informazioni che arrivano quotidianamente da una Chiesa impegnata, che si sta giocando la vita».
«Spesso i delitti a sfondo sessuale rimangono sommersi. Nel caso di una comunità unita come quella di una parrocchia, è particolarmente difficile per le vittime alzare la voce. Le vittime coraggiose che hanno denunciato pubblicamente quanto subito… rappresentano solo la punta dell’iceberg. C’è un’altissima probabilità che molte persone si trovino ancora nelle condizioni di non poter parlare apertamente, ne consegue quindi che il vero numero delle vittime di abusi e violenze sessuali rimane indefinito». Dopo un lavoro durato quasi due decenni, a causa «di una difficoltà nel comprendere la situazione e di metodi di rilevazione inadeguati», anche la Conferenza dei vescovi cattolici del Giappone ha pubblicato il 7 aprile il suo Studio 2019 sulle violenze sessuali su minori commesse da chierici e religiosi: rapporto e temi aperti.
Il rapporto, che raccoglie le indicazioni del recente motu proprio di Francesco Vos estis lux mundi, contiene anche una richiesta di perdono: «Nel ruolo di guide della Chiesa cattolica in Giappone, vogliamo cogliere questa occasione per chiedere perdono alle vittime e a tutti coloro che ne hanno sofferto le conseguenze».
Le somiglianze raggiunte nella comprensione della Cena del Signore/Eucaristia e nel ministero tra le Chiese cattolica romana ed evangelica sono sufficienti per invitarsi reciprocamente a celebrarla insieme. Il Gruppo di lavoro ecumenico di teologi evangelici e cattolici (ÖAK) in Germania è giunto a questo parere in un nuovo studio, intitolato Insieme alla tavola del Signore. Prospettive ecumeniche nella celebrazione della Cena e dell’Eucaristia del Signore, pubblicato l’11 settembre 2019 dopo un’elaborazione decennale, che ha esaminato i risultati dei dialoghi ecumenici e dei più recenti approcci delle discipline bibliche e teologiche. Il Gruppo di lavoro, nello specifico, non appoggia «una nuova forma concordata di liturgia eucaristica al di là delle tradizioni cresciute nel corso della storia», ma ritiene si debba presupporre «il riconoscimento del battesimo come vincolo sacramentale della fede e come presupposto nella partecipazione».
Il tema, dato l’alto numero di famiglie interconfessionali, è particolarmente avvertito in Germania: nel 2018 la Conferenza episcopale cattolica ha affrontato la questione della comune partecipazione all’eucaristia per le coppie interconfessionali ed è entrata in conflitto con una minoranza interna e con la Santa Sede (cf. Regno-doc. 15,2018,479).