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Documenti, 11/2020, 01/06/2020, pag. 353

Rapporto sulle violenze su minori

Conferenza dei vescovi cattolici del Giappone

«Spesso i delitti a sfondo sessuale rimangono sommersi. Nel caso di una comunità unita come quella di una parrocchia, è particolarmente difficile per le vittime alzare la voce. Le vittime coraggiose che hanno denunciato pubblicamente quanto subito… rappresentano solo la punta dell’iceberg. C’è un’altissima probabilità che molte persone si trovino ancora nelle condizioni di non poter parlare apertamente, ne consegue quindi che il vero numero delle vittime di abusi e violenze sessuali rimane indefinito». Dopo un lavoro durato quasi due decenni, a causa «di una difficoltà nel comprendere la situazione e di metodi di rilevazione inadeguati», anche la Conferenza dei vescovi cattolici del Giappone ha pubblicato il 7 aprile il suo Studio 2019 sulle violenze sessuali su minori commesse da chierici e religiosi: rapporto e temi aperti.

Il rapporto, che raccoglie le indicazioni del recente motu proprio di Francesco Vos estis lux mundi, contiene anche una richiesta di perdono: «Nel ruolo di guide della Chiesa cattolica in Giappone, vogliamo cogliere questa occasione per chiedere perdono alle vittime e a tutti coloro che ne hanno sofferto le conseguenze».

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Risposte al questionario sulla famiglia

Conferenza dei vescovi cattolici del Giappone
Non mancano di parresia evangelica le parole usate dall’arcivescovo di Tokyo, mons. Peter Takao Okada, per presentare, il 15 gennaio scorso, la sintesi delle risposte date da vescovi e superiori maggiori del paese alle domande sulle tematiche del prossimo Sinodo dei vescovi. Dopo una premessa generale – «gli sforzi per l’evangelizzazione del paese hanno prodotto pochi frutti» –, la costatazione è che in Giappone occorra porsi in una prospettiva nuova: «La prassi pastorale della Chiesa deve partire dalla premessa che la convivenza e il matrimonio civile al di fuori della Chiesa sono diventati la norma». Essa quindi «deve essere un luogo nel quale queste coppie possono trovare un’accoglienza che permetta loro di riflettere maggiormente su questi temi». L’arcivescovo, inoltre, critica la «mentalità» con cui «le domande e le tematiche di questo questionario sono state elaborate», che non rispecchia la situazione locale. Per questo – conclude – in questa sorta di «anno della famiglia» convocato dal papa «dobbiamo interrogarci su che cosa significa l’espressione “famiglia cristiana”».