Il 31° viaggio apostolico di Francesco si è svolto dal 4 al 10 settembre e ha riguardato tre stati dell’Africa sud-orientale che da trent’anni non vedevano un papa: Mozambico, Madagascar e Maurizio. I temi centrali della visita sono stati quelli della riconciliazione nazionale, soprattutto in un paese come il Mozambico che è stato a lungo piagato dalla guerra civile e tra pochi giorni andrà al voto; della lotta alla povertà, in terre ricche di risorse ma con un’enorme quantità di popolazione al di sotto del livello di povertà; della necessità di uno sviluppo che non escluda nessuno e sia rispettoso dell’ambiente; della possibilità di una convivenza pacifica tra le diverse religioni e culture, come dimostra la storia dei tre paesi.
«Se prendiamo parte a un processo in cui rispettiamo le priorità e gli stili di vita originari e in cui le aspettative dei cittadini sono onorate, faremo in modo che l’aiuto fornito dalla comunità internazionale non sia l’unica garanzia dello sviluppo del paese; sarà il popolo stesso che progressivamente si farà carico di sé, diventando l’artefice del proprio destino» (in Madagascar).
«La teologia dopo Veritatis gaudium è una teologia kerygmatica, una teologia del discernimento, della misericordia e dell’accoglienza, che si pone in dialogo con la società, le culture e le religioni per la costruzione della convivenza pacifica di persone e popoli». Così in sintesi papa Francesco ha risposto alla questione affrontata dall’incontro su «La teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo», promosso il 20 e 21 giugno a Napoli dalla Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale, al quale il pontefice ha partecipato con un intervento conclusivo il 21 giugno.
Tra i diversi contributi proposti dal convegno, è stato in particolare quello del prof. Sergio Tanzarella, intitolato «Testimonianze e proposte», a individuare la necessità di una «teologia per la pace, dove il “per” sottolinea meglio un impegno assoluto proprio in nome di Cristo nostra pace». «La pace non è infatti una tra le tante componenti del sapere teologico, ma ne è l’elemento costitutivo».
Il pronunciamento della Corte costituzionale reso noto lo stesso giorno della chiusura del Consiglio permanente della CEI (25 settembre) ha ottenuto il primo piano nel Comunicato finale del parlamentino dei vescovi (26 settembre). Partendo dall’affermazione che «alla Chiesa sta a cuore la dignità della persona», i vescovi hanno risposto al pronunciamento chiedendo di «respingere la tentazione di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia» – riecheggiando le parole del papa.
All’ordine del giorno c’era inoltre la discussione degli Orientamenti pastorali per il prossimo quinquennio. I vescovi desiderano una «Chiesa in stato di missione», che viva una connotazione comunitaria e possa avere alcuni «tratti qualificanti»: la centralità della Parola, il discernimento, la fraternità, i poveri, il dialogo. E oltre ai numerosi appuntamenti che hanno messo in calendario viene dato spazio anche alla «proposta di assumere la sinodalità come stile e come evento, sullo sfondo del primo convegno ecclesiale del 1976».
Il 25 settembre l’Ufficio stampa della Corte costituzionale ha emesso un Comunicato dal titolo «In attesa del Parlamento la Consulta si pronuncia sul fine vita», al quale ha risposto il giorno stesso la Presidenza della Conferenza episcopale italiana con una Nota. Pubblichiamo i due testi (cortecostituzionale.it; www.chiesacattolica.it).
Da due anni a questa parte la diocesi di Latina - Terracina - Sezze - Priverno ha elaborato un progetto «Zero-Diciotto», per dedicare la propria attenzione pastorale innanzitutto, e in modo più adeguato, alle nuove generazioni. Con la lettera pastorale «Lasciate che i bambini vengano a me» (Mc 10,14; Lc 18,16). Orientamenti per una pastorale dell’infanzia. Anno pastorale 2019-2020, pubblicata il 20 settembre, il vescovo mons. Mariano Crociata avvia la prima fase del progetto, dedicata alla prima infanzia. La lettera parte dalla costatazione che l’attuale contesto «scoraggia o vanifica ogni opera educativa che non sia rivolta all’individualistica autorealizzazione della persona, a cominciare dal bambino», e propone in alternativa una «teologia dell’infanzia» che valorizza la prima età della vita come un luogo esistenzialmente e spiritualmente fondativo per la persona e per tutta la comunità credente.
Di fronte, peraltro, alla «nota penosa» che «non può essere a questo punto omessa, poiché il rapporto della Chiesa con l’infanzia è stato, negli ultimi decenni, orrendamente deturpato dalla piaga della pedofilia… la scelta di dedicare la nostra attenzione spirituale e pastorale all’infanzia vuole anche essere una reazione positiva all’altezza dell’opera di protezione».
«Ancora una volta vediamo dei demagoghi che demonizzano delle minoranze vulnerabili definendole parassiti o invasori… Ancora una volta vediamo dei cristiani che valutano se coniugare la loro fede con politiche nazionaliste o etno-nazionaliste per rafforzare il loro ruolo culturale. Ancora una volta delle maggioranze etniche confondono il loro blocco politico con il cristianesimo stesso. In questo periodo di caos, i leader cristiani di ogni appartenenza devono aiutare la Chiesa a discernere i confini delle alleanze politiche legittime». È stato pubblicato il 19 agosto su Commonweal, storica rivista d’opinione cattolica liberal negli Stati Uniti, curata e gestita da laici cattolici, il manifesto intitolato Lettera aperta contro il nuovo nazionalismo. Firmata da una ventina di teologi e storici appartenenti a diverse confessioni cristiane, docenti nelle più importanti università del paese, la lettera aperta denuncia l’alleanza tra ampi settori del cristianesimo americano e l’amministrazione Trump, che cerca di dare a un nazionalismo con forti tratti razzisti e xenofobi una legittimazione teologica e morale.
«Esortiamo i nostri fratelli cristiani a ripudiare le tentazioni e le falsità del nazionalismo. Le politiche xenofobe, anche quando travestite da critica sociale di sani principi, possono essere perseguite solo in contraddizione con il Vangelo».
«Noi Chiese sosteniamo la convinzione che lo stato di diritto democratico e sociale, quindi la democrazia liberale, non è certamente un ordinamento perfetto, ma… si è dimostrato, a livello sia teorico sia pratico, il migliore ordinamento politico possibile, perché fra l’altro capace di ammettere la possibilità di miglioramento e soprattutto la critica». A più di un decennio dalla loro precedente dichiarazione comune sulla democrazia (2006), le Chiese cristiane della Germania hanno nuovamente preso la parola insieme per invocare da parte di tutti un maggior impegno a favore dell’ordinamento democratico liberale, poiché «il ritorno di concezioni autoritarie e di una politica di potere senza scrupoli mostrano chiaramente e inequivocabilmente che la pace, la democrazia e lo stato di diritto non sono più scontate».
Il documento, pubblicato l’11 aprile, porta il titolo Rafforzare la fiducia nella democrazia. Una parola comune della Conferenza episcopale tedesca e del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania, ed è stato elaborato da una commissione ecumenica di 14 esperti, presieduta da mons. Franz-Josef Overbeck, vescovo di Essen, per parte cattolica e dal prof. Reiner Anselm, docente di Teologia sistematica ed etica a Monaco, per parte evangelica.
Nella ricerca di spiegare la molteplicità delle Chiese si nascondono due tentazioni. La prima è quella di sforzarsi di raggiungere un’unità «perduta» dei primi secoli, che in realtà non si diede mai; così facendo si ritiene di poter superare la molteplicità attraverso lo sforzo umano e si presuppone «una continuità dimostrabile con l’esistenza originaria della Chiesa», in sostanza dando «briglie sciolte al confessionalismo». La seconda tentazione è quella di rendere la molteplicità delle Chiese un fatto «significativo», riferendosi a esso «come la necessaria espressione della ricchezza della rivelazione di Dio»; in questo modo si rende innocua la colpa della divisione e s’introduce il relativismo.
Queste riflessioni sull’essenza dell’ecumenismo, che appaiono ancor oggi attuali, come osserva il teologo valdese Sergio Rostagno in questo numero a p. 576, vedevano la luce nel 1948 grazie all’analisi dello storico del cristianesimo Ernst Wolf, che nell’anno stesso della fondazione del Concilio ecumenico delle Chiese indicò la necessità di fondare il concetto di unità non sulla forma ma sulla confessione della fede.
Ernst Wolf (1902-1971), figlio di un pastore e storico del cristianesimo, fu tra i primi animatori della Chiesa confessante. Nel 1934 fondò la rivista Evangelische Theologie (tuttora esistente). Il testo che presentiamo a p. 569 ha 80 anni, ma per certi versi non ha perduto di attualità. La pluralità delle forme religiose si è soltanto accentuata oggi e la questione dell’unità delle Chiese si è approfondita anche nel confronto interreligioso attraverso i continenti e nei nuovi problemi mondiali. Non che tali problemi fossero sfocati nel 1948; oggi ne siamo soltanto resi oltremodo coscienti attraverso nuove situazioni.