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Documenti, 17/2019, 01/10/2019, pag. 569

Unità perduta?

1948

Ernest Wolf

Nella ricerca di spiegare la molteplicità delle Chiese si nascondono due tentazioni. La prima è quella di sforzarsi di raggiungere un’unità «perduta» dei primi secoli, che in realtà non si diede mai; così facendo si ritiene di poter superare la molteplicità attraverso lo sforzo umano e si presuppone «una continuità dimostrabile con l’esistenza originaria della Chiesa», in sostanza dando «briglie sciolte al confessionalismo». La seconda tentazione è quella di rendere la molteplicità delle Chiese un fatto «significativo», riferendosi a esso «come la necessaria espressione della ricchezza della rivelazione di Dio»; in questo modo si rende innocua la colpa della divisione e s’introduce il relativismo.
Queste riflessioni sull’essenza dell’ecumenismo, che appaiono ancor oggi attuali, come osserva il teologo valdese Sergio Rostagno in questo numero a p. 576, vedevano la luce nel 1948 grazie all’analisi dello storico del cristianesimo Ernst Wolf, che nell’anno stesso della fondazione del Concilio ecumenico delle Chiese indicò la necessità di fondare il concetto di unità non sulla forma ma sulla confessione della fede.

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