G. Dalla Torre, P. Papanti-Pelletier, V. Marano, R. Ottaviano
Rinviato a giudizio nell’agosto 2012 per il reato di furto aggravato per il quale era in carcere dal 22 maggio (Regno-att.10,2012,304), l’aiutante di camera di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, è stato giudicato colpevole (sentenza del 6.10 depositata il 22). Nel dispositivo, che lo condanna a un anno e sei mesi di reclusione – poi «condonati» dal papa il 22 dicembre (Regno-att. 22,2012,734) –, vengono messi in luce alcuni elementi della vicenda, costituita dal furto di documenti dall’appartamento papale poi pubblicati nel volume di G. Nuzzi, Sua santità. Innanzitutto la tempistica, legata al «caso di mons. Viganò» (Regno-doc. 3,2012,175); in secondo luogo, Gabriele dichiara di non aver «avuto altri complici» e di essere «stato suggestionato da circostanze ambientali» a seguito di «contatti con molte persone», che l’avrebbero spinto ad agire «per riportare la Chiesa sul giusto binario» attraverso «uno shock, anche mediatico». Non sono invece note le conclusioni cui è giunta la Commissione cardinalizia – J. Herranz, J. Tomko e S. De Giorgi – incaricata dal papa di svolgere un’indagine amministrativa sulla fuga di notizie.
Documento, 01/02/2013, pag. 71