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Attualità
Attualità, 4/2025, 15/02/2025, pag. 65

Europa - Trump: gli ultimi giorni dell’Occidente

Gianfranco Brunelli

L’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti ha sconvolto radicalmente il quadro delle relazioni internazionali e dell’intera geopolitica.

L’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti ha sconvolto radicalmente il quadro delle relazioni internazionali e dell’intera geopolitica. A cominciare dalla crisi transatlantica. Lo scontro fra Trump e l’Europa (non solo l’Unione Europea), che ha come epicentro il destino dell’Ucraina, minaccia la costruzione del continente, compromette la stabilità europea e quella mondiale. Ma soprattutto porta alla fine del primato dell’Occidente anche in termini culturali e di civiltà. La scena è drammatica. Il patto Trump-Putin in essere, che esclude l’Europa per principio e la stessa Ucraina, manda in soffitta quello che rimaneva della Conferenza di Yalta e del suo universalismo multipolare, ridà ruolo al Macellaio russo e assomiglia molto al Patto Molotov-Ribbentrop.

L’azione anti-europea di Trump risulta particolarmente efficace, e perciò pericolosa, perché egli non ha creato le nostre divisioni, ma le ha riattivate. L’Europa entra divisa in questo confronto, con molte questioni irrisolte circa il modello e la funzionalità della sua costruzione istituzionale e paga la totale mancanza di un proprio esercito in grado di renderla protagonista credibile sul piano politico. Essa dovrà garantirsi in modo diverso, e a spese proprie, il proprio futuro, se ne vuole avere uno. In ogni caso il suo risveglio è drammatico.

Trump sembra voler fare di tutto per trasformare la pace in Ucraina in una resa dell’Occidente. Quello che impressiona è la compattezza della sua amministrazione. Le parole del vicepresidente James Vance alla Conferenza di Monaco (sic!) sulla sicurezza, il 14 febbraio, lo confermano. L’invettiva contro l’Europa, contro la sua decadenza morale, come il vero problema dell’Occidente, non solo assomiglia anche nelle motivazioni a quella espressa da Putin e alla sua costruzione ideologica, ma cerca di determinare il diritto degli Stati Uniti a interferire pubblicamente e arbitrariamente negli affari interni d’ogni paese alleato. Il caso dell’appoggio all’estrema destra tedesca alla vigilia delle elezioni è emblematico.

Crisi della democrazia USA

Quello che sta succedendo e in parte è già successo lo sapevamo, eppure non immaginavamo che accadesse. Lo sapevano i leader europei, le forze politiche democratiche, le Chiese. Eppure non abbiamo voluto comprendere. Si pensi solo all’uso strumentale e insensato del tema del pacifismo sulla questione ucraina.

Si tende a non credere alle cose peggiori finché non accadono e questo sentimento è oggi rafforzato da un presentismo comunicativo che fa dimenticare i processi storici e disabitua all’analisi.

La realtà è che la regressione politica negli Stati Uniti, conseguenza di una disgregazione sociale e culturale, era in atto da tempo nel paese alfiere della democrazia liberale, così come in molte altre democrazie europee. Ma se il male prende il paese cardine del modello liberale, le conseguenze possono essere – e oggi sono – devastanti. La separazione autoreferenziale delle élite democratiche dal paese reale, il risentimento sociale, le paure per gli effetti di una globalizzazione non governata finiscono per creare in maniera paranoica la figura del nemico interno-esterno (ieri gli ebrei, oggi gliimmigrati).

Quella disgregazione ha favorito socialmente e psicologicamente l’affermazione di politiche populiste e di politici autoritari. Il neo-populismo incontra anche un altro tratto tradizionale della storia americana: il nazionalismo sovranista. Make America Great Again (rendiamo l’America di nuovo grande) è lo slogan col quale Trump ha vinto le elezioni. Visione che è nella tradizione di una parte del Partito repubblicano e che ha segnato momenti d’isolamento profondo degli Stati Uniti. E in quella visione politica ha anche espresso politiche d’interventismo a sostegno di un disegno anti-universalistico.

Il nazionalismo sovranista americano si oppose alla costruzione della Lega delle nazioni all’indomani della Prima guerra mondiale, esaltò negli anni Trenta l’ascesa al potere dei regimi nazista e fascista in Germania e in Italia, s’oppose all’intervento degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale.

Non a caso nel programma di Trump c’è l’uscita da tutti gli organismi internazionali. Il che corrisponde non a una visione della politica come esercizio condiviso, ancorché egemone, del potere, ma a un esercizio del potere come pura espressione della forza. Nel caso specifico dovremmo anche aggiungere il tratto personale di un individualismo qualunquista privo di qualsivoglia valore morale. Basti citare qui la proposta di risoluzione del conflitto a Gaza, oltre che, come ha richiamato papa Francesco nella sua lettera all’episcopato statunitense, l’atteggiamento umano verso la questione dell’immigrazione (cf. in questo numero alle pp. 70 e 106).

La visione autoritaria trumpiana mira a ridurre anche la democrazia interna al paese. Il quadro somiglia molto a quello della Repubblica di Weimar. Trump e il gruppo di oligarchi (un comitato d’affari) che lo accompagna – quella che è stata definita da molti osservatori la tecno-destra – immagina d’instaurare uno «stato d’eccezione» come paradigma di Governo con una sospensione progressiva della democrazia interna. Non è detto che questo riesca. L’America, che rimane per noi un punto di riferimento come paese, ha molti strumenti democratici per resistere a questa ondata antidemocratica.

L’incontro organizzato da Macron a Parigi (17 febbraio) per mettere assieme i maggiori leader europei, Gran Bretagna compresa pur non essendo nell’UE, per reagire a Trump è in sé decisivo. Si può uscire da quell’incontro senza un nulla di fatto. Sarà la fine. Se ne può uscire con determinazione. Con la ferrea volontà di non cedere al dominio e al sopruso. La partita rimarrà aperta.

Le decisioni di Parigi avranno conseguenze sugli equilibri politici interni ai diversi paesi partecipanti. Italia compresa. Avranno conseguenze su quale sarà l’Europa del futuro. E se essa sarà.

L’analisi di Mattarella

Il 5 febbraio, a Marsiglia, il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, nel ricevere la laurea honoris causa ha tenuto un importante discorso di caratura europea, cioè da leader europeo. I media italiani lo hanno pressoché ignorato. Poi gli attacchi russi hanno costretto tutti a darne notizia. Un passo in particolare merita di essere riletto.

«La storia non è destinata a ripetersi pedissequamente, ma dagli errori compiuti dagli uomini nella storia non si finisce mai di apprendere. La crisi economica mondiale del 1929 scosse le basi dell’economia globale e alimentò una spirale di protezionismo, di misure unilaterali, con il progressivo erodersi delle alleanze. La libertà dei commerci è sempre stata un elemento di intesa e incontro. Molti Stati non colsero la necessità di affrontare quella crisi in maniera coesa (…) Fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni paesi, attratti dalla favola che regimi dispotici e illiberali fossero più efficaci nella tutela degli interessi nazionali.

Il risultato fu l’accentuarsi di un clima di conflitto (…) pur nella consapevolezza di dover affrontare e risolvere i problemi in una scala più ampia. Ma, anziché cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista. Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa. L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura.

Oggi assistiamo anche a fenomeni di protezionismo di ritorno. La presidente della Commissione Europea, a Davos, pochi giorni fa, ricordava che, solo nel 2024, le barriere commerciali globali sono triplicate in valore. Crisi economica, protezionismo, sfiducia tra gli attori mondiali, forzatura delle regole liberamente concordate, diedero un colpo definitivo alla Società delle nazioni sorta dopo la Prima guerra mondiale, già compromessa dalla mancata adesione degli Stati Uniti che, con il presidente Wilson, ne erano stati fra gli ispiratori.

(…) Fin dall’inizio, purtroppo, la Società delle nazioni non seppe fare argine all’espansionismo, alle ripetute violazioni della sovranità territoriale, in Europa come in altri continenti. Così, negli anni Trenta del secolo scorso, assistemmo a un progressivo sfaldarsi dell’ordine internazionale, che mise in discussione i principi cardine della convivenza pacifica, a cominciare dalla sovranità di ciascuna nazione nelle frontiere riconosciute.

Le politiche di appeasement adottate dalle potenze europee nei confronti dei fautori di queste dinamiche furono testimonianza di un tentativo vano di contenere ambizioni distruttive di simile portata: emblematico rimane l’Accordo di Monaco del 1938, che concesse alla Germania nazista l’annessione dei Sudeti, territorio della Cecoslovacchia. Un abbandono delle responsabilità condusse quei paesi a sacrificare i principi di giustizia e legittimità, nel proposito di evitare il conflitto, in nome di una soluzione qualsiasi e di una stabilità che, inevitabilmente, sarebbero venute a mancare. La strategia dell’appeasement non funzionò nel 1938. La fermezza avrebbe, con alta probabilità, evitato la guerra».

 

Gianfranco Brunelli

Tipo Articolo
Tema Vita internazionale Politica
Area EUROPA AMERICA DEL NORD
Nazioni

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