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Attualità
Attualità, 16/2025, 18/09/2025, pag. 433

Stati Uniti - Politica internazionale: anagramma americano

Il caso guida la linea politica trumpiana e sta seminando caos

Gianfranco Brunelli

La logica del caos. La logica del caso. In italiano le due parole – caos e caso – sono l’una l’anagramma dell’altra. 

La logica del caos. La logica del caso. In italiano le due parole – caos e caso – sono l’una l’anagramma dell’altra. Ma sin dalla loro narrazione mitologica si tratta di due fenomeni diversi. Il caos è una realtà abissale e informe; il caso allude all’imprevedibilità.

Ora, a quale delle due, o se combinatamente a entrambe, corrisponda l’azione politica del presidente statunitense Donald Trump è difficile dire. Di certo la strategia di quest’uomo (un ottantenne incolto e narcisista) e della sua presidenza sta producendo il caos mondiale e si ritorce contro gli Stati Uniti e i suoi alleati.

In una parola contro l’Occidente e quello che resta dei suoi valori.

In poco più di sei mesi, Trump ha messo il mondo a rischio, ben più di quello che era prima del suo arrivo; ha umiliato il sistema d’alleanza occidentale; ha fatto perdere potere e credibilità al suo paese.

Che coerenza concettuale ha un’azione che esalta come metodo e come sostanza il primato della forza (ovunque) in sostituzione del primato della politica e del diritto e poi immagina di non dover usare la forza per garantire la propria grandezza?

La formula Make America Great Again (MAGA) è solo un tragico slogan.

Ha riportato Putin sulla ribalta internazionale

Il più grande fallimento è certamente la strategia nei confronti di Mosca. Il tentativo di Trump di dividere la Russia dalla Cina grazie alla negoziazione di una pace in Ucraina alle condizioni di Mosca, cioè alla capitolazione di Zelensky, alla revoca delle sanzioni internazionali e alla riapertura dell’economia russa agli investimenti americani, alla disarticolazione dell’Unione Europea è miseramente fallito. I danni sono ingenti per l’Ucraina e per l’Unione Europea, ma il fallimento di Trump è totale.

Il vertice di Anchorage del 15 agosto scorso, tra Vladimir Putin e Donald Trump, ha segnato una svolta nella ridefinizione degli equilibri internazionali; nella percezione della postura internazionale degli Stati Uniti; nell’allontanamento della pace in Ucraina. Trump ha reintegrato Putin sulla scena internazionale e convalidato il suo progetto d’occupazione militare e politica dell’Ucraina, senza ottenere nulla.

Non solo non ha disallineato la Russia dalla Cina ma ha ridato centralità a Mosca. Ha fatto a pezzi l’Occidente ed è tornato a mani vuote. Non solo Trump ha perso la guerra in Ucraina, ma ha dimostrato di non essere in grado di esercitare una qualche egemonia positiva nel ridisegno degli equilibri internazionali.

Com’è stato efficacemente osservato, gli Stati Uniti trattano da soli; l’Europa parla da sola; l’Ucraina è sola e da soggetto sovrano è divenuta oggetto negoziale. Mosca ha capito che può (e dal suo punto di vista deve) continuare la guerra, il tempo gioca a suo favore: l’Europa, che non esiste come unità politica di decisione ed è debole quale ideale interno alle singole nazioni, ci metterà tempo per organizzare una qualche strategia difensiva.

Ha dato un ruolo primaziale alla Cina

Dopo il disastro di Anchorage abbiamo assistito al successo cinese del vertice di Tianjin e Pechino. Il vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (31 agosto – 1o settembre) ha radunato 27 paesi (che totalizzano metà della popolazione mondiale e un terzo degli scambi commerciali) sotto l’autorità riconosciuta della Cina.1 La Cina si è proposta ed è stata riconosciuta come nuova superpotenza mondiale.

A Pechino Putin ha rinsaldato il suo legame politico e strategico con Xi Jinping, ha rafforzato la cooperazione economica (la costruzione del gasdotto Power Siberia 2), ha ottenuto aiuti militari indiretti, e l’offerta di un protagonismo pacificatore internazionale da parte di Pechino. È sufficiente che Putin continui a dire «no» all’Europa, alla sua presenza sul campo come garante della pace, per completare l’opera: dopo i nordcoreani direttamente al fronte, i cinesi quale forza di interposizione, di pace e di stabilità.

Anche la politica di smantellamento della cooperazione internazionale (i tagli all’USAID, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale), l’uscita dall’Organizzazione mondiale della sanità e l’imposizione di tariffe doganali allontanano l’emisfero Sud dall’influenza americana. Applicando al Brasile e all’India dazi del 50%, Trump regala due paesi strategici alla Cina.

Di non minore importanza è stata la parata militare per l’80o anniversario della sconfitta del Giappone. Potenza militare nucleare e convenzionale, la Cina si vede legittimata anche dalla stessa concezione trumpiana dell’uso della forza ad affermare la propria legittimità nel prendersi Taiwan.

La Cina si propone come nuovo centro di un mondo multilaterale post-occidentale e antiamericano. Anche la rivendicazione storicamente infondata della vittoria sul Giappone ha una sua visione ideologica. Cina e Russia assieme si propongono retrospettivamente come gli attori decisivi della lotta contro il «fascismo», il «nazismo» e il nazionalismo nipponico.

Ha dato mano libera ai crimini di Netanyahu

La casuale abilità di Trump come maestro del caos si è esercitata anche sul fronte mediorientale. Non solo non ha dato alcun contributo alla pace, ma ha giustificato la guerra infinita di Netanyahu a Gaza, lasciandogli mano libera fino a giustificare quelli che sono veri e propri crimini contro l’umanità. Trump non si è curato del profilo internazionale di Israele, dell’antisemitismo crescente, della necessità d’isolare Hamas dai palestinesi per estirparne il terrorismo, non si è curato di comporre un fronte europeo-occidentale che, difendendo il diritto di Israele all’esistenza, componesse quel diritto con quello analogo della popolazione palestinese.

Infine ha dato un contributo al caos interno. Già le ultime amministrazioni, comprese quelle democratiche, non avevano compreso il male oscuro degli Stati Uniti, male culturale di frantumazione progressiva delle minoranze, d’isolazionismo dell’America bianca profonda, di crescente precarietà sociale ed economica dei vecchi ceti produttivi. Quell’agglomerato di interessi cresciuto intorno al network del Partito democratico ha compreso tardi il degrado e lo sfaldamento sociale e culturale. E questo non è casuale. Corrisponde a un degrado culturale degli interessi in gioco.

Mette a rischio le conquiste democratiche USA

L’impero americano si sta disgregando all’esterno perché si è disgregato all’interno. Persino quello che rimaneva della retorica narrativa sta svanendo. Trump sta compiendo rapidamente un’opera di destrutturazione delle istituzioni, sta accelerando il caos. Il ripetersi continuo di ingiustificabili casi di violenza politica accelera quel percorso.

Una dopo l’altra tutte le grandi conquiste democratiche sono rimesse in discussione: la stabilità politico-istituzionale legata al rispetto delle leggi costituzionali; la continuità di una visione globale fondata sulla difesa della libertà; il riconoscimento dello stato di diritto; un capitalismo dinamico, ma non lasciato interamente a se stesso; la vitalità della ricerca scientifica e la libertà d’informazione.

Tutto questo sta implodendo e lascia il posto al caos e al disordine. E il nuovo ordine, quello che sorge da Oriente, appare opprimente e privo di libertà.

 

Gianfranco Brunelli

 

1l 25° vertice del Consiglio dei capi di Stato dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) ha riunito 27 paesi che a oggi vi aderiscono a vario titolo, tra membri (10), osservatori (2) e partner per il dialogo (saliti a 15 dopo la recente ufficializzazione dell’ingresso del Laos). Essa è stata creata nel 2001 da Cina, Russia, Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan sulle ceneri del Gruppo di Shanghai.

Tipo Articolo
Tema Politica Vita internazionale
Area AMERICA DEL NORD AMERICHE
Nazioni

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