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Attualità
Attualità, 10/2025, 15/05/2025, pag. 257

Papa - Leone XIV: una continuità selettiva

Dopo Francesco, Leone

Gianfranco Brunelli

Il conclave, apertosi nella Cappella sistina il 7 maggio 2025, ha eletto l’8 maggio alla quarta votazione il 267o successore di Pietro nella persona del card. Robert Francis Prevost (69 anni), che ha preso il nome di Leone XIV.

 

Il conclave, apertosi nella Cappella sistina il 7 maggio 2025, ha eletto l’8 maggio alla quarta votazione il 267o successore di Pietro nella persona del card. Robert Francis Prevost (69 anni), che ha preso il nome di Leone XIV.

Dopo Francesco, primo papa gesuita e primo sudamericano, Leone XIV è il primo papa dell’ordine agostiniano e primo statunitense. Le attese della vigilia erano in generale diverse e, infatti, anche la rivista Time non lo annoverava tra i papabili.

Dopo la fine della pregiudiziale anti-latinoamericana, formulata in occasione del conclave del 2005 dallo stesso presidente Bush, superata nel conclave del 2013 con l’elezione di Bergoglio, cade oggi anche quella nei confronti di un papa statunitense.

Il pontificato di papa Francesco (cf. il nostro speciale, supplemento a Regno-att. 8,2025) ha aperto «un tempo nuovo» nella vita della Chiesa. Ha avviato molteplici processi di rinnovamento – dallo stile sinodale, all’apertura ai laici (anche alle donne), a un’attenzione accogliente verso le diversità, alle emergenze storiche delle povertà, dell’ecologia, dell’immigrazione, della pace –, senza tuttavia concluderne alcuno. Il suo è stato uno stile processuale: ha avviato cantieri che altri condurranno a termine, perché «il tempo è superiore allo spazio» (Evangelii gaudium, nn. 222ss).

Il concetto di processualità è stato per lui, secondo il metodo ignaziano, anche una forma teologica per intendere la vicenda umana nel suo rapporto con Dio: la storia degli uomini e la storia della salvezza non sono due vicende separate, ma sono la stessa storia. Il che implica un primato della storia e uno stile di discernimento dei «segni dei tempi», un’adesione alla realtà fino ad assumerne dall’interno le contraddizioni. In questo egli è andato al centro del concilio Vaticano II.

Papa Francesco ha creato inquietudine soprattutto all’interno della Chiesa, terremotando il tradizionalismo. È apparso contraddittorio, soprattutto nel governo dell’istituzione ecclesiastica: sinodale e accentratore, decisionista e «populista»; ma ha comunicato che non vi è un «dentro» e un «fuori» dalla Chiesa. C’è la Chiesa che abbraccia tutti, anche coloro che non la conoscono, la rinnegano, la combattono, la perseguitano. Ne ha così rilanciato l’immagine parlando a tutti: anche i grandi della terra si sono inginocchiati di fronte alle sue spoglie.

Questo è un risultato contraddittorio e reale, problematico e creativo, di cui il nuovo papa Leone XIV beneficia. Lo abbiamo visto nei primi giorni del suo pontificato e soprattutto nella messa d’inizio pontificato. Di nuovo i potenti sono venuti a Roma, di nuovo propensi a fare svolgere un ruolo morale al papa e alla Santa Sede nel vuoto d’autorità e autorevolezza delle loro istituzioni e di loro stessi.

Portare la Chiesa americana fuori dal trumpismo

Il nuovo papa appare diverso. Ha una biografia meno collocata ai margini del mondo. Ha una forte esperienza di governo dell’istituzione (l’ordine agostiniano) e pastorale (la diocesi di Chiclayo, poverissima, nel cuore del Perù), conosce la curia romana e conosce il mondo, a cominciare dagli Stati Uniti da cui proviene. Ed è proprio questa provenienza che lo mette in condizione di considerare la Chiesa cattolica americana come appartenente al cattolicesimo e non al trumpismo.

Come Francesco non è un teologo di professione, ma i suoi studi nel solco della tradizione agostiniana sono saldi. Un agostiniano risponde a una diversa tradizione teologica rispetto a un gesuita. Entrambe sono nella migliore tradizione della Chiesa. Con Francesco è finito il pregiudizio circa il potere dei gesuiti. Con Leone finisce quello delle deviazioni teologiche che nella storia si sono prodotte dal ceppo agostiniano. Del resto si può ricordare con Henri De Lubac che l’ermeneutica del mondo e della vita elaborata dalla tradizione sa che persino «sotto le peggiori confusioni si nasconde talvolta l’inquietudine di una verità che si sta cercando». Inquietum est cor nostrum è l’espressione privilegiata di sant’Agostino quando esprime il suo desiderio di ricongiungimento con Dio.

Non ci si deve attendere una continuità piana tra i due pontificati. Ma dalle prime parole di papa Leone XIV ci si può attendere una continuità selettiva. Il nuovo papa sceglierà quale continuità.

Parlando al collegio cardinalizio, il 10 maggio, egli stesso ha indicato i primi, essenziali elementi di continuità: «Vorrei che insieme, oggi, rinnovassimo la nostra piena adesione, in tale cammino, alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del concilio Vaticano II. Papa Francesco ne ha richiamato e attualizzato magistralmente i contenuti nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, di cui voglio sottolineare alcune istanze fondamentali: il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio (cf. n. 11); la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana (cf. n. 9); la crescita nella collegialità e nella sinodalità (cf. n. 33); l’attenzione al sensus fidei (cf. nn. 119s), specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare (cf. n. 123); la cura amorevole degli ultimi, degli scartati (cf. n. 53); il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà (cf. Gaudium et spes, n. 84)».

Sempre ai cardinali ha indicato lo stile spirituale che egli condivide: «Si tratta di principi del Vangelo che da sempre animano e ispirano la vita e l’opera della famiglia di Dio, di valori attraverso i quali il volto misericordioso del Padre si è rivelato e continua a rivelarsi nel Figlio fatto uomo, speranza ultima di chiunque cerchi con animo sincero la verità, la giustizia, la pace e la fraternità (cf. Benedetto XVI, Spe salvi, n. 2; Francesco, Spes non confundit, n. 3)».

Una Chiesa unita nella collegialità

Il nuovo papa ha posto un altro segno di continuità con i suoi predecessori, non solo con papa Francesco, nella scelta del nome (cf. in questo numero a p. 259): «Proprio sentendomi chiamato a proseguire in questa scia, ho pensato di prendere il nome di Leone XIV. Diverse sono le ragioni, però principalmente perché il papa Leone XIII, con la storica enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro».

Allora, con Leone XIII, fu la questione operaia, oltre un secolo dopo l’avvio della Rivoluzione industriale, al centro dell’attenzione della Chiesa, in chiave antisocialista, che tuttavia aprì allo sviluppo di una nuova presenza della Chiesa che le consentì di tornare a parlare delle questioni del proprio tempo dopo la stagione delle condanne alla modernità e all’autoisolamento del Non expedit.

Oggi l’insegnamento sociale della Chiesa, come l’ha definito Paolo VI nella Octogesima adveniens, affronta soprattutto i temi dello sviluppo tecnologico incontrollato, della distruzione del pianeta e della pace. A questi temi il nuovo papa ha ripetutamente fatto riferimento in tutti i suoi primi interventi.

Poi c’è lo stile con cui Leone XIV intende fare il papa. Lo ha programmaticamente segnalato nell’omelia della messa d’inizio del pontificato, il 18 maggio. «Sono stato scelto senza alcun merito e, con timore e tremore, vengo a voi come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia, camminando con voi sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia. Amore e unità: queste sono le due dimensioni della missione affidata a Pietro da Gesù (…) Questo, fratelli e sorelle, vorrei che fosse il nostro primo grande desiderio: una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato».

Per questo ha scelto come motto del suo simbolo papale la frase: «Nell’unico Cristo noi siamo uno». Dall’accento di papa Francesco sulla misericordia, a quello dell’unità.

Ma nello stile di governo della Chiesa c’è certamente in papa Leone una maggiore sottolineatura della collegialità. È necessario che tutta l’istituzione condivida e recepisca quello che è stato seminato precedentemente. Del resto il conclave ha rischiato di dividersi proprio sull’eredità di papa Francesco.

Il compito di Leone XIV è un compito di ricomposizione della Chiesa, che egli, sembra di capire, secondo la tradizione agostiniana svilupperà in chiave missionaria, ma decisamente fuori da ogni agostinismo: «Il ministero di Pietro è contrassegnato proprio da questo amore oblativo, perché la Chiesa di Roma presiede nella carità e la sua vera autorità è la carità di Cristo. Non si tratta mai di catturare gli altri con la sopraffazione, con la propaganda religiosa o con i mezzi del potere, ma si tratta sempre e solo di amare come ha fatto Gesù».

Il suo è anche un compito teologico rivolto a tutti, a cominciare dalle frange intransigenti della Chiesa. Una sola è la fonte della rivelazione: la persona di Gesù Cristo, rispetto alla quale la Scrittura e la Tradizione sono due modalità di trasmissione dell’unica fonte. La Dei Verbum torna a essere il documento conciliare necessario per rispondere sia al tradizionalismo sia alla secolarizzazione interni alla Chiesa.

 

Gianfranco Brunelli

Tipo Articolo
Tema Santa Sede Leone XIV
Area EUROPA
Nazioni

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