Parabola della Via crucis e dei carabinieri
Suggerisco un pregare sommesso
Come svolgere oggi nella città secolare una Via crucis che parli a tutti e non provochi rigetto? Propongo una parabola dal vero mirata a questo insegnamento.
Come svolgere oggi nella città secolare una Via crucis che parli a tutti e non provochi rigetto? Propongo una parabola dal vero mirata a questo insegnamento: che, per quanto possibile, Via crucis e celebrazioni all’aperto siano organizzate nell’abbraccio accogliente della comunità cittadina, con flessibile adattamento alla sua vita ordinaria, senza blocco del traffico e senza altoparlanti.
Per quanto possibile: e non sempre sarà possibile. Nell’abbraccio accogliente della città: che magari non ci sarà. Oggi è più facile che ci sia, rispetto a un secolo fa, ma in diverse nostre città quell’accoglienza è da costruire. Dovremmo educarci a un flessibile adattamento mirato a realizzarla.
L’uscita nella città
va reinventato
La mia parabola ha un paio di sottintesi che enuncio in premessa: sono del parere che l’uscita in città sia essenziale oggi come all’alba della Pentecoste, quando i dodici escono dal Cenacolo e parlano agli abitanti di Gerusalemme.
A questo primo sottinteso, che valeva sempre, se ne aggiunge oggi un altro nel segno dell’urgenza: l’uscita nella città va reinventata prima che il calo dei discepoli renda sconosciuta la comunità cristiana alla comune umanità.
Ma veniamo alla parabola della Via crucis ecumenica che si è fatta a Roma la sera di venerdì 15 marzo: era promossa dalla quarta Prefettura del Settore centro e aveva il titolo «Insieme sotto la croce per discernere ciò che più conta». Un’ottima iniziativa e tanta gente.
Vi hanno partecipato il Collegio armeno e la Chiesa luterana, la Comunità anglicana di Roma, le parrocchie della Prefettura. Il libretto con i testi portava il logo della diocesi di Roma e quello del Consiglio ecumenico delle Chiese.
Ritrovo e prima sosta nella Basilica di San Vitale in via Nazionale, che è al fondo di una scalinata. Seconda sosta nella chiesa di San Nicola da Tolentino dall’alta facciata, la terza nella Basilica degli Angeli e dei Martiri che Michelangelo ricavò dalle Terme di Diocleziano, la quarta nella Basilica di San Camillo de Lellis in via Piemonte, la quinta nella Chiesa luterana di via Sicilia. Il cammino era guidato dal gruppo di San Camillo de Lellis con croce, fiaccole e altoparlante. Il parroco, il camilliano Sergio Palumbo, intonava i canti e introduceva le letture. È un trentennio che questa parrocchia svolge la Via crucis ecumenica, alla quale quest’anno per la prima volta si sono unite le altre 4 parrocchie della quarta Prefettura. Vari sono gli insegnamenti di questa esperienza, primo fra tutti che le parrocchie possono lavorare in gruppo invece di farsi concorrenza e che tante attività possono essere gestite in spirito ecumenico con le altre comunità cristiane.
«Saremo accompagnati dalle forze dell’ordine», ha detto padre Bruno dando il via al cammino, e c’erano carabinieri e poliziotti che hanno aiutato i camminanti a tenere il passo lungo un percorso complesso: abbiamo attraversato tre volte via XX Settembre, tanto per dire. Quando i motociclisti fermavano il traffico, tra i nostri canti si sentivano strombazzamenti e domande incredule: «Ma che state a fa’?».
Ed è qui che la mia parabola propone un confronto con le «Camminate mariane» che a Roma centro sono proposte dal vescovo del settore Daniele Libanori e delle quali ho già parlato in questa rubrica (cf. Regno-att. 12,2022, 407s), segnalando che le camminate copiavano l’esperienza più lunga e più ampia della «Corona di Maria» animata da don Paolo Asolan.
Camminate mariane, Corona di Maria, Via crucis ecumenica mi paiono tre validi modi di cercare Dio in gruppo, nella città. Che a Roma è stato frequentissimo nei secoli ma è presente anche oggi con il giro sempreverde delle Sette Chiese e con i pellegrinaggi notturni al Divino amore.
Ma come a suo tempo mi azzardai a suggerire piccoli aggiustamenti agli organizzatori delle Camminate mariane, così ora oso dire ai promotori della Via crucis ecumenica di rendere ancora più flessibile l’uscita del «pio esercizio» nella città multiculturale.
Un pregare sommesso
o un cammino silente
Gruppetti con la croce, invece di un gruppone dietro a una sola croce. Rinuncia alla presenza delle forze dell’ordine e all’altoparlante. Un pregare sommesso o un cammino silente tra l’una e l’altra sosta. Il canto e le letture da svolgere solo all’interno delle chiese.
In varie parrocchie romane si praticano da tempo uscite inermi dalla chiesa alla piazza, nel mezzo delle movide: alle Palme, al Corpus Domini, nelle feste patronali. Ed è uno spettacolo lo sguardo stupito dei ragazzi, metà dei quali non credono a quello che vedono: paramenti d’oro, fumo dell’incenso, candele accese di giorno, parole latine. Trovare il modo di segnalare la fede alla città senza alcuna imposizione mi pare il compito dell’attuale generazione cristiana.
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