Quattro candide canaglie
A Gilbert K. Chesterton si può tornare tante volte se s’intende seguire il filo della grande narrativa (cattolica) del secolo scorso. Nel 1930, quasi vent’anni dopo l’invenzione di quel detective improbabile, antieroico, simpaticamente cattolicissimo che è padre Brown (cf. Regno-att., 10,2021,316), esce questa raccolta di racconti, Quattro candide canaglie (Guida editori).
A Gilbert K. Chesterton si può tornare tante volte se s’intende seguire il filo della grande narrativa (cattolica) del secolo scorso. Nel 1930, quasi vent’anni dopo l’invenzione di quel detective improbabile, antieroico, simpaticamente cattolicissimo che è padre Brown (cf. Regno-att., 10,2021,316), esce questa raccolta di racconti, Quattro candide canaglie (Guida editori).
In mezzo ci sono stati altri tre fortunati volumi di avventure del prete detective, l’ultima sarà pubblicata nel 1935. Ma Chesterton è un fiume, e intanto scrive e scrive: saggi, articoli, poesie e racconti, appunto. Qui l’ossimoro del titolo annuncia il paradosso che attraversa i personaggi.
L’aggettivo inglese è faultless, senza colpa. Criminali senza colpa rimane paradossale ma non si sovrappone nelle nostre orecchie, con il biblico misterioso versetto, teologicamente assai disquisito, di Matteo 10,16: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe». Non si tratta di conservare il candore della fede dentro un mondo di lupi, ma di riconoscere come la verità sia spesso nascosta, sotto la maschera del suo contrario. È il tema di tutto il mondo di padre Brown e quindi di Chesterton scoprire la verità sotto l’apparenza, e spesso l’apparenza è così convincente che davvero bisogna che qualcuno liberi i nostri occhi pigramente acquiescenti. Un miracolo come quello di Gesù nei Vangeli, oppure il miracolo dell’ostinato ricercare, come nelle vicende che qui vengono messe insieme.
La cornice dei quattro racconti è data da un giornalista che si chiama Mister Asa Lee Pinion, redattore della Chicago Comet, il quale ha fama di essere un professionista senza scrupoli, in cerca di storie che gli diano fama e gloria. Si trova a Londra sulle orme di un famoso libertino, il conte Raoul de Marillac, che non si nega al giornalista ma al contrario si presta a incontrarlo al suo club londinese e si mostra gentilissimo, rispondendo a un po’ di domande futili che Pinion gli rivolge, ma poi se ne va, perché, coerentemente con quel che di lui appare al mondo, è atteso alla prima di uno spettacolo già molto discusso dal titolo «Anime nude», versione teatrale del romanzo I flauti di Pan, un «audace, frizzante ritorno alla natura» (19).
In questo prologo già tutto pieno di ammiccamenti, quattro amici del Conte, a loro volta presenti al club, chiariscono al giornalista che tutta la faccenda del libertinaggio in realtà nasconde la scelta di vita profondamente ascetica del conte, talmente votato alla discrezione da nasconderla sotto il suo contrario. La fama di dissolutezza è la maschera che protegge la sua scelta e i pranzi, le cene e le serate goderecce sono una forma di penitenza estrema, dal momento che nulla di tutto ciò gli piace davvero. E del resto è subito chiaro che anche i quattro amici hanno storie simili da raccontare. E le raccontano. «L’assassino moderato»; «L’onesto medicastro»; «Il ladro estatico» e «Il traditore leale» sono rocamboleschi esercizi di torsione della realtà, paradossali e divertenti ma insieme pieni di pensosa malinconia per un mondo storto che ha bisogno che questi rovesciamenti vengano infine squadernati per salvare un po’ di verità. Che il Vangelo annuncia ma che gli uomini tradiscono.
In questo senso è esemplare la storia del ladro estatico, ecstatic in inglese, un ladro che diventa tale perché ha avuto una visione. Noi lo conosciamo già all’opera e lo seguiamo mentre viene sorpreso con le mani nelle tasche delle persone, arrestato e portato in tribunale, dove non può essere condannato perché chi deve testimoniare le sue intrusioni deve anche riconoscere di non aver avuto danno alcuno ma anzi, di essersi trovato ad avere più soldi e beni di quanti ne avesse prima. E la visione da cui tutto ha origine è quella vividissima che il ladro un giorno ha del proprio ricchissimo padre, imprenditore di successo si direbbe oggi, universalmente riconosciuto e riverito come persona socialmente eminente. Lo vede seduto a capotavola durante un qualche pranzo con alti dirigenti che brindano con lui: «Il sole del successo nell’alto del cielo, a splendere ovunque su un unico, orribile imbiancato sepolcro di umana ipocrisia. E io sapevo che all’interno era pieno di ossa umane, delle ossa di uomini che erano morti d’alcool, di disperazione o di fame, dentro prigioni, ricoveri per mendicanti e manicomi, perché questa cosa orrenda aveva mandato in rovina cento ditte per innalzarne una. Orribile rapina, orribile tirannia, orribile trionfo» (186).
Ma, orrore degli orrori, lui ama suo padre e così decide di riparare, restituire tutto quello che può ed entra nelle case di chi ha avuto danno dalla ricchezza del padre e mette le mani nelle tasche dei poveri per aggiungere qualche moneta che dia sollievo alla loro condizione. Vuole prendere su di sé «tutti gli appellativi che meritava lui» (187) e salvare così il padre. Lo avrebbero chiamato ladro perché il padre era ladro, lo avrebbero messo in galera perché avrebbe preso su di sé la sua eredità. Non può funzionare, ovviamente. È follia, mistica follia, che portata nel mondo normale diventa quasi una forma di disagio mentale, e infatti in tribunale riconosce «due uomini in monocolo, con la faccia esangue, che avevano l’aria di essere psicologi» (181). Capisce, il mistico ladro, che non è quella la strada, e che «quelli che hanno visioni fantastiche, che fanno voti, che fanno penitenza per questo mondo perverso non possono farlo come meglio gli aggrada e ovunque vogliano. Devono vivere secondo regole, devono andare in monasteri o in posti del genere» (188).
Chesterton si era convertito al cattolicesimo nel 1922. La storia dice che non è facile essere un intellettuale convertito. Si è tirati a essere testimoni di ortodossia, paladini della verità, la visibilità non aiuta. La sua lettura sistematicamente ironica e capovolta della realtà lo salva. Poi rimane quel che sappiamo, l’antisemitismo qua e là, un paternalismo sottile e invincibile, una certa superiorità.
Però si ride tanto e si pensa altrettanto. E quindi.