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Attualità
Attualità, 22/2023, 15/12/2023, pag. 736

Rinascita nazionale

Ambivalenze e ingiustizie della forma stato

Piero Stefani

A partire dal 17 gennaio del 1990, ogni anno la Chiesa italiana celebra la «Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei» (cf. Regno-att. 22,1989,634). Nonostante i non pochi anni trascorsi, la data ha ancora scarsa presa. Le ragioni sono molteplici; tra queste, vi è il fatto che il linguaggio impiegato dalle due componenti è contraddistinto da una diversità più eterogenea che dialogica.

La prossima Giornata avrà come testo di riferimento la visione delle ossa inaridite e rianimate presenti nel profeta Ezechiele: «Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?» (Ez 37,1-14). Il messaggio dei vescovi è riassumibile nell’auspicio di passare, sia per le comunità dei fedeli sia per la società nel suo complesso, da un tempo di «passioni tristi» a un’epoca caratterizzata da «passioni felici». Nel testo non traspare alcun riferimento né alla dimensione escatologica (risurrezione finale) né a quella nazionale presente nel messaggio dei rabbini.1 Va però precisato che tra le due linee interpretative a essere più sviluppata è la seconda. 

Il testo elaborato dall’Assemblea dei rabbini d’Italia fa notare che, nel passo profetico, la rianimazione delle ossa è contraddistinta da due momenti distinti. Nel primo, caratterizzato da un gran rumore, si afferma che nervi e carne ricoprivano via via le ossa, ma lo spirito non era con esse; nel momento successivo irrompe invece lo spirito e i morti ritornano in vita, si alzano in piedi e formano un esercito molto numeroso (Ez 37,8-10).

In prospettiva allegorica, il frastuono «viene interpretato, (in un recente saggio a cura di rav Yaakov Hayat) come espressione degli sconvolgimenti che si manifestano tra le nazioni del mondo in relazione alla rinascita nazionale del popolo ebraico». Il movimento delle ossa che si ricongiungono è espresso in una forma che può indicare il perfetto incastro di ciascun membro con un altro, perciò «nel momento in cui il popolo ebraico vive la propria rinascita, ciascun ebreo ritrova anche se stesso, cioè riconosce la propria personale identità con il legame con il proprio popolo».

La drammatica attualità delle ossa rinsecchite

Il messaggio rabbinico afferma che, dopo la Shoah e la nascita dello Stato d’Israele, il passo di Ezechiele si è mostrato di un’attualità drammatica. La visione delle ossa rinsecchite «era apparsa agli occhi del mondo in tutta la sua sconvolgente realtà, mentre le schiere dei risorti, descritte dal profeta, richiamano tutti i superstiti della Shoah che hanno cercato una nuova vita nel rinato stato ebraico».

Lo spirito divino si manifesta come forza capace dapprima di far muovere i corpi e poi di restituirli alla pienezza d’identità di esseri umani dotati di un intelletto rivolto al bene; in ciò «si può scorgere un’allusione al fatto che il risorgimento nazionale ebraico si sia a lungo sviluppato come movimento sostanzialmente privo di connotazione religiosa, nell’attesa di trovare un’espressione spirituale più profonda, in grado di coinvolgere pienamente tutto il popolo con autentico sentimento di fede nel Signore. Un’attesa quanto mai attuale nell’immediato presente».2

Il messaggio a sostegno di questa visione cita l’insegnamento di rav Avraham Izhak Kohen Kook (1865-1935), presentato come teorico di un pensiero che interpreta la rinascita nazionale sionistica come primo segno della redenzione avviata dal Signore, in una forma invero tuttora acerba ma destinata a svilupparsi nel tempo. Non c’è dubbio che rav Kook abbia un gran peso nello sviluppo dell’ideale sionistico. Egli si rifà a un filone che collega la rinascita spirituale del popolo alla terra.

Secondo le sue parole, «ci è stato tramandato che vi sarà un risveglio spirituale nella Terra d’Israele e in Israele stesso nel momento in cui comincerà l’alba della rinascita nazionale».3 L’apporto storicamente più rilevante di rav Kook è stato quello d’aver messo in luce la possibilità di ricondurre dentro un piano spirituale messianico pure l’opera del sionismo laico: «I mattoni per la costruzione possono portarli anche coloro che non penetrano nella profondità del “mistero dei giusti” (cioè nel significato religioso della loro costruzione), e non solo possono portare i mattoni, ma sono in grado di essere loro direttori dei lavori, quando però verrà il tempo della rivelazione del “mistero dei giusti”, allora la cosa diverrà chiara».4

L’ebreo della diaspora, anche se osserva pienamente la Torah, resta privo di qualcosa; per il fatto stesso di vivere fuori dalla Terra d’Israele manca infatti di un aspetto determinante della sua ebraicità. Chiunque rinunci all’idea di ritorno a Sion abdica alla propria fede nell’identità degli ebrei come nazione.

Molti di coloro che aderiscono all’attuale rinascita nazionale ritengono di essere laici; tuttavia, per rav Kook un nazionalismo ebraico totalmente laico è semplicemente inimmaginabile, se esso fosse realmente possibile bisognerebbe infatti disperare della salvezza. Di contro, la santità della Terra costringerà anche i laici a diventare consapevoli d’essere immersi e radicati nella vita di Dio.

Un tratto saliente della posizione di questo pensatore sionista è il suo respiro universale e le sue forti riserve nei confronti della costruzione dello stato ebraico. Per rav Kook la redenzione d’Israele fa parte di un processo che abbraccia il mondo intero; la rinascita dello spirito ebraico rinnoverà tutte le altre nazioni e diverrà allora pienamente manifesta la benedizione di tutti i popoli in Abramo.

Questa rinascita non potrà però assumere la «forma stato». L’accordo da lui prospettato a proposito dell’inserimento dei pionieri laici nel quadro della rinascita nazionale stenta a riproporsi nel caso dello stato, il quale, stabilito in un mondo non redento, sarebbe costretto a ricorrere in modo sistematico alla forza. Esso non potrebbe diventare uno stato di giustizia e di diritto e non sarebbe perciò uno strumento della redenzione.5 L’impostazione del messaggio obbliga l’Assemblea rabbinica a sorvolare su questi aspetti.

«Giusti tra gli ebrei»

La vita dello Stato d’Israele si colloca, per definizione, in un mondo ancora irredento; perciò fin dall’origine non è mai riuscito a separare in modo netto il grano del proprio diritto a esistere dalla zizzania delle ingiustizie arrecate nei confronti della popolazione palestinese. È quanto richiesto dalla forma stato.

Ci sono molte ragioni per individuare già nel pensiero autentico di Kook la presenza di aspetti problematici, tuttavia si potrebbe ugualmente ritenere che il maestro avrebbe approvato il comportamento di Genya Kowalski, donna che conobbe in prima persona le ossa inaridite ma che seppe anche comprendere come un ritorno alla vita collocato in una realtà irredenta sia contraddistinto da una dose d’ineliminabile ingiustizia: «Eravamo rasati, eravamo nudi, non piangevamo: non sapevamo cosa fosse un forno crematorio, ti guidano dentro, non sai dove stai andando. Ci hanno detto: ecco guarda il camino lassù, con il fumo che esce mentre tu stai aspettando di entrare. Non sono mai riuscita a raccontarlo prima… Ad Haifa siamo scesi [dalla nave] (…) C’erano delle tende, era un inverno rigido quello del 1949, c’erano forti piogge e faceva freddo, i nostri panni erano bagnati e piangevamo. Presi la decisione di non rimanervi. L’Agenzia ebraica aveva promesso di darci un appartamento; di conseguenza siamo andati da loro e ci hanno dato le chiavi di un’abitazione a Giaffa. Non era lontana dal porto, era una casa chiusa da una recinzione. Aprimmo il cancello, aprimmo la porta ed entrammo: non potevamo credere ai nostri occhi (…) Eravamo scioccati. La casa era bellissima ma non siamo entrati perché nel cortile ci siamo imbattuti in una tavola in forma rotonda, ancora apparecchiata… non appena l’abbiamo vista, colmi di paura ci siamo bloccati. Oltre alla paura, non riuscivamo proprio a guardare, ci faceva male, come potevamo riuscire a vivere lì… ci ricordava di come noi avevamo dovuto lasciare la casa e tutto il resto quando i tedeschi erano arrivati a spingerci a calci nel ghetto. Qui era esattamente la stessa situazione e non era nostra intenzione rimanere. Non volevamo fare come i tedeschi. Siamo partiti e abbiamo restituito la chiave e siamo rimasti a Nachlat [a sud di Tel Aviv, dove la famiglia ha vissuto all’interno di un deposito di arance situato nel cortile di una famiglia locale]».6 

Sono stati pochi gli ebrei che hanno rifiutato d’impossessarsi di una casa palestinese abbandonata e in Israele non c’è alcun elenco che onori questi «giusti tra gli ebrei».

 

1 I due messaggi, oltre a spunti di riflessione, a un modello di celebrazione e ad altro materiale, sono disponibili sul sito dell’UNEDI.

2 A firma di rav Alfonso Arbib, presidente della Assemblea rabbinica. Testo pubblicato su Moked, il portale dell’ebraismo italiano, il 31 ottobre 2023, https://bit.ly/46GHthr.

3 Cit. in M. Buber, Sion. Storia di un’idea, Marietti, Genova 1987, 173.

4 A. Ravitsky, La fine svelata e lo Stato degli ebrei. Messianismo, sionismo e radicalismo religioso in Israele, Marietti, Genova 2007, 153.

5 Cf. S. Avineri, The Making of Modern Zionism. The Intellectual Origins of the Jewish State, Basic Book, New York 1981, 187-197.

6 A. Confino, «Quando Genya e Henryk Kowalski sfidarono la storia. Giaffa 1949. Fra Olocausto e Nakba», in B. Bashir, A. Goldberg (a cura di), Olocausto e Nakba. Narrazioni tra storia e trauma, Zikkaron, Bologna 2023, 187s.

 

Tipo Parole delle religioni
Tema Teologia Ebrei
Area
Nazioni

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