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Attualità
Attualità, 12/2022, 15/06/2022, pag. 407

Cercando Dio per Roma

Il mese mariano nella città santa e dolente

Luigi Accattoli

Tra maggio e giugno ho avuto l’occasione di due camminate di preghiera per le vie di Roma, esperienza per me nuova che ora voglio raccontare. Perché in essa ho trovato un minimo insegnamento sull’attualità del camminare cercando Dio, in gruppo, nella città.

Come momento culminante del mese di maggio, il settore Centro della diocesi di Roma ha organizzato una «camminata mariana» che si è svolta sabato 21 maggio, con la recita del Rosario guidata dal vescovo del settore Daniele Libanori: siamo partiti alle 20,30 dalla chiesa di Santa Maria ai Monti (che è la mia parrocchia), abbiamo proseguito per Santa Maria di Loreto al Foro di Traiano, Santa Maria in Aracoeli, Santa Maria della Consolazione, terminando l’impresa a Santa Maria in Campitelli. 

Bellissime chiese e tutte diverse. Con un percorso che toccava ombelichi di storia antica e perni della vita d’oggi. Il tracciato centrale della Suburra, la Colonna Traiana che è dietro la sede della Provincia, la salita al Campidoglio dov’è il Comune di Roma, la discesa costeggiando la Rupe Tarpea, la zona dell’Anagrafe e del Teatro di Marcello.

Eravamo un centinaio di camminanti: se la ripeteremo saremo di più. Era bello invocare la misericordia del Signore sulla città e sul mondo camminando di notte per le nostre vie. In mezzo alle nostre case. 

100 persone per un settore della diocesi che conta 35 parrocchie divise in 5 prefetture: eravamo dunque pochissimi. Ma se per la preghiera in sinagoga bastano 10 persone, noi comunque eravamo 10 volte 10.

Per via incontravi
i ragazzi della
movida

Era il sabato sera e per la via incontravi i ragazzi della movida. A ogni passo imparavi qualcosa. Ringrazio il vescovo Daniele Libanori, le sue parole amiche iniziali e finali.

Parlandone nel blog ho anche proposto due piccoli aggiustamenti, in vista della seconda edizione. Primo: che per ognuna delle chiese si dia – prima della decina del Rosario – una minima notizia del luogo dove ci si trova, del suo nome, della sua storia, della sua bellezza. Secondo: che a ognuna delle chiese si faccia un silenzio finale, prima di riprendere il cammino. In modo da trattenere qualcosa della luce orante di quelle o di altre basiliche.

«Ci mettiamo in cammino con Maria», ha detto il vescovo al primo appuntamento: «Entreremo in alcuni suoi santuari nel cuore della città di Roma, dove la memoria grata dei nostri padri ha voluto lasciare nelle architetture un segno parlante della devozione e della fede. Sono i luoghi dove le lacrime e la gioia del cuore umano hanno incontrato la volontà di Dio, hanno sperimentato il perdono e la salvezza. Sono le case dove Maria ci accoglie e ci invita a camminare con lei, a farlo insieme, da fratelli, lungo le strade della nostra città che desidera essere abitata dall’amore di Dio». Il vescovo ci ha infine invitati a una «preghiera esultante e silente». 

Una seconda camminata mariana si è poi tenuta domenica 29 maggio da San Saba a Sant’Anselmo, sull’Aventino, sempre con Libanori. Il camminare cristiano a Roma è frequente. Frequentissimo nei secoli, nell’alveo dei pellegrinaggi giubilari e del giro delle Sette chiese e del Pellegrinaggio notturno al Divino amore. Ma frequente anche oggi.

Dalla camminata mariana
alla Corona di Maria

La camminata mariana a noi parrocchiani della Madonna dei Monti ha richiamato il pellegrinaggio giubilare che facemmo nell’aprile del 2016, Anno santo straordinario della Misericordia e che allora narrai in questa rubrica (cf. Regno-att. 8,2016,255s) per mostrare come cammina e come prega oggi una porzione di popolo di Dio nella quotidianità. Dalla Madonna dei Monti a San Pietro, con passaggio della Porta Santa e pranzo al sacco. Anche nel terzo millennio senza pranzo al sacco non c’è pellegrinaggio.

Ci muovemmo alle 09,30 dalla chiesa della Madonna dei Monti, pregato il Salmo 122: «Quale gioia, quando mi dissero: / andremo alla casa del Signore!». 

Salutammo san Benedetto Giuseppe Labre, che è sepolto nella nostra chiesa e partimmo. Camminammo con tre santi pellegrini: il nostro Benedetto Giuseppe, Ignazio di Loyola, Filippo Neri. Facendo due soste: una alla Chiesa del Gesù, dov’è Ignazio, e un’altra alla Chiesa Nuova, dov’è Filippo.

Seguivamo i segni che erano stati posti a terra per il quarto itinerario giubilare, quello mariano, che andava da Santa Maria Maggiore a San Pietro: tondi di colore azzurro uno dietro l’altro. «A che servono?», chiedevano i bambini che erano con noi. Una signora guidava il Rosario, con i misteri della gioia. Eravamo anche allora un centinaio, 90 alla partenza, alla fine 120.

La camminata mariana mi ricordava quella giubilare, ma era anche diversa e dalle diversità è nata la mia domanda al vescovo Libanori, che mi dicesse da dove gli fossero venuti l’idea e il nome «camminata mariana» e come fosse giunto alla scelta delle cinque stationes.

«Ho copiato da don Paolo Asolan, che da tempo ogni sabato fa la “corona di Maria”: un piccolo pellegrinaggio come quello fatto da noi», è stata la risposta.

Per ridare alla gente
il gusto di fare comunità

Quanto al nome, il vescovo Libanori chiarì che l’aveva chiamata «camminata» perché non voleva una processione: si pregava nelle chiese, ma lo spostamento era lasciato alla libera conversazione.

«Credo – argomentò – che se vogliamo fare nuova evangelizzazione dobbiamo ridare alla gente il desiderio e il gusto di scoprirsi famiglia, comunità, popolo. E dobbiamo restituirle la parola di Dio. E poi il camminare insieme, così come il convenire per l’eucaristia domenicale, è il “fare sinodo” più classico e vero. Volesse il cielo che arrivassimo a ritrovarci per ascoltare ciò che lo Spirito dice alla Chiesa e poi portarlo al mondo come profezia che illumini tutti».

La prossima volta – annotò ancora il vescovo – dobbiamo studiare un itinerario che ci consenta di portare le carrozzine: «Sarebbe bello avere con noi quelli che non escono mai o quasi mai e che sono i nostri migliori intercessori».

Avendo il vescovo copiato da Asolan non restava che intervistare don Paolo, che già conoscevo per il ruolo che svolge nel cammino sinodale romano e con il quale condivido la passione per Benedetto Giuseppe Labre, il più povero tra i camminatori e il più camminante tra i poveri.

«La Corona di Maria – è stata la prima risposta di don Paolo – ha una storia di più di 10 anni, ed è nata sulla scorta dei nostri pellegrinaggi a Santiago. Chi la organizza, infatti, è il capitolo romano della Confraternita di san Jacopo di Compostela, che gestisce anche lo Spedale della Provvidenza di san Giacomo e san Benedetto Labre a Trastevere».

«Pellegrinando sulle vie d’Europa – continua don Paolo – abbiamo imparato a riconoscere nel Rosario la preghiera che meglio scandisce i passi e aiuta a unire cammino e invocazione». 

Meditiamo sulla Scrittura
e lasciamo che Roma ci parli

Vent’anni fa – racconta – il gruppo fondatore di questa pratica, che ne è ancora lo zoccolo duro e l’organizzatore, andava a dire il Rosario lungo le banchine del Tevere, abbastanza silenziose.

Ma negli anni quel gruppo ha realizzato di vivere in una città santa, ricca – nel centro storico – di una cinquantina di chiese dedicate alla Madonna. È stato facile costruire itinerari che permettevano di entrare in 5 di esse per la meditazione del mistero (proposta da uno/a dei partecipanti) e «una visita che fosse non soltanto artistica ma anche d’aiuto a vedere come la fede avesse trovato forma visibile e fosse perciò in grado di parlare anche a noi».

«Nei primi anni – continua don Paolo – si partiva al mattino dallo Spedale, che è in via Genova, a Trastevere, e si camminava fino alle 17, quando si rientrava per la messa e la condivisione finale. Successivamente, per venire incontro al desiderio di alcuni che non ce la facevano a fare tutto l’itinerario, abbiamo scelto di limitarci alla mattinata, con la visita di 5 luoghi legati alla festa mariana del mese e con la messa finale verso le 13. Fanno eccezione i mesi estivi, per via del caldo: si sposta l’appuntamento verso sera e se ne riduce il percorso. Qualche volta siamo stati al Divino amore, lo scorso aprile – prendendo spunto dal giardino dove Gesù era stato sepolto e da dov’è risorto – il percorso è stato scandito dai giardini di Roma: Orto botanico, Roseto comunale, Giardino degli aranci. Sempre meditiamo sulla Scrittura e lasciamo che Roma ci parli».

Ho partecipato alla Corona di Maria del 4 giugno, vigilia di Pentecoste. Siamo partiti alle 18 dalla Cappella della Madonna dell’Archetto, che è in zona Santi Apostoli, poi abbiamo pregato – una decina per ogni tappa – davanti alla Madonnella di Piazza del Gesù, a quella dell’Arco della Ciambella (zona Pantheon), a quella di via delle Botteghe Oscure prospiciente Largo Argentina, a quella della Madonna della Lampada all’Isola Tiberina. Di Madonnelle a Roma ce ne sono ancora più di 1.000.

Abitatori della città
e camminanti di Dio

Il collegamento tra i camminanti è assicurato da una radiolina, così che si è uniti e insieme liberi nell’affrontare il traffico e i semafori. Oltre a meditare un brano del Vangelo a ogni tappa e a ricordare la storia delle singole Madonnelle, ci si fermava anche davanti alle memorie della città dolente: in via Caetani abbiamo letto ad alta voce la lapide per Aldo Moro, al Portico d’Ottavia – nel cuore del Ghetto – quella della deportazione ad Auschwitz degli ebrei romani del 16 ottobre 1943. 

Mi sono parse camminate ricche, sia quella animata dal vescovo Libanori sia questa della Confraternita di don Paolo. A misura della città moderna. E parlanti. Da raccontare.

 

www.luigiaccattoli.it

 

Tipo "Io non mi vergogno del Vangelo"
Tema Cultura e società
Area EUROPA
Nazioni

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