Gregge smarrito?
In dialogo con De Rita e soci
Il gregge smarrito invece della pecora smarrita: l’aggiornamento della parabola evangelica, già anticipato da papa Francesco, è ora rilanciato da Giuseppe De Rita per provare a intendere l’attuale malessere della Chiesa.
«Nell’ovile abbiamo soltanto una pecora e voi dovete andare fuori a trovare le altre novantanove», viene ripetendo da otto anni Bergoglio suggerendo a rimedio la via dell’uscita.
Qualcosa di somigliante viene ora a proporre De Rita, anche a nome di un gruppo di amici che si è denominato «Essere qui»: si tratta di un’associazione composta da una quindicina di donne e uomini «riuniti nella convinzione che la cultura cattoli-
ca abbia ancora molto da offrire», purché appunto i suoi portatori escano dall’autoreferenzialità e si decidano a «cercare la Chiesa fuori della Chiesa».
«Chiesa e società
nell’anno della pandemia»
De Rita è il presidente di questa associazione, Liliana Cavani la vicepresidente: e già si capisce che si gira al largo dalle sacrestie. Il sentore del campo aperto si conferma con l’elenco dei soci, che spazia da Ferruc-
cio De Bortoli a Romano Prodi, ad Andrea Riccardi: Gennaro Acquaviva, Renato Balduzzi, Carlo Borgomeo, Annamaria Del Prete, Amalia Maione, Mario Marazziti, Mario Morcone, Alessandro Pajno, Massimo Naro.
Conosco questi nobili pennuti. Conversando con De Rita e Acquaviva decenni addietro realizzai un saggio intitolato La Chiesa galassia e l’ultimo concordato (Rusconi 1986). Con Prodi, Riccardi, Balduzzi, Marazziti sono stato più volte a tavole rotonde e a tavole imbandite. I film di Liliana Cavani li ho sempre visti come fossero fatto mio.
Il libro di cui sto parlando (Essere Qui, Il gregge smarrito. Chiesa e società nell’anno della pandemia, Rubbettino, Soveria Mannelli [CZ] 2021, pp. 155, € 15.00) si presenta come un «rapporto di ricerca» che fornisce dati ed elementi di valutazione, simile ai rapporti del CENSIS, dei quali De Rita è padre e maestro. Ma questo – vi si legge – è un lavoro nato al di fuori di quell’istituzione: progettato in conversazioni amicali e finanziato da imprenditori interessati alla questione.
Il rapporto parte da una prospettazione fattuale della «prova» che l’anno della pandemia è stato per la Chiesa italiana e nel quale «alcune criticità latenti da anni, come lo scollamento con la società reale, la distanza tra fedeli e pastori, l’irrilevanza nel pensiero sociopolitico, sono emerse con decisione e hanno rafforzato un senso di smarrimento che veniva da lontano».
Una delle piaghe che la pandemia ha messo in luce – si argomenta – è la sostanziale irrilevanza della Chiesa cattolica nelle dinamiche sociopolitiche italiane. Il rapporto segnala che «per il 39% degli italiani e per il 50% dei praticanti, la Chiesa ha accettato troppo acriticamente le decisioni del Governo di sospendere prima e limitare poi le funzioni religiose». Ma la passività non è stata solo dei vertici: «Appena il 28,6% dei praticanti ha vissuto come una privazione non poter andare a messa durante il lockdown».
All’incapacità comunitaria d’interpretare lo stravolgimento comportato dalla pandemia ha «parzialmente» rimediato papa Francesco colmando a metà «il vuoto della presenza ecclesiale». Questa diagnosi severa mi ha ricordato un motto efficace che fu proposto a metà degli anni Ottanta da Achille Ardigò, ottimo precursore di De Rita come creatore di metafore interpretative degli eventi sociali: un grande papa in un grande vuoto. La foto di Francesco che sale in solitaria, sotto l’acqua, i gradoni del sagrato di San Pietro potrebbe oggi avere quella didascalia che Ardigò aveva proposto per l’eroico Wojtyla che pareva volesse arginare da solo il riflusso cattolico di quella stagione.
La scelta di contarsi
equivale a contare poco
Ne Il gregge smarrito la descrizione della Chiesa in declino è senza misericordia: quel declino – veniamo informati – lo riconosce il 65,6% dei praticanti. Il 42,2% ritiene che non abbia saputo cogliere le sfide della modernità. Il 50% ritiene che «i parroci conoscono sempre meno la realtà sociale delle loro parrocchie».
La «perdita della gamba sociopolitica» è indicata dai più come «una delle cause delle difficoltà attuali». Quella perdita – è convinzione del gruppo raccolto da De Rita – «ha indebolito la cultura cattolica più di quanto non l’abbia resa autonoma». Certo perdurano le innumerevoli azioni sociali della cattolicità italiana «ma senza che esista una sintesi e una rappresentazione comune: il risultato è una Chiesa che parla senza contare e che agisce senza parlare».
Che fare «per ripartire»? Il gruppo rifugge dalle «tentazioni fondamentaliste, quelle dei valori non negoziabili» e ritiene che «barricandosi a difesa di alcuni bastioni nella società di oggi si viene marginalizzati» e ne viene «una contrapposizione tra poli estremi che non serve né alla difesa dei valori che si voleva tutelare, né tantomeno al dialogo costruttivo con il resto della società».
Sembra di sentire Aldo Moro quando commentava amaramente l’errore degli amici che avevano voluto il referendum del 1974 sulla legge del divorzio. «In molte occasioni – afferma il rapporto – la cultura cattolica ha scelto di contarsi e quindi di contare poco, piuttosto che disperdersi come fermento nella massa e fare la differenza. Occorre sconfiggere la tentazione di contarsi».
Quando la profezia
ha toni sommessi
Invece dell’arroccamento, l’associazione «Essere qui» propone come parole d’ordine l’uscita e la relazione, perchè «la vita della Chiesa è nella relazione e questa è anche una grande testimonianza che deve dare al mondo»; e perché «mettere un piede fuori dal suo recinto aiuterà la Chiesa a non cadere e permetterà alla società di riconoscerla e forse di imitarla in quella presa di coscienza per cui nessuno si salva da solo».
A una Chiesa in grado di recuperare un rapporto costruttivo con la società si aprirebbero «potenzialità enormi», ritiene questo nuovo pensatoio cattolico: «Il 38% degli italiani si aspetta che la Chiesa abbia un ruolo profetico nella società, mentre solo il 6,6% pensa che dovrebbe orientare la politica». Essa infatti, per quanto indebolita, «è ancora il più diffuso spazio relazionale del paese e l’Italia ha bisogno più che mai di riscoprire la relazione».
Se si libererà «dall’immagine di contrapposizione con la modernità» che la marginalizza «immeritatamente», la Chiesa – dicono questi 14 – potrà non solo riprendere a guardare avanti ma sarà anche in grado di aiutare la società italiana ad alzare lo sguardo ai monti.
Unico soggetto
orientato al futuro
Gli estensori del rapporto, trattandosi di laici operosi e non di leviti, hanno quasi timore a usare la parola profezia, ma sono sicuri del suo contenuto, come ben traspare da questo brano (p. 133) che mi pare ne rappresenti il cuore: «Di solito si ha un certo pudore a parlare di profezia. Eppure la profezia può avere anche toni sommessi. In fondo nel panorama mondiale la Chiesa:
– è l’unico soggetto universale, capace di respirare con la realtà mondiale nella sua concreta essenza (…)
– è l’unico soggetto continuista, capace di capire e gestire la natura-
le concatenazione delle generazioni e della “benedizione” che le accompagna;
– è l’unico soggetto orientato al futuro, “in avanti e in alto”, per usare una frase teilhardiana capace quindi di fare storia civile e religiosa insieme.
Non si deve avere paura di rivendicare queste tre componenti della presenza profetica della Chiesa nel mondo moderno, dandosi carico di indicare e denunciare quanto le conclamate componenti della modernità, che hanno fatto la storia degli ultimi decenni, non abbiano ormai più la forza per innovare il futuro».
Condivido la sostanza di quanto propone il rapporto degli intellettuali convocati da Giuseppe De Rita. Mi permetto una sola osservazione a lato – o in aggiunta – ai paragrafi sulla mancata profezia comunitaria dei credenti nel fuoco della pandemia, ovvero sulla sensazione d’assenza o d’irrilevanza della Chiesa in questa occasione. Sensazione attestata dalla maggioranza degli intervistati dai costruttori del rapporto.
Per svolgere questo paragrafo aggiuntivo sposto l’attenzione dai messaggi sulla pandemia al vissuto dei morenti, dei guariti e di quanti hanno «dato la vita» per soccorrere il prossimo in questa dolorosa stagione.
Dal mio punto di osservazione, che è quello di un raccoglitore di storie di vita del tempo pandemico (nel mio blog ne ho recensite un centinaio), azzardo una parola di maggiore fiducia: forse a quello che è mancato, se è mancato, nella voce della Ecclesia docens ha in parte supplito la testimonianza data in vita e in morte dall’insieme dei credenti. Cioè dalla Ecclesia patiens.
Il solfeggio dei Giubilei:
uno in battere e uno in levare
Gli autori del rapporto riconoscono questo primato della vita sulla parola: ciò che parla al mondo è la «testimonianza dei santi», scrivono a p. 83. Alle pp. 129 e seguente invitano poi a cercare «l’energia nascosta della Chiesa» nella vita delle persone convertite dallo Spirito. Ecco: questo tesoro nascosto io credo si sia manifestato nelle storie di vita e di morte di tanti cristiani, in questa drammatica stagione.
Come promette già il titolo Il gregge smarrito, il volume è ricco di immagini e metafore. La Chiesa giambica: cioè ad accentuazione alternata, più marcata sulle figure del papa e del vescovo e meno avvertibile sulla conferenza episcopale e la parrocchia. O anche: Lo stress test pandemico come esame di coscienza; Ovile vuoto o pecore senza pastore; Talenti latenti. Termino con Il solfeggio dei Giubilei: uno in battere e uno in levare.
Il prossimo dovrebbe essere in levare e su di esso si chiude il volu-
me, con il paragrafo Verso il Giubileo del 2025.
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