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Attualità
Attualità, 6/2019, 15/03/2019, pag. 191

Fatti di Vangelo in Sala stampa

Ne racconto una manciata

Luigi Accattoli

Il mese passato in questo spazio ho raccontato qualcosa, fasti e nefasti, della Sala stampa vaticana nei decenni (cf. Regno-att. 4,2019, 127s): cercavo una retrospettiva che aiutasse a intendere dove stia andando la riforma dei media vaticani. Chiuso il pezzo, mi chiedevo: ma io in 44 anni d’accredito, fatti di Vangelo là ne ho visti? E perché non li racconto, senza farla troppo noiosa? Ci provo in questa puntata.

Potrei partire con un recitativo vivace riguardante la Via crucis del 2002, quando in 14 accreditati fummo chiamati a scrivere le meditazioni della Via crucis papale e, tra i chiamati, c’erano il russo Alexei Bukalov e l’americano Greg Burke. Bukalov che è morto il 26 dicembre e Burke che a fine anno ha cessato – a sorpresa – di fare il portavoce insieme alla vice Paloma García Ovejero: e di questo fatterello ho detto l’ultima volta.

Bukalov e Burke
alla Via crucis

Il 23 gennaio Alexei è stato ricordato da Francesco sull’aereo per Panama: «Oggi è il primo volo nel quale manca un vostro collega a cui volevo tanto bene, Alexei Bukalov, della Tass. Era un uomo di un grande umanesimo. Un umanesimo che non ha paura dell’umano fino al più basso, e del divino fino al più alto. Un uomo capace di fare le sintesi in stile dostoevskiano». Dopo queste parole, il papa ha chiesto un momento di silenzio per il collega e ha chiuso con il Padre nostro.

Alexei veniva da Leningrado e prima di fare il giornalista era stato diplomatico. Fu il primo giornalista russo ad accompagnare i papi nei viaggi. Cultore di letterature, ha tradotto in russo il nostro Pinocchio. Ha narrato l’esperienza di vaticanista nel libro Con i pontefici intorno al mondo. Visse come la «gioia» della sua carriera – così mi disse – l’incontro di Francesco con Cirillo. E già aveva esultato quando era stato chiamato nel gruppo della Via crucis.

Il cerimoniere Piero Marini ci convocò e chiese a ognuno di scegliere la sua stazione. Quell’anno si seguiva lo schema biblico dell’andata al Calvario e Alexei scelse la seconda stazione: Gesù, tradito da Giuda, è arrestato. Il suo testo evocava le divisioni tra cristiani, «frutto del peccato», che Alexei sentiva nella carne, da battezzato ortodosso che viveva a Roma. Faceva anche riferimento alla «prepotenza dei governanti», che ben conosceva e ai «giorni di violenza inaudita». Eravamo tra l’attacco alle Torri e la seconda guerra del Golfo.

Di italiani, nella Via crucis, eravamo due: Marina Ricci e io. Alle cinque colleghe vennero assegnate le stazioni che hanno donne come protagoniste o dirette testimoni. Nona stazione: Gesù incontra le donne di Gerusalemme (Marina Ricci); decima: Gesù è crocifisso (Aura Miguel); dodicesima: Gesù in croce, la madre e il discepolo (Sophie de Ravinel); quattordicesima: Gesù è deposto nel sepolcro (Marie Czernin).

La tredicesima stazione, Gesù muore sulla croce, toccò alla collega messicana Valentina Alazraki, che è stata chiamata ora ora a trattare del rapporto della Chiesa con i media al summit episcopale sugli abusi (cf. in questo numero a p. 131). È stata bravissima. Ha parlato come mamma, oltre che come donna e come giornalista. Mi ritrovavo in ogni parola.

Anche Marina Ricci ha insegnato qualcosa a noi della Sala stampa. Nel 1996 viene mandata a Calcutta dal direttore del TG5 Enrico Mentana, mentre Madre Teresa sta affrontando una grave malattia. Visita l’orfanatrofio e vede Govindo, quattro anni, grave, che nessuno vuole adottare e lo prende con sé, incamminandosi per un sentiero che cambia la sua vita, quella di suo marito e dei figli.

Marina si fa mamma
di un bimbo visto per caso

Gogo, come tutti lo chiamavano, soffriva di una malattia degenerativa; non camminava e non cresceva, ma questo non gli impediva di amare e di essere amato dalla nuova famiglia e di andare oltre lo scetticismo dei medici che gli avevano dato pochi anni di vita. Circondato dagli affetti, riempie di gioia mamma Marina, papà Tommaso e i fratelli e i nipoti fino al 5 novembre 2010, quando si spegne diciottenne.

Quella decisione di farsi mamma di un bambino incontrato per caso, Marina l’ha raccontata nel libro Govindo. Il dono di Madre Teresa (San Paolo 2016), un’attestazione viva di come fosse diffusiva la carità della santa di Calcutta. Ho conosciuto Govindo in braccio a Marina mentre facevamo la fila per accreditarci a un volo papale. Anche per me quel contatto resta un dono.

L’organizzatore della Via crucis dei giornalisti era stato Navarro-Valls e ora vorrei dire della sua pietà e di come ha affrontato la morte. Di quando mi ha invitato, a sorpresa, a un Rosario con lui una sera di maggio, di quando è venuto a una mia veglia funebre e di quando andammo insieme alla tomba del santo Escrivà che chiamava «il padre». Del suo modo riservato e combattivo d’affrontare il tumore al pancreas che l’ha portato via a 80 anni, nel luglio del 2017.

La dottoressa Rossana Alloni che l’assisteva lo ricorda «lucido, realista, concreto e sempre elegante nell’affrontare le questioni con decisione e con humor». «Rossana, ma tu quanto pensi che mi rimane?», le chiede a un ultimo peggioramento e vuole sapere se gli è possibile donare organi. Nell’ora del trapasso, sentendo che qualcuno entrava nella stanza l’avvertiva che era consapevole del passo in cui si trovava: «Sono conscio» (cf. Regno-att. 16,2017,511s).

Ringrazio il papa
per l’aiuto a credere

Da Joaquín Navarro-Valls a Domenico Del Rio: eccomi a un altro fatto di Vangelo degno di racconto. Tante volte sono stato mediatore tra Joaquín e Domenico, io amico d’ambedue. Domenico era stato il mio vice alla Repubblica nascente e padrino di un mio figlio. Joaquín all’inizio del suo periodo romano, quand’era corrispondente del quotidiano di Madrid ABC, veniva da me per essere aiutato a «capire il Vaticano» e dopo la nomina a portavoce ero io che andavo da lui.

Domenico che accusava di trionfalismo i viaggi papali e Joaquín che doveva escluderlo dal volo per l’Uruguay (maggio 1988) nel quale l’aveva già inserito. Sono stato mediatore tra loro un’ultima volta quando Domenico partente mi affidò un messaggio per papa Wojtyla e io lo passai a Joaquín.

Domenico è partito a 76 anni, il 26 gennaio 2003. «Vuoi dire qualcosa a qualcuno?» gli chiesi vedendolo l’ultima volta al Gemelli. «Al papa! Vorrei far sapere al papa che lo ringrazio per l’aiuto che mi ha dato a credere. Vedendo che credeva con tanta forza, allora anch’io un poco mi facevo forza. L’aiuto l’avevo a vederlo pregare, quando si mette in Dio e si vede che questo mettersi in Dio lo salva da tutto. Ho cercato di fare come lui. I dubbi non li ho superati, ma non li ho più considerati. Da nessuno mi è venuto tanto aiuto come dalla sua fede».

Tra i convertiti da Wojtyla voglio ricordare Marco Tosatti, che poi è stato un deciso sostenitore di Benedetto e che ora combatte con altrettanta decisione contro Francesco.

Se ti converti
a vederlo pregare

Marco, quand’era vaticanista della Stampa, così descrisse la sua conversione: «L’incontro con Giovanni Paolo II ha avuto uno sviluppo molto forte per me. Mi sono trovato di fronte a una persona che ho scoperto nella sua eccezionalità umana, nel suo carisma e intelligenza. La sua persona, dunque, mi poneva un problema: come conciliare questa sua personalità eccezionale, fuori dell’ordinario, con il carattere intellettualmente problematico della sua preghiera? In altre parole, mi poneva una domanda il modo in cui egli testimoniava una fede che aveva tratti quasi “infantili” nella sua purezza (…) Mi sono dedicato così alla lettura di saggi e libri sulla storia dei Vangeli e sugli Atti degli apostoli da cui ho ricavato l’impressione che, nella Palestina di allora, intorno alla persona di Gesù è successo davvero qualcosa di straordinario (…) C’è stata una componente di cuore, certamente, ma anche un’altra di studio e ricerca, se così si può dire. Tutto ciò si è tradotto in un ritorno, un riavvicinamento che non è esente dal dubbio (…) però è accompagnato dalla tranquilla consapevolezza che tutto è così, semplicemente: una sensazione molto strana! Alla base di questo sentimento c’è un senso di abbandono fiducioso, per cui posso coabitare con il dubbio». Così Marco ha narrato di sé nel libro di L. Fazzini, Nuovi cristiani d’Europa (Lindau, Torino 2009).

«Ma che convertito e convertito, questo Tosatti: non vedi come tratta oggi il papa?», mi dice un conoscente che fu estimatore di Marco e ora non più. Io l’invito a differenziare: una cosa, alta, è l’adesione alla fede che ci affratella; un’altra, bassina, è la nostra divergenza sul papa argentino. Essa non intacca la festa che feci e sempre rinnovo per il «riavvicinamento» di Marco al Vangelo.

Lettori miei, fate attenzione: sia Del Rio sia Tosatti ricevono aiuto dalla preghiera di Giovanni Paolo. Ovvero: dal vederlo pregare. Uno forse di sinistra e un altro magari di destra, ambedue convertiti dal papa orante. Qui di sicuro c’è un insegnamento.

Salvatore burlone
che della SLA fa uno slalom

Mi tornano alla mente altre storie di colleghi e colleghe che qualcosa mi hanno detto e dato negli anni. Tutte le salto e concludo con Salvatore Mazza, che ora tiene su Avvenire un diario della SLA che l’ha colpito, in una rubrica che da burlone qual è ha intitolato «Slalom».

«Quando oggi Cri [Cristina con la quale è sposato da 32 anni; nda] mi prende per le mani e, indietreggiando e ondeggiando piano piano le braccia per aiutarmi a tenere l’equilibrio, guida i miei passi incerti, i pochi che riesco ancora a fare, mi sembra per davvero di ballare. E saranno anche, i miei, i passi tardi e goffi di un orso ferito, però per me sono quelli della più meravigliosa delle danze»: così l’ottimo Salvatore nella puntata del 31 gennaio. Mando un bacio a lui, a Cristina, alle figlie Giulia e Camilla.

 

www.luigiaccattoli.itI

Tipo "Io non mi vergogno del Vangelo"
Tema Santa Sede
Area EUROPA
Nazioni

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