A
Attualità
Attualità, 4/2019, 15/02/2019, pag. 127

I media vaticani - Come vede la riforma un giornalista d’antan

Luigi Accattoli

Mi occupo di Vaticano da mezzo secolo, ma i botti di fine 2018 mi hanno comunque sorpreso: intendo la dimissione con sbattimento di porta o spinta dall’interno del portavoce Greg Burke e della sua vice Paloma García Ovejero. Un evento simile ma senza botto si era avuto il 18 dicembre, quando Andrea Monda ha sostituito Giovanni Maria Vian a L’Osservatore romano.

 

Mi occupo di Vaticano da mezzo secolo, ma i botti di fine 2018 mi hanno comunque sorpreso: intendo la dimissione con sbattimento di porta o spinta dall’interno del portavoce Greg Burke e della sua vice Paloma García Ovejero. Un evento simile ma senza botto si era avuto il 18 dicembre, quando Andrea Monda ha sostituito Giovanni Maria Vian a L’Osservatore romano.

Giro intorno a questi mini-eventi per leggere la mano al sistema della comunicazione vaticana mentre sta per andare a regime la riforma disegnata da don Dario Viganò, approvata da Francesco e ora affidata al valoroso Paolo Ruffini (cf. Regno-att. 4,2017,75; 2,2019,13).

Trovo buona la riforma e credo che abbiano fatto bene il papa e i suoi consiglieri a non accettare la richiesta, che forse era venuta da Greg e Paloma, di scorporare la Sala Stampa dal Dicastero per la comunicazione. Come del resto non era stato accettato lo scorporo dell’Osservatore desiderato da Vian.

Ci sono più venti che hanno soffiato insieme accelerando, intorno a Capodanno, i mutamenti in gestazione. Il soffio maggiore è venuto dall’urgenza di un nuovo passo dell’informazione vaticana, adeguato alla tempesta in cui si trovano oggi papa e Chiesa.

In principio fu
un nuovo passo

Urgenza già avvertita da Benedetto, che ne aveva parlato con la nota schiettezza nella lettera ai vescovi all’indomani del caso Williamson, una delle uscite sue più vive: «Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’Internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema» (10 marzo 2009; cf. Regno-doc. 7,2009,193ss).

Il nuovo passo mi pare impersonato da Andrea Tornielli che, il 18 dicembre, è stato nominato «direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione». Combattivo e tenace, ma soprattutto con frequente accesso al papa e con buoni agganci nell’intero sistema vaticano, Tornielli si è venuto profilando negli anni di Francesco come l’operatore mediatico più attrezzato per tentare un lavoro di bonifica dell’immagine disputata di papa Bergoglio e di sua difesa da illazioni e accuse.

Provo a dire il nuovo passo con l’immagine dei flabelli: un tempo servivano a fare aria e a scacciare gli insetti dal papa che usciva in San Pietro o nella piazza con la sedia gestatoria. Erano poi rimasti come immagine di maestà e infine, per decisione di Paolo VI, sono tornati ai musei ai quali nativamente appartenevano. Nuovi flabelli sono ora necessari per bonificare l’aria e scacciare le mosche della blogsfera che ronzano intorno alla figura papale.

Il primo passo della riforma dei media vaticani pare voglia essere il coordinamento delle agenzie comunicative: Sala Stampa, Osservatore, Radio, Centro televisivo, Ufficio fotografico, Libreria editrice, sito Internet, Vatican News, Twitter, Facebook, Instagram. A parte le ultime tra queste agenzie, nate quando il coordinamento era già cercato, le altre sono sempre state repubbliche indipendenti e persino incomunicanti.

Supplivano a dare una linea un tempo L’Osservatore romano, almeno fino alla fine della vicedirezione di Virgilio Levi (1983); e poi i portavoce Navarro-Valls (1984-2006) e Lombardi (2006-2016). Ma con il flusso rampante della comunicazione digitale, quelle indicazioni isolate di una risposta o di una correzione non sono più sufficienti. Il Dicastero per la comunicazione nasce per ricondurre a unità le tante voci e rispondere in tempo reale a quanto si muove nel pianeta insonne della connessione digitale.

Prima lavoravano in gelosia
ora forse in squadra

Prendiamo i viaggi papali. Tutta la squadra ora parte con Francesco, poniamo per Panama, o per Abu Dhabi: il prefetto del Dicastero per la comunicazione Paolo Ruffini, il direttore editoriale Andrea Tornielli, il direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede Alessandro Gisotti, il direttore dell’Osservatore Andrea Monda. Non era granché diverso, il seguito, quando partivano con il papa – poniamo – il portavoce Navarro-Valls, il direttore dell’Osservatore Mario Agnes, il direttore della Radio Federico Lombardi e così via. Ma ci sono due novità: quelli lavoravano separati e in gelosia, questi invece in unità; e mancavano i raccordanti, gli attuali Ruffini e Tornielli.

Non meraviglia che le persone coinvolte abbiano vissuto passaggi bruschi nella conduzione della riforma, come lamentato da tanti alla Radio, all’Osservatore, alla Libreria editrice e infine alla Sala Stampa. Quei passaggi ci sono stati e non tutti riconducibili al decisionismo di don Dario Viganò, che la riforma l’ha progettata e ne ha avviato l’attuazione.

È il papa in persona che ha incoraggiato le decisioni, fino alle ultimissime, convinto che altrimenti non si sarebbe arrivati a nulla. Così parlò il 4 maggio 2017 alla prima riunione plenaria del Dicastero, che allora si chiamava Segreteria per la comunicazione: «Riforma è dare un’altra forma alle cose (…) e si deve fare con intelligenza, con mitezza, ma anche (…) con un po’ di “violenza”, ma buona, della buona violenza, per riformare le cose».

Quella flemma antica
mentre il mondo accelerava

Del resto la regola d’oro d’ogni riforma è sempre la stessa: partorirai nel dolore. Né sono state senza doglie le vicende dell’informazione vaticana precedenti all’arrivo di papa Francesco.

Per la prima volta misi il naso in Sala Stampa nel dicembre 1975, con in mano la lettera di presentazione di Eugenio Scalfari per essere accreditato come vaticanista della Repubblica nascente. Il direttore era Federico Alessandrini (1905-1983), di Recanati come me. Parlavamo quasi solo di come andavano le cose «al paese», come fanno per tutta Roma i romani acquisiti.

Io ponevo questioni ma quel gentiluomo le schivava con eleganza. «Vorrei incontrare gli arcivescovi Benelli e Casaroli». «Ottima idea. Faccia una domanda scritta distinta per ognuno dei due e io le recapiterò». Benelli rispose e subito andai. Trovai in anticamera Giovanni Battista Re, suo segretario, e fu amicizia a prima vista.

Casaroli non rispose. «Direttore non potremmo sollecitare?». «Meglio di no. Vada l’11 febbraio al ricevimento dell’Ambasciata d’Italia per l’anniversario dei Patti lateranensi e chieda direttamente un’udienza».

Il grande Casaroli mi spiegò che era «meglio» se non mi riceveva, ma poteva essermi utile leggere i suoi testi. Fece un nodo al fazzoletto per ricordarsene – «Dottore non si meravigli dei metodi della diplomazia pontificia» – e mi fece avere un ampio dossier, che io studiai al modo che fa il secchione traendone un lento ma sicuro profitto.

Intanto il mondo accelerava. Il papa polacco inizia a dare interviste sull’aereo e un terrorista turco gli spara in piazza. In Sala Stampa arriva (nel 1984) Joaquín Navarro-Valls e anche lì si accelera. Ha accesso diretto al papa. Commenta e interpreta, contribuisce a istruire le decisioni papali per quello che riguarda il risvolto comunicativo e non solo. Un portavoce a tutto tondo, anche se questo non è il titolo.

Dall’estroverso Navarro-Valls
al riservato Federico Lombardi

Lo stesso farà padre Federico Lombardi che, nel 2006, prenderà il posto di Navarro-Valls. All’inizio l’ottimo Federico afferma che il papa non ha bisogno di un portavoce e che lui si ascrive solo il compito di aiutare i colleghi giornalisti a intendere quello che il papa fa e dice.

Ma questo rientro nei ranghi non dura e io presumo di conoscere la data nella quale, spintonato dai fatti, quel gesuita riservato fu costretto a impugnare il microfono da gestore dell’informazione vaticana esattamente come aveva fatto l’estroverso predecessore: è il 30 novembre 2006.

Siamo nel Centro stampa della visita di Benedetto XVI a Istanbul, è sera, Lombardi è atteso per un briefing da 300 giornalisti agitati dall’aver visto in diretta TV il papa che pregava nella Moschea blu, accogliendo l’invito del gran muftì che gli era accanto. La domanda di tutti è quella: il papa ha pregato?

Lombardi non aveva potuto parlare con il papa e non aveva indicazioni dai primi collaboratori di Benedetto: aveva lasciato la moschea mentre la visita era ancora in corso. Deve dire e dice: «Il papa ha sostato in un momento di meditazione e di raccoglimento. È stato un momento di meditazione personale, di rapporto con Dio che si può anche chiamare di preghiera».

Rientrato a Roma, Benedetto all’udienza generale del 6 dicembre conferma l’interpretazione da Lombardi azzardata sul campo e quasi ne utilizza le parole: «Sostando qualche minuto in raccoglimento in quel luogo di preghiera, mi sono rivolto all’unico Signore del cielo e della terra» (cf. Regno-att. 22,2006,739).

Fine dei vecchi riti
nell’esplosione della blogsfera

L’accelerazione delle connessioni ha costretto i comunicatori vaticani ad abbandonare l’amica flemma. «Al papa non si fanno domande» aveva ricordato don Pierfranco Pastore (1927-2015), vice del direttore Panciroli, ai giornalisti che volavano con Giovanni Paolo verso la Repubblica Dominicana la mattina del 25 gennaio 1979; ma due minuti dopo i giornalisti domandavano e il papa rispondeva.

Quello del portavoce cessò di essere un ruolo blindato. Una volta – nel 1996 – Navarro-Valls rischiò d’essere dimissionato per aver detto che papa Wojtyla aveva il Parkinson. Don Virgilio Levi, a fine giugno 1983, era stato tolto da vicedirettore dell’Osservatore per aver dato una sua interpretazione di un incontro senza telecamere del papa polacco con Lech Walesa, durante il secondo «ritorno in patria».

I papi che viaggiano, l’attentato, il papa in ospedale, il papa che rinuncia abbisognano di informatori senza filtri. L’ultima fase è quella dell’esplosione della blogsfera e di un ex nunzio che ingiunge «il papa si dimetta» mentre Francesco è in Irlanda per l’incontro con le famiglie (cf. Regno-doc. 21,2018,685ss). Il nuovo assetto della macchina informativa vaticana dovrebbe far fronte a questa esplosione.

 

www.luigiaccattoli.it

Tipo "Io non mi vergogno del Vangelo"
Tema Santa Sede Cultura e società
Area EUROPA
Nazioni

Leggi anche

Attualità, 2024-6

Martiri dell’ecumene

Il sangue valica i confini

Luigi Accattoli
L’amico tradizionalista che abitava al piano di sopra deplorava la mia passione per i martiri del nostro tempo e – se fosse qua: se n’è andato nel 2020 (cf. Regno-att. 12,2021,407s) – ancor più biasimerebbe il lavoro che sto conducendo per aggiornare all’Anno santo 2025 il volume Nuovi martiri che pubblicai per il grande Giubileo (San Paolo 2000). Sento che...
Attualità, 2024-4

Nuovi martiri

La scommessa del Giubileo

Luigi Accattoli
Tra i preannunci del Giubileo del 2025 – che parte stracco – il più promettente è forse quello dei nuovi martiri: mi riferisco alla «Commissione dei nuovi martiri – Testimoni della fede» costituita presso il Dicastero delle cause dei santi il 5 luglio scorso e divenuta operativa in novembre. È già buona la ripresa dell’idea di Giovanni...
Attualità, 2024-2

Ridurre i messaggi

Per tornare al kerygma

Luigi Accattoli
Ragionando dell’urgenza di tornare al kerygma, scrivevo ultimamente in questa rubrica che tale ritorno non ci sarà finchè noi cristiani continueremo a proporre «mille messaggi» a un’umanità già stordita dal frastuono della comunicazione globale (cf. Regno-att. 20,2023,680). Mi hanno chiesto di dettagliare sui «mille messaggi» e ora ci...