Baget che anticipa Francesco
Un lascito a dieci anni dalla morte
Attualità di Baget Bozzo sull’omosessualità a dieci anni dalla morte. Per dirla veloce: ha esplorato il possibile linguaggio cristiano su questa condizione umana, anticipando la sollecitazione di Francesco a una nuova misericordia ecclesiale. Un lascito che non è stato colto e che provo a riproporre.
La spinta mi è venuta da un convegno per il decennale organizzato a Genova dal Centro studi don Gianni Baget Bozzo. C’ero perché di quel prete vulcano ero stato amico e avevo scritto in morte. Alla domanda su ciò che restava del terremoto che era stato, avevo risposto che la difesa degli omosessuali era l’eredità più viva. Il volume La Chiesa e la cultura radicale (Queriniana, Brescia 1978) aveva già un capitolo sulla «condizione omosessuale»: da allora e per trent’anni la sua è stata una delle poche voci cristiane che, in Italia, hanno azzardato qualche parola su questa frontiera.
Quattordici testi coraggiosi
nell’arco di trent’anni
Dopo il convegno ho cercato tra i miei appunti e presso il Centro studi di Genova – aiutato da Patrizio Odetti – e ho trovato 14 testi di don Gianni sull’omosessualità. Ne ho tirato quattro fili di vivo colore che mi paiono utili per l’attuale dibattito.
- È oggi necessaria una teologia del sesso e in essa dell’omosessualità, che mai fu pensata nei secoli.
- Insieme alla ricerca dell’intenzione divina sulle persone omosessuali, occorre sviluppare una carità ecclesiale che le liberi dal paradosso della verginità coatta e della scomunica oggettiva nel quale ancora sono imprigionate.
- La coppia omosessuale stabile va suggerita in ambito ecclesiale e va riconosciuta in ambito civile, ma senza equipararla al matrimonio.
- Nel civile non è accettabile nessuna limitazione legislativa dell’identità omosessuale e dell’esercizio attivo della tendenza omosessuale.
Dipano i quattro fili segnalando in ordine di data qualche passo dei 14 testi che dicevo. Ha senso farlo perché mai nessuno li aveva visti tutti, essendo apparsi sulle testate più diverse, nel corso di tre decenni, a firma di un personaggio controverso e sempre controvento.
«Si potrebbe considerare una teologia dell’omosessualità, in quanto diversa dalla sodomia, in quanto condizione, non in quanto perversione»: così don Gianni in un saggio che intitola «Il mistero del sesso», scritto per la rivista Testimonianze (1976) 10-11, 659-664, a sollecitazione di un’«e-
conomia della misericordia ecclesiale verso gli omosessuali per natura», avvertendo che essa «non può però mai giungere a legittimare la coppia omosessuale, senza venir meno alla morale che segue il modello teologale». Scorrendo gli altri scritti che dedicherà alla questione, trovo ch’egli sempre manterrà questa riserva, pur cercando di ampliare negli anni i confini della misericordia.
Nel citato volume La Chiesa e la cultura radicale del 1978 e con un articolo intitolato «Uno sbaglio di Dio?», che scrive in quello stesso anno per il quotidiano Il Giorno (4.3.1978) segnala la «nuova problematica» che è necessario affrontare se si accetta la distinzione tra «omosessualità e sodomia» che «non sono la medesima realtà». «La tradizione biblica ed ecclesiale – scrive don Gianni nell’articolo de Il Giorno – ha condannato la seconda, ma non ha affrontato il delicato problema sollevato dalla prima. È per questo che il teologo si trova di fronte a un problema nuovo quando deve domandarsi quale sia l’intentio della Provvidenza divina nel far sì che esistano uomini e donne private dell’inclinazione sessuale che loro compete».
Vergini per precetto
o in scomunica oggettiva
Il testo più audace è un articolo di Repubblica del 1° novembre 1986, apparso con il titolo «E Wojtyla riscopre Sodoma». Qualifica come «inaccettabile» una lettera ai vescovi del cardinale Ratzinger che propone un’interpretazione restrittiva della dichiarazione Persona humana della Congregazione per la dottrina della fede (1975). Eccone la conclusione: «La dichiarazione del 1975 ha aperto un cammino senza ritorni, perché pone la sessualità dell’omosessuale sul medesimo piano di quella eterosessuale. Chiudere l’apertura d’orizzonte fatta da Paolo VI sul piano della dottrina ecclesiale è storicamente impossibile».
«Omosessuale sacerdote ideale» è il titolo provocatorio (ovviamente non suo) di un intervento che gli fu chiesto da L’Espresso (5.8.1990) a riguardo della disputa sull’ammissione alla vita religiosa di donne e uomini con tendenze omosessuali, accesa dalla pubblicazione di Direttive sulla formazione negli istituti religiosi da parte della competente Congregazione romana (cf. Regno-doc. 13,1990, 398s). «La condizione omosessuale può integrarsi nella vita sacerdotale e religiosa ugualmente quanto la eterosessuale», è la tesi del nostro.
In una dichiarazione per un’inchiesta su omosessualità e scienza del settimanale Panorama (15.9.1991), don Gianni così argomenta il «paradosso» dei credenti omosessuali: «Sono mantenuti ai margini della Chiesa e costretti moralmente alla castità. I gay credenti sarebbero, per così dire, dei vergini per precetto. Oppure si troverebbero in una situazione di scomunica oggettiva. Un paradosso».
Con un articolo intitolato «Diritti dell’Omo» (Panorama, 9.8.1992) polemizza con un altro documento vaticano (cf. Regno-doc. 15,1992,466s; Regno-att. 20,1992,645s) contrario al riconoscimento civile delle coppie omosessuali: «Negli USA il dibattito sui diritti degli omosessuali è molto diffuso e i teologi moralisti hanno consigliato più volte agli omosessuali un partner stabile invece che variabile. Questo consiglio assume un nuovo valore nel tempo dell’AIDS. Il documento vaticano ha di terribile questo: sembra voler lasciare fuori dalla carità ecclesiale questa condizione umana, molto aperta verso il fatto religioso».
L’omosessualità
può essere un fatto cristiano
Sempre a favore del riconoscimento civile delle coppie omosessuali è un intervento su Il Giornale (18.3.2000), a eco di una mozione del Parlamento europeo che sollecitava gli stati membro a tale passo: «Esiste un diritto civile di un omosessuale a manifestare la sua condizione senza ricevere sanzioni o limitazioni (…) Una strada per dare forma giuridica alla convivenza omosessuale potrebbe essere trovata evitando l’equiparazione alla famiglia e certamente escludendola dall’educazione dei figli adottivi».
Con due interventi sul Foglio quotidiano (7 e 10.6.2000) don Gianni cerca di mediare tra gli organizzatori del Gay pride romano, programmato a sfida del Grande giubileo, e papa Wojtyla che lo deplorerà all’Angelus del 9 luglio, cioè all’indomani della manifestazione. «Credo che l’omosessualità possa essere un fatto cristiano», afferma nel secondo dei due articoli.
«La Chiesa sbaglia: sugli omosessuali deve aprire gli occhi» è il titolo di un’intervista al Corriere della sera (4.7.2000), ancora in riferimento al Gay pride: «L’omosessualità non è una malattia, non è una colpa. È una condizione naturale, che comincia dalla nascita. Non c’è scelta. E se non c’è scelta non può esserci condanna. Le censure ai preti e alle suore che si occupano del tema appaiono eccessive».
La sovraesposizione mediatica in zona Gay pride costringe don Gianni a dichiarare in più occasioni: «Non provo sentimenti omosessuali. Non ho confessato la mia omosessualità. Non ho voluto dare scandalo» (Corriere della sera, 11.6.2000). E dovrà smentire ancora per anni, per esempio con il settimanale Sette del Corsera (11.3.2004): «Tu sei omosessuale? – No». E più avanti, nella stessa intervista: «Sono vergine».
L’evoluzione della Chiesa
può continuare
«Preti omosessuali: così la Chiesa difende il sacerdozio» è il titolo con cui Il Giornale (3.12.2005) pubblica un intervento di don Gianni su un documento vaticano che esclude gli omosessuali dal sacerdozio (cf. Regno-doc. 21,2005,585s; Regno-att. 22, 2005,732s): «Questa esclusione è sicuramente un fatto nuovo, ma non significa affatto che un omosessuale non possa, nel cambiamento della vita che comporta il dono della grazia santificante, vivere la vita conforme alla legge cristiana.
Forse proprio questo fatto nuovo dell’esclusione degli omosessuali dal sacerdozio deve determinare una maggior riflessione nella Chiesa perché non accada che l’omosessualità diventi quasi un fatto etnico, mentre nella Chiesa non vi è né uomo né donna».
Con il titolo «I gay arma dell’Unione Europea contro la Chiesa», Il Giornale (1.5.2007) pubblica la reazione di don Gianni a una risoluzione del Parlamento europeo che censura la posizione della Chiesa cattolica sull’omosessualità. Riporto questa frase che guarda in avanti: «Il linguaggio del peccato contro natura è finito e l’evoluzione della Chiesa può continuare».
Notare la data dell’ultimo intervento: per un trentennio Baget Bozzo ha tenuto fede alla sua rivendicazione di uno spazio ecclesiale per gli omosessuali. E l’ha tenuta nel cambio d’ogni altro suo schierarsi.
Il don Gianni teologo
non va ridotto al politico
I mutamenti d’opinione gli hanno tolto autorità. Quando scriveva il primo dei testi che ho richiamato, collaborava con Rocca e con Repubblica, alla data dell’ultimo mandava pezzi a Tempi e a Il Giornale.
Ma il Baget Bozzo teologo non va schiacciato sul don Gianni della politica. Era laureato in teologia alla Lateranense, l’ha insegnata nel seminario di Genova, ha diretto la rivista Renovatio, è stato per tutta la vita un onnivoro lettore delle pubblicazioni di teologia in ogni lingua.
Al filone della ricerca teologale vanno ricondotti gli interventi sull’omosessualità, che mai sono citati in pubblicazioni sull’argomento. Io li ho segnalati da giornalista. A chi cura la memoria di don Gianni l’invito a cercarne altri. A chi ne ha gli strumenti, la provocazione a studiarli.
www.luigiaccattoli.it