Parlare di Dio con i bambini
Sposato a una maestra che m’invita a raccontare storie nelle classi, sostengo che con i bambini si può parlare di tutto. Ho dunque accettato di fare la prefazione al libro di un’altra maestra, Filomena Di Pace, che ha intavolato con gli alunni un confronto su Dio e ho scoperto, nel presentarlo a un pubblico romano, che Charles Baudelaire e Jean-Luc Nancy la pensano come me.
Sposato a una maestra che m’invita a raccontare storie nelle classi, sostengo che con i bambini si può parlare di tutto. Ho dunque accettato di fare la prefazione al libro di un’altra maestra, Filomena Di Pace, che ha intavolato con gli alunni un confronto su Dio e ho scoperto, nel presentarlo a un pubblico romano, che Charles Baudelaire e Jean-Luc Nancy la pensano come me.
Il libro di Filomena – che ha avuto in classe tre miei figli – ha il titolo Bambini e metafisica. Dio, il Destino e Mandrake. Quando i piccoli ragionano dell’assoluto (Fefè Editore, Roma 2018, pp.148, € 13,00). Riferisce il lavoro fatto su quei puntuti argomenti con una quarta elementare.
Baudelaire che chiedeva:
ma dov’è l’anima?
Nel presentare il libro insieme a me, alla libreria Moby Dick di Roma, Lucio Saviani, buon conversatore su cose alte, ha fatto i due riferimenti che dicevo a Baudelaire e a Nancy.
Di Baudelaire ha evocato Morale du joujou (Morale del giocattolo), un testo mezzo autobiografico del 1853 sui bambini che rivelano la «prima tendenza metafisica» nel rapporto anche violento con i giocattoli che nelle loro mani «diventano attori del grande dramma della vita».
«Il fanciullo – scrive il poeta indagatore – gira, rigira il suo giocattolo, lo raschia, lo sbatte contro le pareti, lo getta a terra (…) Infine l’apre: ma dov’è l’anima?».
Quando ho sentito queste parole che non conoscevo ho saputo che i giocattoli li avevo sempre trattati così.
Nancy viene per terzo. Saviani in quell’occasione ne ha ricordato il testo Au ciel et sur la terre che è del 2004 (trad. it. In cielo e in terra. Piccola conferenza su Dio, Luca Sossella Editore, Roma 2006). Parla a bambini e bambine tra i 6 e i 12 anni. Ragiona «da una posizione esterna a ogni religione», proprio come la maestra Filomena. Riconosce che «la società moderna non crede più in Dio», e osserva che è l’unica nella storia a compiere questa opzione. Ma invita i piccoli a fare un giro completo intorno all’argomento «Dio».
Facendo il giro si scopre che «Dio non assomiglia a niente». E che, se vuoi continuare a girare, dovrai accettare l’idea che «Dio non è visibile». Più avanti scoprirai che nominarlo vuol dire immaginare «un’apertura» oltre ogni realtà tangibile, ovvero un «oltrepassamento infinito dell’umano». Poco dopo apprenderai che «anche per chi non è religioso non è facile fare a meno di nominare Dio in qualche modo». Perché senza quell’apertura alla quale Dio rimanda e che anzi impersona «noi non saremmo forse nemmeno uomini, ma solo cose fra cose, all’interno di un mondo chiuso».
Invito a leggere Nancy, Baudelaire, Saviani e Filomena. Ma ora parlo di lei che non crede ma con la quale ho collaborato da credente: una volta su questo argomento divino e un’altra in risposta alla domanda se gli animali abbiano un’anima.
Il libro di Filomena racconta un viaggio ai confini del reale compiuto da un gruppo di bambini accompagnati da maestre curiose: una gita scolastica dalle parti di Dio e dei pensieri immensi e dei dubbi che il suo nome suscita a pronunciarlo. L’ho letto con il coinvolgimento suggerito dalla professione ma anche traendo dalla lettura un benessere mentale, quale forse avevo sperimentato solo nella conversazione con i figli quando facevano straordinarie domande.
Anche l’uomo d’oggi
è capace di Dio
La discussione di questi scolari sul perché delle cose ci segnala di quale Dio e di quale dubbio di Dio sia capace l’umanità di oggi. Chi vinca tra Dio e il destino, dove vadano i morti, che sia la preghiera, se esistano Babbo Natale e la Befana sono i temi affrontati scioltamente e con durevole passione da questi cuccioli d’uomo.
Sappiamo che l’uomo è capace di pregare Dio e di negare Dio, d’affrontarne o di negarne il mistero. È cioè capace di Dio. Ma sappiamo anche che un poco o tanto oggi l’umanità europea dubita di quella capacità e preferisce non esercitarla, come già notava Nancy. I bambini di queste pagine ne sono invece certi e serenamente la mettono alla prova.
Voltando le pagine si passa dallo scetticismo leggero: «Credo in Gesù Cristo, può esistere o no»; alle alternative perentorie: «Se esiste Babbo Natale non esiste Dio». Al rovesciamento di quella probabilità: «Dio può essere pure che esiste ma Babbo Natale proprio no». Alla tolleranza globale: «Se uno ci crede, ci crede, non c’è bisogno di dire: che cretino!».
Questi disputanti di 9-10 anni fanno con invidiabile padronanza affermazioni da «teologia negativa», che di Dio dice quello che non è: «Nessuno ha fatto l’intervista a Dio», afferma una scolara che arriva a sfiorare l’abissale scetticismo del Qoèlet biblico che chiede: «Chi sa se il soffio vitale dell’uomo sale in alto, mentre quello della bestia scende in basso, nella terra?» (Qo 3,21). La nostra scolara rivela un piglio simile: «Lo sanno solo i morti quando vanno su o giù: non so dov’è il Paradiso, ma, se esiste, può darsi che sta da tutte le parti». Più avanti è sempre lei che avverte i compagni: «Può darsi pure che i morti restano nella tomba e non vanno da nessuna parte».
Non si fermano – i nostri cercatori del divino – alla teologia negativa né allo scetticismo biblico. Nel loro dialogo c’è tutto di Dio ed è questa la componente del racconto della maestra Filomena che più m’attira.
Magari un po’ di male
è andato anche su di lui
C’è il sentimento ingenuo della fede: «Credo in Dio perché certe volte me lo sento nel corpo». Ma c’è anche l’avvertenza ch’esso non basti: «Dire che gli voglio bene non dimostra niente». La questione è oscura: «Magari Dio non vuole rispondere».
C’è l’imparagonabilità del divino, poniamo nei confronti di Babbo Natale che porta doni: «È un po’ diverso da quello che farebbe Dio se esistesse». Infatti «Dio fa delle cose che non si vedono, non ti può fare un regalo, ti fa cose più importanti».
C’è persino papa Francesco, o qualcosa che gli somiglia: «Non devi mica pregare per ottenere le cose ma per parlare con Dio». «È un piacere parlare con Dio». «Forse Dio [i poveri; nda] non li aiuta perché vuole che li aiutiamo noi».
Come c’è tutto di Dio, nelle parole dei bambini c’è ogni dubbio su Dio. L’uscita metafisica di questa quarta elementare del 2004-2005 si snoda tutta in campo aperto, come fossimo nell’Atene di Socrate.
C’è la sfida a Dio: «Ho pregato e voglio vedere se me lo esaudisce». Ma c’è anche l’avvertenza che sfidare Dio non sia giusta preghiera: «Non me l’ha esaudita perché avevo messo Dio alla prova».
L’inconoscibilità di Dio autorizza a pensieri di vertigine: «Dio potrebbe essere del Male ma le persone non lo sanno e lo pregano pensando sia il Bene». Una bambina avanza l’idea che Dio sia oggi pentito d’aver creato l’uomo a motivo dei comportamenti della sua creatura: «Magari un po’ di male è andato anche su di lui».
Non ci sono argomenti tabù
con i bambini e con tutti
C’è una diffusa avvertenza dei limiti dell’essere supremo: «Che Dio è se non può accontentare tutti?». Alcuni sospettano che non sia onnipotente: «Non può cambiare il destino», o magari «non vuole». In quell’aula andava molto il paragone tra le forze ultime: «Il destino è più o meno Dio, ma forse ha un potere in più». Persino i bambini credenti rendono omaggio all’antagonista: «La preghiera che ho fatto era scritta nel destino ed era anche nel destino che Dio la esaudisse».
Ci sono quasi tutte le obiezioni su Gesù, storiche e filosofiche: forse aveva un sosia che «poi» interpretò la parte del Cristo risorto; «anche se è morto e risorto, non è che può fare qualsiasi altra cosa».
Questa inchiesta su Dio ci propone uno spaccato felice di quel laboratorio dell’umano che è la nostra scuola primaria e delle meraviglie che possono venire dall’iniziativa di una maestra che si siede a terra con gli alunni e con loro legge e ragiona. Può capitare che in quel laboratorio ci si metta a cercare il senso dell’universo procedendo a tentoni, come solo è possibile, ma senza la paura di maneggiare parole troppo grandi, tipo Dio o destino, come ci fosse il pericolo di romperle.
L’idea di questa avventura scolastica nasce dai bambini che riferiscono alla maestra come a mensa sia partito un sondaggio su chi e quanti credono in Dio. Fortunatamente la maestra era Filomena Di Pace, l’autrice del libro, ben allenata a stimolare gli alunni a ragionare su ogni questione per ardua che fosse.
Qui troviamo il primo insegnamento di questo lavoro: che non ci sono argomenti da evitare con i bambini e con tutti. Basta non temere il conflitto e l’errore, che a volte hanno inaspettate fecondità, e potremo andare a tasto, a palmo a palmo, e muro muro, su ogni aspetto dell’umano, compreso il suo confine con il divino. Dipende – ci assicura la maestra Filomena – dal prezzo che siamo disposti a pagare, che è quello del coinvolgimento personale, emotivo, mentale. E verbale, ovvero scolastico.
Un cammino che non s’arresta
con la fine dell’anno scolastico
Quando un genitore o un maestro vengono interrogati su Dio o sull’uomo – che sono la stessa questione – la prima tentazione è quella della fuga: è un argomento pericoloso, non hai le parole e non hai voglia di cercarle insieme all’interrogante. Di sicuro ne verranno divisioni, dispiaceri. E che diranno i colleghi? I genitori? Se invece non scappiamo, se ci interroghiamo insieme a chi ha posto la domanda, se invitiamo gli altri a intervenire, ecco che la ricerca si avvia e il terreno sconosciuto inizia a rivelarsi solido sotto il piede. Magari ne viene un cammino che non s’arresta con la fine dell’anno scolastico.
Scommetto che i protagonisti di quel dialogo su Dio, che ora dovrebbero avere sui 23-24 anni, leggeranno con gratitudine il libro della maestra. Se una volta abbiamo parlato senza paura dell’uomo e di Dio, lo faremo sempre.
www.luigiaccattoli.it