S’infiamma di nuovo Gerusalemme, ferita ancora una volta da logiche unilaterali. Ma dalle stanze del Patriarcato latino, nel cuore della Città vecchia, arriva chiaro l’invito a non fermarsi alle discussioni sulle bandiere e sui confini: «E vale prima di tutto per noi cristiani – commenta mons. Pierbattista Pizzaballa –. Da quanto tempo non ci chiediamo più: che cos’è per noi Gerusalemme?».
Donald Trump è combattuto tra due ambizioni. La prima è quella di sfidare le convenzioni che hanno sostenuto la politica estera statunitense sostituendo l’impegno per una leadership globale con la determinazione di mettere l’America first. La seconda è quella di smontare l’eredità di Barack Obama. Entrambe le ambizioni non sono facili da realizzare; prese assieme, rappresentano un compito enorme.
Non si può negare che la visita di Francesco in Myanmar dal 27 al 30 novembre, la prima di un papa nel paese indipendente solo dal 1948 e sottoposto dal 1962 al 2010 a una feroce dittatura militare, sia stata un evento. Il viaggio ha segnalato al mondo la presenza di una Chiesa attiva, che ha saputo crescere durante il mezzo secolo di dittatura militare e che nonostante la sua consistenza, soprattutto tra le minoranze etniche, in parte ancora impegnate in un confronto armato con il governo centrale, si è saputa fare Chiesa di tutti e promotrice di iniziative di coscientizzazione e sviluppo senza alcuna esclusione.
Il 13 e 14 novembre si è svolta a Baltimora l’assemblea autunnale della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, importante quest’anno per alcuni motivi. È stata la prima assemblea guidata dal nuovo presidente, il card. Daniel DiNardo (vescovo di Houston – Galveston; cf. Regno-att. 20,2016,593), esponente dell’ala «ratzingeriana» dell’episcopato, che nella sua allocuzione d’esordio ha riconosciuto il clima di divisione nel paese dopo l’elezione del presidente Trump: «Siamo di fronte a un momento in cui sembriamo divisi più che mai. Divisioni sulle politiche per l’assistenza sanitaria, l’obiezione di coscienza, l’immigrazione e i rifugiati, le tasse, l’aborto, il suicidio assistito, le ideologie di genere, il significato del matrimonio».
La frequentazione del web e segnatamente l’utilizzo dei social network sono diventati un tratto caratterizzante la vita quotidiana e le relazioni umane intrattenute da ciascuno di noi. Se dunque, come è capitato più di una volta nel corso del 2017, un prete diviene improvvisamente protagonista delle cronache, non solo ecclesiali, a motivo di un post pubblicato sul proprio profilo Facebook, è perché i ministri di Dio non fanno eccezione, anzi: a seguito della rivoluzione digitale, è probabile che oggi un verso come il celeberrimo «Neanche un prete / per chiacchierar» cantato da Adriano Celentano in Azzurro non avrebbe troppo senso: in qualunque momento della giornata basterebbe andare on-line per trovare più di un sacerdote con il quale chattare.
Beati «quelli che sanno ridere di se stessi, perché non finiranno mai di divertirsi». Questa citazione di una beatitudine evangelica riveduta e corretta, attribuita a san Tommaso Moro, riassume bene il senso della presente riflessione.1 Thomas More ci ricorda che la capacità di non prendersi sul serio è la via per la perfezione spirituale e dunque per la felicità.
Il 6 dicembre scorso, alla vigilia della festività di Sant’Ambrogio, il nuovo arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha tenuto il suo primo discorso alla città. L’appuntamento è tradizionale e segna uno dei momenti attesi del messaggio pastorale del vescovo; ha, a un tempo, un significato pastorale e civile. Potremmo dire politico. E il testo di mons. Delpini è un testo sorprendentemente politico. Lo è in senso alto e pieno.
L’inclusione del Movimento 5 Stelle (M5S) nella categoria del populismo è già oggetto, in sede scientifica, di una copiosa letteratura in cui predominano le voci consenzienti, anche se non manca qualche opinione di segno diverso. Per molti specialisti della materia, il M5S «dei populismi ha tutte le caratteristiche»,1 il suo successo dimostra «in maniera spettacolare [la] disponibilità di una parte significativa degli elettori europei a seguire la via populista»2 e il suo approccio ai problemi è «tipico della retorica populista».
Come procedono le confische dei beni mafiosi e la restituzione alla collettività, prevista dalla legge.
Varato ad aprile dalla Commissione europea, approvato dal Parlamento e dal Consiglio dei ministri UE, il Pilastro europeo per i diritti sociali è stato ufficialmente firmato a Göteborg il 17 novembre scorso dal presidente della Commissione europea Jean Claude Junker, il presidente del Parlamento Antonio Tajani e il primo ministro estone Jüri Ratas, presidente di turno del Consiglio dell’UE in questo semestre.
Nei mesi scorsi «altri» figli hanno preso la parola. Per condannare i loro padri, militari genocidi della dittatura. E ora vorrebbero poterli denunciare e testimoniare contro di loro in tribunale. Si sono cercati tra loro, incontrati, confrontati e hanno deciso di formare un collettivo, Historias desobedientes (Storie disobbedienti, http://historiasdesobedientes.com) e portare avanti la loro battaglia politica.
Missionario fidei donum bergamasco, dal 1991 in Bolivia e per 12 anni delegato episcopale per la Pastorale sociale-Caritas dell’arcidiocesi di Cochabamba, mons. Eugenio Coter è dal 2013 vicario apostolico di Pando e presidente dell’Area di pastorale sociale-Caritas della Conferenza episcopale boliviana nonché della sezione boliviana della Rete ecclesiale panamazzonica (REPAM). Il Regno lo ha intervistato mentre era in Italia durante la visita ad limina.
Per qualche giorno gli occhi del mondo sono rimasti puntati sullo Zimbabwe: è un golpe? Non è un golpe? Mugabe dà le dimissioni? Resiste? Dal 14 al 24 novembre, abbiamo seguito col fiato sospeso il decorso della crisi, sfociato nell’approdo ai vertici dello stato dell’ex vicepresidente Emmerson Mnangagwa.
L’ISIS ha alzato il tiro nella penisola del Sinai. Con un attacco, pianificato in ogni dettaglio, alla moschea sufi di al Rawdah nel Sinai (24 novembre) ha dimostrato d’essere in grado di dispiegare la sua «geometrica potenza» (con un’espressione in voga negli anni Settanta tra i terroristi rossi italiani).
Rabbia, perdono, violenza, vendetta, riconciliazione, giustizia, passato, futuro: sono questi alcuni concetti in cui si dipana l’ultimo volume – Rabbia e perdono. La generosità come giustizia, edito in italiano quest’anno da Il Mulino –, della filosofa americana Martha Nussbaum (1947), forse una delle più note e feconde intellettuali a livello globale. Nussbaum è una studiosa completa e competente, capace d’entrare nel cuore della contemporaneità accogliendo le sfide etiche di un mondo plurale.
Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Giancarlo Azzano, Giacomo Coccolini, Maria Elisabetta Gandolfi, Flavia Giacoboni, Valeria Roncarati, Domenico Segna, Paolo Tomassone.
Il libro di Christoph Theobald (pubblicato in francese – Selon l’Esprit de santité – da Cerf nel 2005) si ricollega sotto molti aspetti alla sua precedente opera fondamentale Il cristianesimo come stile (Le christianisme comme style, 1 e 2, Cerf, Paris 2007; trad. it. EDB, Bologna 2009). Attraverso questo volume e tutti i suoi scritti Theobald è diventato uno dei pensatori teologici più importanti ai nostri giorni a essersi dedicato a una lettura dei segni dei tempi.
Il volume che le edizioni Pendragon hanno da poco mandato in libreria è un’opera di un grande poeta. Ne parliamo con il direttore della casa editrice Roberto Bagnoli.
Il Centro studi per la scuola cattolica in questo volume mette sì in fila numeri e bilanci, ma accompagna il lettore prima di tutto a scoprire il valore e il patrimonio culturale di cui tutto il sistema nazionale d’istruzione potrebbe beneficiare dalle scuole paritarie.
Per argomentare – in chiave teologicamente e storicamente fondata – il richiamo pastorale a un ripensarsi ontologico di una Chiesa povera e tutta rivolta verso i poveri, il volume accosta due contributi: il primo è il testo della lezione tenuta da Lorefice a Bologna, presso la Fondazione per le Scienze Religiose (14.12.2016), in occasione del XX anniversario della morte di Giuseppe Dossetti; il secondo è l’intervento dell’autore al Convegno diocesano di Noto del 29.9.2009.
Scrivere «di Maria, la madre di Gesù di Nazaret, è impresa quanto mai ardua; i dati storici che la riguardano, infatti, s’intrecciano con l’elaborazione teologica delle comunità cristiane delle origini, le formulazioni dottrinali dei primi secoli, la vita liturgica delle Chiese strutturate, le apparizioni mistiche e la devozione popolare che hanno portato a riconoscere in lei la donna privilegiata e unica: vergine, madre di Dio, immacolata, assunta in cielo».
Huxley sembra averne azzeccate poche di previsioni. Nessun governo centrale pretende di pianificare il nostro bene comune anzi, gli stati si sciolgono per effetto di mille regionalismi, l’eugenetica, se la si può chiamare così, è saldamente nelle mani dei singoli che esercitano semmai il capriccio individuale e non la pianificazione sociale. Ma in questo libro il genio, e anche il diavolo, sta nei dettagli.
L’attività legislativa di papa Francesco annovera 41 nuove disposizioni: quasi il 50% in più di papa Benedetto. Legifera troppo? Secondo il canonista G. Bier, la risposta è negativa per due motivi. Innanzitutto perché la maggior parte dei provvedimenti riguarda la curia romana (e per questo si può dire che la scelta di Francesco sia quella d’intervenire con modifiche più che «avviare una completa riorganizzazione»). E poi perché i rimanenti sono stati per lo più interventi necessari e richiesti dai canonisti stessi. Semmai si potrebbe affermare che è un legislatore «troppo cauto», come il dibattito su Amoris laetitia mette in luce.
Alla riforma di Francesco sia sul versante della curia romana sia su quello del governo della Chiesa universale, Il Regno ha dedicato un’attenzione costante. Per un giudizio complessivo cf. l’articolo di mons. M. Semeraro, segretario del Consiglio del cardinali (istituito nell’aprile 2013; Regno-att. 8,2013,207), in Regno-att. 14,2016,433ss.
La necessità di legiferare deve poi fare i conti con la «crisi d’identità» in cui si trova oggi la canonistica – afferma il canonista Helmut Pree – , che deve uscire da un’«impronta unilateralmente europea in direzione di un diritto specificamente ecclesiale». Una sfida che si può vincere «solo in dialogo con la teologia, con altri diritti religiosi e con la giurisprudenza (di tutti i sistemi giuridici)». Tutti insieme essi costituiscono loci canonici a partire dai quali creativamente arrivare a rifondare la «legislatio libertatis» propria della Chiesa.
Ai nostri giorni si guarda con crescente preoccupazione al fatto che le italiane e gli italiani mettano al mondo un numero sempre minore di figli: la natalità decresce e il paese invecchia. Come sempre, rivolgersi alla Bibbia non rappresenta una ricetta per risolvere le questioni delle nostre società, eppure confrontarsi con essa non è mai fatica sprecata.
Dal pensiero cattolico inteso come sistema completo e in sé concluso al pensiero incompleto e cioè in sviluppo di papa Francesco: può essere evocata anche così la sua rivoluzione. Almeno tre volte ha parlato di «pensiero incompleto», proponendolo come modalità ottimale nella ricerca di un’ermeneutica evangelica per l’umanità di oggi. Provo a indagare questa sorprendente categoria.