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Attualità
Attualità, 20/2017, pag. 639

Francesco e le parabole

Luigi Accattoli

Francesco parla in parabole tratte dalla vita vissuta e questo è un aspetto poco studiato della sua predicazione, benché segnalato ogni giorno dai media. Qui getto uno scandaglio e chiedo aiuto al lettore provveduto.

 

Per esplorare il nuovo

Francesco parla in parabole tratte dalla vita vissuta e questo è un aspetto poco studiato della sua predicazione, benché segnalato ogni giorno dai media. Qui getto uno scandaglio e chiedo aiuto al lettore provveduto.

Se una notte d’inverno, qui vicino in via Ottaviano, muore una persona, quella non è notizia. Non può essere così! – 5 giugno 2013.

Mi sono fidanzata con un uomo e quando ho scoperto di essere incinta ho saputo la verità: era sposato e voleva che abortissi – 3 settembre 2013.

Un giovane annebbiato dall’alcool viveva con sua mamma che era vedova e lavava i panni di famiglie abbienti. La mamma ogni mattina prima di uscire lo guardava con tanta tenerezza. Quello sguardo alla fine l’ha scosso – 29 novembre 2013.

Distinguere tra Dio
e le cose di Dio

Ricordo un ragazzo eritreo incontrato a Lampedusa: cinque volte preso e venduto, fatto schiavo e torturato – 17 febbraio 2015.

Un giorno nel postribolo è arrivato un uomo. Si sono piaciuti e alla fine lui le ha proposto di seguirlo. Era tutta felice di poter smettere di fare ciò che faceva – 12 gennaio 2016.

Voglio raccontare un caso particolare conosciuto a Lesbo. Lui è musulmano e mi ha raccontato che era sposato con una ragazza cristiana, ma purtroppo questa ragazza è stata sgozzata dai terroristi, perché non ha voluto rinnegare Cristo. È una martire! E quell’uomo piangeva tanto – 17 aprile 2016.

Il cardinale Van Thuán diceva che nel carcere il Signore gli aveva insegnato a distinguere tra «le cose di Dio», alle quali si era dedicato quando era in libertà, e Dio stesso, al quale si dedicava mentre era incarcerato – 2 giugno 2016.

Ho ricevuto una lettera di uno spagnolo che mi raccontava la sua storia: era una ragazza e ha sofferto tanto, perché si sentiva ragazzo. L’ha raccontato alla mamma e le ha detto che avrebbe voluto fare l’intervento chirurgico e la mamma gli ha chiesto di non farlo finché lei era viva – 2 ottobre 2016.

Una delle ragazze mi ha detto: «Padre, io ho partorito d’inverno sulla strada. Da sola. La mia bambina è morta» – 20 novembre 2016.

Ieri è venuto a messa a Santa Marta un imprenditore che doveva chiudere la sua fabbrica perché è in difficoltà. Piangeva e diceva: io non me la sento di lasciare senza lavoro più di 50 famiglie – 30 novembre 2016.

Un uomo ricchissimo aveva un cancro. Nell’ultima settimana di vita si è entusiasmato per una villa e l’ha comprata: pensava soltanto a questo – 30 gennaio 2017.

Ne ho raccolte 120 di queste parabole, scegliendo i più vivi tra i racconti che Francesco propone in omelie, catechesi, conversazioni, documenti. Rappresentano il suo genere preferito di comunicazione e potremmo rubricarle come magistero delle storie di vita, teologia narrativa, pedagogia del vissuto, pastorale dell’incontro, ermeneutica della persona. Di questi racconti del pastore forse farò un libretto.

Ne parlo qui per chiedere ai lettori un aiuto a interpretare quella narrativa papale. Da dove viene, a che mira, vantaggi e svantaggi che presenta. Che propone a tutti, il papa, facendone un così vasto uso.

Indico quattro livelli d’audacia in questa comunicazione per parabole: quello della vicinanza, quello della spinta a non accontentarsi di quanto già si fa e si vede, quello della necessità di andare al nuovo, quello dell’incontro con Dio che è sempre nuovo.

Lasciare il conosciuto
e affrontare l’ignoto

Parabole della vicinanza. Sono i racconti che segnalano possibilità di presa in carico della vita altrui che Bergoglio trae dalla propria esperienza. Tra quelli che ho dato sopra in rapida sintesi, tipici di questo primo stadio potrebbero essere il terzo, della mamma che guarda il figlio annebbiato; il quinto, dell’incontro nel postribolo; il sesto, dell’uomo che piange a Lesbo.

Siamo in un vissuto impegnativo ma senza particolari audacie nel proponente. Sappiamo di che sia capace la tenerezza dei genitori messi a nuove prove dalle dipendenze. Sappiamo che può venire un aiuto anche dai clienti dell’amore a pagamento: la provvidenza getta ovunque le sue reti. Conosciamo storie di martirio inferto da musulmani e onorato da altri musulmani. Sono tre parabole aperte in avanti, di sofferenze portatrici d’una misteriosa fecondità. Ma il loro andamento non ci sorprende.

Parabole per andare oltre quanto già si fa e si vede. Qui metto la prima, dell’uomo che muore di freddo sotto le mura vaticane; la quarta, del ragazzo cinque volte venduto. Sono i casi che ci vedono impotenti e che rubrichiamo sotto la voce: «Nulla da fare». Francesco li ripropone instancabile, come a dire: non possiamo accomodarci all’esistente se è disumano, dobbiamo contestarlo anche se non abbiamo parole né mani.

È il principio del «magis» (di più) tipico della pedagogia ignaziana, che Francesco ci propone con questi racconti: andare oltre, fare di più, abbandonare le prudenze, uscire dal conosciuto, affrontare l’ignoto. Anche quando non abbiamo risorse e di sicuro faremo figure e risulteremo velleitari. Il papa gesuita ci provoca ad affrontare l’impossibile. Punta sul «dono della vergogna» e confida che da essa magari verrà, per provvidenza, un’idea praticabile.

I due sinodi
in quel minimo racconto

L’andata a Lampedusa, la missione di Lesbo hanno questo segno: «Ma che pensa di ottenere, nessuno l’ascolta, crea più problemi di quanti non immagina di risolverne». Ha tutto il mondo contro ma lo fa lo stesso. E da allora ripropone le narrazioni che ne ha tratto.

Parabole dell’inedito e del nuovo. Segnalo il secondo racconto, della ragazza madre con un divorzio alle spalle; l’ottavo, del trans che era una ragazza. Paura di ogni ecclesiastico d’affrontare il nuovo. Cristianesimo ripiegato delle chiese che non guardano fuori dal recinto dei praticanti doc. Spintoni ormai innumeri di Francesco a uscire dal recinto. Dal ricevuto. Dai canoni.

«Che fa il confessore?», aveva chiesto a proposito di un’altra storia che non ho riportato qui. Il bene possibile in situazioni irregolari, il possibile aiuto dei sacramenti a chi è pentito, convertito anche, ma bloccato dagli errori del passato. Lo chiese poi ai due sinodi sulla famiglia, ma prima l’aveva chiesto con una parabola.

Penso alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore? – Intervista alle riviste dei gesuiti, 19 settembre 2013.

Qui Francesco non narra un fatto ma evoca una situazione e pone una domanda. Un po’ come il Gesù di Matteo con il caso della pecora da salvare: «Chi di voi, se possiede una pecora e questa, in giorno di sabato, cade in un fosso, non l’afferra e la tira fuori?» (Mt 12,11).

Un uomo umile
che diceva «Gesù»

Parabole dell’incontro con Dio. Ne indico due: la settima, del cardinale Van Thuán che in carcere impara a distinguere tra Dio e «le cose di Dio»; l’undicesima, del riccone che passa gli ultimi giorni della vita ad acquistare una villa che l’aveva entusiasmato. Ma in questa chiave possono essere lette gran parte delle parabole bergogliane che sto studiando.

Ne do un elenco lampo mettendo tra parentesi il giorno nel quale Francesco le ha raccontate. Ecco i racconti che si concludono con l’invito a guardare a Gesù in croce (16.4.17), che invitano a considerare il proprio peccato (2.3.17), che segnalano «l’incertezza della morte» quanto a ciò che viene dopo (1.2.17), che portano ad ammirare le madri che danno la vita perché nessuno dei figli si perda (1.2.17), che segnalano la suora anziana che si affretta a ricevere l’unzione degli infermi (10.12.16), che invitano al pentimento (2.6.16), che richiamano al perdono di Dio (14.12.15), che segnalano come il perdono sia operazione di Dio (28.9.15) o come un medico abortista prenda a lottare per la vita (11.4.14); o semplicemente narrano di un uomo «umile» della curia di Buenos Aires che diceva «Gesù» prima d’ogni azione (5.4.13).

Le parabole aiutano Francesco a svolgere il suo magistero orale, il suo pensiero incompleto, la sua esplorazione del nuovo. In quest’ultimo caso sono simili a quelle narrate da Gesù in risposta alle obiezioni degli scribi.

Tre mi paiono le uscite che Francesco ci propone per parabole: uscire dagli orizzonti bassi per incontrare Dio; dalle case per incontrare il prossimo, dagli usi per vedere e fare di più, dalle codificazioni per ricevere e dare misericordia.

Uscire dall’orizzonte basso. Cioè dall’immanenza, dagli interessi materiali: dicono gli oppositori che Francesco di questo non tratta: «Parla solo degli immigrati». Invece ne parla continuamente nelle omelie e nelle catechesi. Ne parla sia in chiaro, sia in parabole.

Uscire dagli usi
e dalle codificazioni

Uscire dalle case. Cioè dai rifugi
e dalle comodità; dalla porta della chiesa, della sacrestia, dell’appar-
tamento, da ogni nido protettivo, per incontrare l’umanità ferita che ha bisogno del pronto soccorso, fos-
se anche solo quello di tenergli la mano.

Uscire dagli usi e dalle codificazioni. Ho segnalato sopra gli obiettivi alti di quell’uscita e segnalo ora un obiettivo minimo, come quello che persegue trattando del precetto domenicale nella risposta alla signora che si chiede se la messa di un matrimonio, ascoltata il sabato, valga per la domenica; e la risposta non è che vale o non vale, ma «hai ricevuto la comunione, sei stata con Gesù, stai tranquilla, il Signore non è un commerciante» (11.12.2014).

Chi ha già considerato le parabole che sono nella predicazione di Francesco, suggerisca sviluppi alla mia ricerca.

 

www.luigiaccattoli.it

Tipo "Io non mi vergogno del Vangelo"
Tema Francesco
Area
Nazioni

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