G. Gualdrini
«Lo spazio lega l’opera al mondo; senza questo spazio l’opera è orfana» (C. Parmiggiani). Tanto più le opere d’arte sacra, concepite in stretto legame con la liturgia e i suoi luoghi, ma spesso spostate – a volte, ma non sempre, per necessità legate alla loro conservazione – per essere ricollocate in musei o altri spazi espositivi.
Pur non potendo ricomporre queste antiche relazioni, come permettere alle opere d’arte sacra di «prendere dimora» nei nuovi contesti museali, consentendo ai fruitori di coglierne la bellezza, che nel frammento svela un’epifania del divino? Diversi approcci sono stati tentati, dalla museografia razionale di Albini a quella lirica di Scarpa, a quelle più didattiche oppure più poetiche, come nel caso recente di Olmi a Brera. Perché mantenere viva la relazione tra passato, presente e futuro non è altro che declinare in senso dinamico la tradizione cristiana. Come fa la nuova Porta speciosa dell’Eremo di Camaldoli, realizzata da Claudio Parmiggiani e inaugurata nel 2013 per i mille anni di fondazione della comunità camaldolese
Studio del mese, 15/05/2014, pag. 349