Attualità, 16/2011, 15/09/2011, pag. 572
Il grano e la zizzania. L'annuncio del Regno si intreccia con le parole del mondo
Non son venuto qui a gettar zizzania». Un simile detto proverbiale è ancora comprensibile quasi a tutti e lo è a motivo di una, più o meno viva, reminiscenza evangelica. Se Matteo non avesse scritto quella parabola e la liturgia non l’avesse riproposta nel corso dei secoli, solo agricoltori e agronomi conoscerebbero il lolium termulentum («loglio ubriacante»), così denominato per gli effetti che può provocare (emicranie, vertigini, vomito, oscuramento della vista). Inoltre soltanto i contadini saprebbero che, a causa della somiglianza delle rispettive cariossidi, è difficoltoso eliminare la zizzania dai campi di frumento. Appellarsi a questo residuo per dire la costante forza del Vangelo sarebbe senza dubbio improprio; tuttavia può essere anche vero che questa sopravvivenza linguistica indichi qualcosa di meno estraneo al senso della parabola di quanto, sulle prime, non si creda. La parabola infatti ha a che fare proprio con il linguaggio; è ben vero però che si tratta della parola del Regno e non di una qualsiasi.
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