Attualità, 2/2005, 15/01/2005, pag. 51
Pluralismo religioso: paternità di Dio, fraternità umana
Le note sul pluralismo religioso e la fede cristiana che qui pubblichiamo si fondano sul rapporto esistente tra il pluralismo religioso stesso e la volontà di proporre la paternità di Dio come il fondamento più saldo di una fratellanza universale fra tutti gli uomini. Il riconoscersi reciprocamente fratelli costituisce il frutto migliore delle religioni.
Questo modo di procedere apre da un lato al tema cruciale dell’amore di Dio, e dall’altro al tema pratico del fondamento e dell’esercizio della laicità.
L’argomento cruciale è l’amore corrisposto, non già come scambio bensì come consapevolezza di essere amati, accoglienza gratuita dell’altro e cambiamento di vita. Nella Bibbia il Dio che ama può comandare a propria volta di essere amato e di amare: «Amerai il Signore tuo Dio» (Dt 6,5), «amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono il Signore» (Lv 19,18), «amatevi l’un l’altro come io vi ho amati» (Gv 13,34).
Il confronto paritario delle confessioni religiose – che non significa equivalenza o indifferenza tra di loro – può avvenire in modo fecondo nel «neutrale mondo pubblico» solo se quest’ultimo rispetta due condizioni: da un lato deve concedere ai membri delle comunità religiose di giocare un ruolo civile qualora essi rispettino il principio della laicità e dell’uguaglianza dei diritti, dall’altro non deve dare credenziali particolari a qualche tradizione religiosa a scapito di altre. Vale a dire, è richiesto da una parte che l’interesse per le religioni divenga un fatto civile, e dall’altra che le comunità religiose accettino le regole delle società democratiche.
Per il cristiano rimane dirimente il non utilizzo di Dio, il non nascondere la propria responsabilità umana dietro l’onnipotenza divina.
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